Uzbekistan

L1120482 TPeriodo: aprile 2019

Durata : 13 giorni

Tipologia di viaggio : con Avventure nel Mondo “Uzbekistan Soft”

Itinerario: TASHKENT – SAMARCANDA – BUKHARA – KHIVA – AYAZ QALA – NUKUS – MOYNAQ

 

 

DIARIO

1° giorno : Roma – TASHKENT

Dal 1° febbraio 2019 per entrare in Uzbekistan non occorre più richiedere il visto perciò all’aeroporto di Tashkent le formalità di ingresso e del controllo passaporti sono rapidissime.

L’area circostante appare subito molto ordinata e pulita. I profili degli edifici sono illuminati da luci vistose e colorate. Appena svoltato nella stradina che porta all’albergo però cambia tutto, i neon spariscono e le case sono nascoste al di là dei muri. Alloggiamo all’hotel Rovshan dall’aspetto sovietico, le camere sono essenziali ma pulite. Essendo tardi nessuno ha voglia di cenare.

Vado a fare due passi con Sara, Silvia, Alberto e Maurizio per dare un’occhiata in giro. La strada principale conferma che lo sfavillio dei neon è una caratteristica “di facciata”. Dopo aver attraversato l’ampio e trafficato viale a costo della vita – giacché privo di semaforo e strisce pedonali – infiliamo dentro un grande locale. E’ difficile capirsi con il cameriere. Con una serie di tentativi in  inglese cerchiamo di comunicargli che desideriamo spilluzzicare qualcosa e bere una birra, ma non grande, magari media e rappresentiamo con i gesti ciò che secondo noi da grande si riduce a medio. Evidentemente come mimi non siamo un gran che perché ci porta un vassoio con cinque bicchierini per un assaggio. Ok, grazie, va bene. Il cameriere torna soddisfatto con cinque giganteschi boccali di birra e con una piramide di pan carré nero, molto abbrustolito e fortemente agliato. Avete presente il gioco piramidale con i legnetti? Immaginate un Jenga di pane. Di certo non è l’ideale contro il colesterolo ma si accompagna benissimo alla birra. Bravo! In sala qualcuno balla al ritmo della musica suonata da un complessino. Noi siamo al piano di sopra con affaccio dalla balconata ma non sfuggiamo all’attenzione della cantante che, con tanto di musicante al seguito, viene a sedersi accanto a noi dedicandoci la canzone dei Ricchi e Poveri “Cosa sei” un po’ in italiano e un po’ in uzbeko. Onorati dall’omaggio canoro ed entusiasti per l’atmosfera della nostra prima serata paghiamo volentieri i 20 dollari richiesti, uno stonfo per i canoni locali considerato che mediamente con 3 dollari a testa si cena con le bevande incluse, ma va bene così.

 

2° giorno : TASHKENT – SAMARCANDA

L’autista che ci scarrozzerà in pulmino per tutto il viaggio è un ragazzo giovane e magrissimo che parla solo uzbeko. Il suo nome è incomprensibile, forse Aybek. Le guide cambieranno in ogni località. Quella che ci accompagna in giro oggi è una bella ragazza, alta e bionda, forse di origine russa a giudicare dall’accento. Parlando un italiano più che discreto ci fornisce dei riferimenti storici della città, ricostruita dopo il terremoto del 1966 anche grazie all’amicizia tra i popoli. Siamo stupiti dalla perfezione di Tashkent, dalla rigorosa decorazione delle aiuole e delle piante che hanno i tronchi uniformemente dipinti di bianco per circa un metro a partire dal basso. In giro non c’è un cestino né un cassonetto per la spazzatura, dove la butteranno? Eppure la città è linda, per terra non c’è una carta, un mozzicone di sigaretta, un chewing-gum masticato. Visitiamo Tashkent sotto una pioggia torrenziale. Il rammarico è più che altro per i colori delle cupole che senza sole risultano spente. Meno male che dovrebbe essere la stagione migliore!

Il tira e molla dovuto alla pioggia davanti agli ingressi di Mausolei e Madrasse non è molto agevole: apri l’ombrello – vai – stop – chiudi l’ombrello – leva le scarpe – entra – esci – rimetti le scarpe – riapri l’ombrello – riparti. Ma vale la pena di fare questo sforzo perché i siti sono stupefacenti. Poiché all’interno delle Madrasse sono presenti dei negozietti ci lanciamo subito nel primo acquisto di favolosi foulards di seta e di sciarpe di lana di cammello. Girovagando nei vicoli ci viene fatto notare il muro delle case, tipicamente fatto di argilla e paglia, resistente ai terremoti ed isolante, d’estate infatti garantisce una fresca temperatura interna e d’inverno conserva il calore.

Notevole la Biblioteca Moye Mubarek, divenuta un Museo, dove sono conservati numerosi volumi antichi del Corano. Andiamo a vedere il colonnato del Parlamento, il Monumento al Coraggio e quello ai Caduti, la Statua della Donna Dolente dove c’è la fiamma perpetua.

Da quest’anno a Tashkent c’è una novità: si possono fare le foto nella sua famosa metropolitana e noi ne approfittiamo subito. Facciamo il biglietto e scendiamo a vedere le fermate considerate più interessanti. Tra quelle che ci piacciono di più c’è la stazione Kosmonavtlar dedicata agli astronauti sovietici e Alisher Navoiy che richiama l’architettura e i decori di una Moschea. Una fermata però è off-limits perché pare che in città ci sia il Presidente della Corea del Sud. Sarà per questo che in giro c’è tanta milizia e tanto ordine? Vorremmo vedere anche alcuni particolari edifici dall’interessante architettura brutalista sovietica (Sirk, Bazar Chorsu, Palazzo delle Arti) ma la circolazione è limitata a causa della presenza del Presidente. Riusciamo giusto a passare davanti al Museo Statale di Storia dell’Uzbekistan, al National Bureau of Interpol e all’Hotel Uzbekistan.

Pranziamo in un ristorantone strapieno di gente locale, si chiama Rayhon e significa prezzemolo. All’ingresso, dentro ad un bugigattolo a vetri, alcune donne sono addette alla lavorazione della pasta per farne dei tagliolini e allo sbriciolamento della carne. E’ il nostro primo pranzo uzbeko perciò assaggiamo piatti differenti. La base è comunque sempre la carne. Trovo quella di montone abbastanza disgustosa, i ravioli in brodo però sono buoni. Pasteggiamo a birra e tè verde spendendo in nove 210.000 Som, l’equivalente di 2,30 euro a testa.

Partiamo per Samarcanda dove arriviamo col buio e, dato l’orario, andiamo direttamente a cena all’Istiqlol, il ristorante fissato dal corrispondente con un menù prestabilito.

Se abbiamo ordinato le birre perché ci portano due bottiglie di vino rosso? No! No, Beer! Beer! Esclamiamo gesticolando con le mani… I giovani camerieri si guardano perplessi non capendo la reazione ma sorridono proseguendo nel proprio lavoro. Il sopraggiunto fotografo del locale, che parla un po’ di inglese, chiarisce che si tratta di un omaggio. Ahhhh.. allora sì, grazie! Però, visto che è arrivata la birra, lo portiamo via!

Su ogni tavola uzbeka è sempre presente il pane, tondo, con il centro appiattito ed il cornicione rialzato. I diversi disegni che lo decorano vengono fatti con uno stampino di legno che ha dei chiodi posizionati a forma di fiore o altro disegno geometrico con cui viene fatta una sorta di punzonatura dell’impasto. L’utensile per decorare il pane può essere un simpatico souvenir da portare a casa, noi lo abbiamo trovato a Khiva. La cottura del pane uzbeko avviene dentro ai forni tandir, attaccando abilmente l’impasto alle pareti di argilla. Ogni pasto inizia con un antipasto assortito di verdure crude e cotte: insalata, barbabietole rosse, carote, peperoni, pomodori, ceci, cipolle, zucchine, cetrioli. Qualcuno non si attenta a mangiarle temendo ripercussioni gastroenteriche. Maria Grazia ed io invece ce ne abbuffiamo. In compenso, benché abbia un bell’aspetto, lascio agli altri la carne visto che a stento ho digerito il montone del pranzo.

Accipicchia, l’albergo di Samarcanda è da sogno!  Peccato che non sia il nostro… ahhahhahha! e ce ne rendiamo conto solo dopo aver già scaricato i bagagli. Il nostro autista, confuso, chiama qualcuno per individuare l’indirizzo giusto: siamo alloggiati al Diamond Plaza Hotel, un po’ meno fantastico e fuori mano, ma la posizione si rivelerà utile e ne scoprirete la ragione proseguendo.

La camera assegnata a me e Sara è bella e spaziosa, con tanto di caminetto, ma come si suol dire non è tutto oro quello che luccica: lo sciacquone del wc si riempie dopo due ore e per farsi la doccia l’acqua calda arriva “dopo i fòchi” facendoci sentire pure in colpa per lo spreco dell’acqua. Le finestre non si chiudono e la lampada sul comodino si è stroncata subito, solo a toccarla. Però tutto è lindo, i letti sono comodi, la colazione buona ed il personale è gentilissimo e questo è ciò che conta.

 

3° giorno : SAMARCANDA – URGUT – SHAH-I-ZINDA

A quanto pare la presenza del Presidente Sud Coreano corrisponde a verità ed oggi è proprio a Samarcanda. Questo significa che non solo ha la priorità su tutti i siti visitabili, certi ingressi sono proprio interdetti. Samarcanda è praticamente blindata. La guida che ci accompagna nella visita di Samarcanda parla un italiano perfetto e si chiama Ulugbek. Assieme al nostro autista confabula con i preposti ai posti di blocco senza cavare un ragno dal buco. Riusciamo giusto ad avvicinarci al piazzale dell’Osservatorio dove c’è la statua del famoso astronomo uzbeko Ulug Beg. Già il fatto che ci permettano di pesticciare la pavimentazione è una grossa concessione. Numerosi uomini e donne sono infatti intenti a pulire, togliere a mano le erbacce dalle aiuole e dai prati circostanti.

Che facciamo? Invertiamo il programma previsto per domani andando ad Urgut visto che il mercato c’è anche oggi che è sabato. Ad Urgut viene coltivato il tabacco per la produzione delle sigarette. Lungo la strada noto infatti una grossa fabbrica, la British American Tobacco of Uzbekistan. In giro però non ho visto molti fumatori. Il mercato di Urgut è immenso. Ulugbek ci spiega che è un mercato tradizionale dove non c’è niente di cinese. Le famiglie vengono qui da Samarcanda e dintorni per le spese importanti, specialmente in caso di feste e matrimoni.

Dandoci due ore di tempo e appuntamento davanti ad una delle torri d’ingresso entriamo tutti assieme disperdendoci dopo pochi minuti per poter gironzolare seguendo ognuno la propria bussola. Percorro in lungo e in largo le stradine del mercato entrando in diverse botteghe e curiosando sui banchi. In giro non vedo altri turisti. I commercianti non stressano. Con la gente chiacchiero a modo mio, più che altro a gesti. Qualcuno conosce poche frasi di inglese. La domanda iniziale è sempre “da quale paese vieni?”, la seconda è piutto insolita “quanti anni hai?” Un bimbo di 10 anni sfodera il proprio inglese scolastico con sommo orgoglio del padre. Il settore della ristorazione è pervaso dal fumo e dal profumo della carne arrostita sulla brace. Mentre valuto un paio di leggins, che compro visto che a) fa freddo b) sono carini c) costano una sciocchezza, la ragazza del banco mi offre un pezzo di pane. Lo accetto con piacere e gratitudine, ho già fame! Compro ancora diverse cose ad ottimi prezzi poi quando inizia a piovere cerco l’uscita per ricongiungermi agli altri. Alberto ha acquistato 5 tipici cappelli uzbeki da uomo. Si chiamano DÕPPI e sono di tessuto nero. L’interno è rivestito di stoffa dal colore sempre diverso. Se l’esterno è ricamato di bianco il cappello è tradizionale, se i ricami sono colorati sono cappelli per turisti. I disegni sono tre: il più diffuso è il feto, simbolo della vita, con tanti puntini quanti sono i figli della persona che lo indossa, uno o due trattini stanno invece a significare se sono ancora vivi i genitori, una sorta di stato di famiglia pubblico praticamente! poi c’è il disegno della foglia del peperoncino e quello della mandorla, entrambi contro il malocchio.

Per uscire dal mercato e percorrere 50 metri col pulmino impieghiamo una buona mezz’ora perché si è creato un ingorgo paradossale: tutti vogliono entrare e tutti vogliono uscire, così stiamo tutti inchiodati dove siamo senza poterci muovere. Tornati a Samarcanda realizziamo che in città non si entra. Due grossi pullman stazionano piazzati in mezzo alla strada per impedire il transito, una misura di sicurezza dovuta appunto alla presenza del Presidente Sud Coreano. Essendo solo l’una va trovata una soluzione alternativa anche al programma del pomeriggio. La guida suggerisce di anticipare anche la visita a Shah-i-Zinda. Il complesso funerario è stupefacente, uno dei siti più belli dei dintorni. E’ composto da undici Mausolei dall’architettura medievale con splendide maioliche esterne ed interne che lasciano a bocca aperta. Al termine delle spiegazioni la guida ci da un’ora di tempo per gironzolare da soli. Potendo ci sarei rimasta un’intera giornata da quanto è bello! Oltretutto siccome piove ed il cielo è plumbeo non possiamo apprezzare pienamente i colori delle maioliche.

Percorrendo un brevissimo tratto di strada in contromano l’autista riesce a portarci all’ingresso della grandiosa Moschea Bibi Khanym dedicata alla moglie più amata da Amir Timur (Tamerlano). Nel 1400 fu la più grande Moschea dell’Asia Centrale. Al centro del cortile si trova un grande leggio di marmo sul quale veniva posato l’antichissimo Corano di Osman che abbiamo visto a Tashkent nel Museo della Biblioteca Moye Mubarek.

Concludiamo il tour nel Siab Bazar, un grande mercato dove è possibile acquistare frutta secca, frutta fresca, pane, spezie, sementi e tanto altro. Ne approfittiamo per comprare “generi di conforto” ovvero pistacchi, croccanti di sesamo e noccioline da abbinare al vino regalatoci ieri sera. Senza farsi tanto attendere sul pulmino scatta l’aperitivo, l’unica cosa da fare per fronteggiare il disagio del persistente blocco stradale causato dal Presidente.

Ed ecco che essere alloggiati lungo la cintura esterna della città si rivela una fortuna, perché se avessimo avuto l’albergo in centro saremmo stati pure impossibilitati ad accedervi! Cose da pazzi.

Ceniamo al ristorante New Arbat, prenotato dal corrispondente come del resto tutte le cene del viaggio in quanto soft. Il menù è sempre più o meno il solito. Pane, antipasti di verdure, un piatto di portata a base di carne, dessert. Il locale è bello e frequentato sia dai turisti che dai locali. La cena viene servita velocemente ma altrettanto rapidamente veniamo invitati a liberare il tavolo mentre panciute signore si scatenano nelle danze avvolte nei loro tipici vestiti di velluto paillettati e strassettati. A quanto pare era prenotata anche una festa privata.

 

4° giorno : SAMARCANDA

Buongiorno, sono le nove meno un quarto ma siamo ancora confinati in albergo. Indovinate perché?

Il Presidente transiterà su una strada – e per ragioni di sicurezza non si sa quale – perciò, a prescindere, è vietato circolare. Ieri sera, rientrando in albergo, mi era sembrato alquanto strano infatti che le donne fossero ancora accovacciate al buio a strappare l’erba. Stamattina, con la luce, noto che nottetempo hanno rifatto anche lo spartitraffico abbellendolo ad ogni metro con vasi di fiori. Oltre a tutto questo delirio per la perfezione ambientale e ai disagi creati agli abitanti e ai gitanti, ieri sera il Presidente ha pure avuto una fortuna sfacciata perché si è goduto la visita notturna di Piazza Registan senza pioggia e con la luna! Ovviamente in esclusiva giacché preclusa al resto dei comuni mortali tra i quali noi altri. Meno male che abbiamo ancora un giorno di permanenza, ci mancherebbe solo di non poter vedere la piazza più bella di Samarcanda! Speriamo piuttosto di non incrociare il Presidente anche a Bukhara…

Mentre attendiamo pazientemente di essere liberati, aggiorno il diario segnandomi una cosa curiosa a proposito del dress code, anzi, del shoes code delle donne uzbeke: sono tutte in ciabatte! Le tipologie sono molto varie: pantofole di lana, pantofole di pelle, calzature aperte e chiuse, ciabatte semplici, ciabatte firmate, ciabatte sfiziose, ciabatte ortopediche.. in ogni caso, pantofole e ciabatte. E sono pure molto funzionali dato che per entrare nelle Moschee e nei Mausolei vanno tolte.

La dritta per le turiste donne è: venite in Uzbekistan in ciabatte, state comode e siete alla moda!

Cessato l’allarme possiamo finalmente andare a visitare altre meraviglie di Samarcanda a cominciare dall’Osservatorio Astronomico di Ulug Beg e l’annesso Museo, strabiliante il primo, interessantissimo il secondo. A quei tempi non esistevano i telescopi per l’osservazione degli astri ma Ulug Beg riuscì a mappare più di mille stelle con l’aiuto dell’enorme sestante da lui costruito. Davvero stupefacente!

Piove, tanto per cambiare, ma ce ne stiamo facendo una ragione. Normalmente in questo periodo inizia a fare caldo.. Normalmente! Una miriade di bambini si avvicina timidamente chiedendoci un selfie assieme a loro. Notando la nostra disponibilità veniamo richiesti a ripetizione anche da altri. E’ bello regalare felicità con così poco!

Riprendiamo il nostro giro andando a visitare il Mausoleo Gur-Emir dove sono sepolti Amir Timur ed alcuni suoi figli e nipoti. Le tomba di Tamerlano è ben riconoscibile (in giada scura). Le volte del Mausoleo sono un capolavoro di architettura. I disegni dorati su sfondo blu dell’enorme cupola sono a dir poco ipnotici. Mentre ascolto le spiegazioni della guida osservo le persone che pregano tenendo le mani a coppa davanti al viso. Resto qualche minuto commossa in contemplazione, estasiata dalla solenne grandiosità di questo luogo e pervasa da una strana energia, potente e prorompente.

Piazza Registan, con le sue tre Madrasse tanto spettacolari quando imponenti, fa parte del Patrimonio dell’Unesco e pertanto è stata restaurata in modo da conservarne i resti e mostrarci la sua maestosa bellezza. E’ assolutamente impressionante, perfetta, sfarzosa, colorata. Con noi c’è sempre Ulugbek, la guida, che spiega con passione la storia di questa magica piazza, un vero must per i viaggiatori di tutto il mondo. Non è facile però mantenere l’attenzione perché le distrazioni sono costantemente in agguato: una foto imperdibile da scattare, molte richieste della gente per i selfie, la tentazione dello shopping.. e se mettono i negozietti proprio dentro ai luoghi da visitare!

Facciamo una pausa pranzo al Bibikhanoum Teahouse, un localino all’aperto molto carino, dove assaggiamo il nostro primo plov, l’ottimo piatto nazionale a base di riso.

Trascorriamo poi l’intero pomeriggio dentro ed intorno alla piazza stregati dalla bellezza del complesso. Visitiamo anche un laboratorio di ceramiche dove Ulugbek ci spiega la differenza tra una ceramica e l’altra riconoscibile dal disegno rappresentato e dal suono che produce e non manchiamo ovviamente di fare shopping (bellissimi gli spolverini con i disegni Ikat).

Per la cena è stato prenotato un buon ristorante dal nome bizzarro, Tumor.

Torniamo in Piazza Registan per vedere l’illuminazione serale (orario 21,00-22,00). La nostra composta rassegnazione per l’interferenza del Presidente viene finalmente ripagata perché, grazie alla sua presenza, è stato allestito uno speciale spettacolo di luci e suoni che per alcuni giorni viene riproposto. Evviva, ce lo siamo meritato!

L’indiscusso fascino di Piazza Registan, d’una bellezza esponenziale con le luci serali, diventa addirittura sensazionale con la musica, la narrazione della storia del paese celebrata attraverso i secoli e le colorate danznati immagini proiettate sulle Madrasse. Per una volta è il caso di dire Grazie Presidente!

 

5° giorno : SHAHRISABZ – BUKHARA

Lasciamo Samarcanda alla volta di Bukhara con una nuova guida, una ragazza molto carina e paziente. Facciamo una prima piacevole sosta presso una piccola azienda familiare che produce tappeti e altri oggetti in tessuto. E’ un’abitazione rurale dove, la famiglia, molto accogliente, ci lascia liberi di guardare e fotografare il laboratorio con i telai per la lavorazione dei tappeti, la stanza con l’esposizione dei prodotti finiti, il cortile e la yurta allestita in giardino con le antichità. Ci vengono offerti tè verde, pane e dolcetti. Naturalmente non ci lasciamo sfuggire l’occasione di acquistare alcuni manufatti. Una curiosità notata a casa loro: cosa tiene uno in garage oltre all’auto e ai soliti attrezzi? Un lupo imbalsamato!

Seconda tappa al Mausoleo di Kok-Gumbaz, dalle belle pareti interne piastrellate di maioliche turchesi ed uno splendido colonnato bianco esterno. E anche qui shopping compulsivo come se non ci fosse un domani: pochettes, borse, cuscini e foulards sono bellissimi.

A Shahrisabz, “la città verde” dove nacque Tamerlano, visitiamo il Palazzo estivo di Timur, detto Palazzo Bianco. Fu progettato per essere mastodontico, il più grandioso tra tutti quelli da lui costruiti, tant’è che sopra l’entrata una scritta a caratteri cubitali recita “Se metti in dubbio la nostra potenza, guarda i nostri edifici”. Pur essendo Patrimonio dell’Unesco non è stato restaurato. L’interezza dell’edificio e la ricchezza architettonica del complesso sono solo intuibili. Considerate che l’altezza del palazzo presente è di 40 metri, mentre la parte crollata era di ulteriori 30 metri.

Graziati dal tempo pranziamo all’aperto nei paraggi in un banale ristorantino. Immancabile lo shopping: con l’approvazione di Nicla, la guru glamour del gruppo, acquisto una bellissima borsa ricamata di cui vado molto fiera.

In viaggio verso Bukhara osservo il paesaggio. Attraversiamo una vasta zona che prima era di coltivazione intensiva per la produzione del cotone; dal 2016 è di alberi da frutto, mele di qualità iraniana, ciliegie e uva per l’esportazione in Kazakistan, Russia e Turchia. Le arnie per la produzione del miele sono curiosamente stipate sulle sale dei camion. Le auto in circolazione sono quasi tutte Chevrolet, prima le macchine ed i bus erano della coreana Daewoo. In giro ci sono comunque ancora molte Lada. Nessuno compra le macchine all’estero a causa dei dazi doganali. Le case beige a schiera sono governative, vengono date con un mutuo agevolato che dura 15-20 anni. Sono sempre tante, anche 20-30 case di fila, e tutte attaccate l’una all’altra e a più file. Lungo la strada noto anche dei cartelli alquanto singolari:

  • la sagoma della macchina della polizia;
  • la sagoma della macchina della polizia affiancata dalla sagoma del poliziotto;
  • la sagoma della macchina della polizia con un vero lampeggiante funzionante sul tetto;
  • la sagoma del vigile con la paletta e quella dei bambini che attraversano la strada.

Gli uzbeki hanno uno strano codice della strada: siccome spesso lo spartitraffico è per lunghi tratti ininterrotto, capita che qualcuno provenga in senso contrario, perché magari deve girare.

Arrivati a Bukhara dopo cinque ore di strada con le buche Sara esclama: è una gioia incredibile!

A proposito delle lucine tanto amate dagli uzbeki, a Bukhara alcuni semafori hanno addirittura una struttura che va da un lato all’altro della strada, tipo porta, con le luci sincronizzate con il semaforo che si illuminano di verde e di rosso. Della serie: impossibile non vedere se proseguire o fermarsi!

Molliamo velocemente i bagagli al New Moon Hotel, molto carino e vicino alla centrale Piazza Lyabi Houz, per precipitarci a cena al ristorante Dolon, bellino il locale, qualità media. Fatto un primo giretto esplorativo di Bukhara rientriamo in albergo. La mia camera è deliziosa, con tante nicchie colorate. Il materasso del letto è anche meno duro del solito. Ma le prese della corrente dove sono? Talmente in alto che per asciugarmi i capelli devo salire su uno sgabello perché il filo del phon non arriva, stranezze uzbeke…

 

6° giorno : BUKHARA

La colazione del New Moon Hotel viene servita in un bell’ambiente dalle pareti bianche di stucco intarsiato che lascia intravedere un fondo a specchio. Lo yogurt qui servito è sensanzionale.

Iniziamo la visita della città con una nuova guida che parla inglese. Bukhara si scrive Buxora perché X si legge KH. Prima del periodo sovietico a Bukhara c’erano più di cento Madrasse e circa duecento Moschee. C’erano anche 116 piscine in cui si depositava l’acqua piovana, lasciando in superficie acqua potabile. Le vasche garantivano la sopravvivenza di rane e cicogne. Con le bonifiche e la copertura delle piscine le due specie animali sono scomparse. Delle poche vasche rimaste la più fotografata è nel piazzale vicino al Mausoleo Ismail Samanid, La Perla dell’Est, uno dei monumenti più antichi della città, dalla particolare forma cubica, costruito con i mattoni incastrati, non decorati dalle consuete ceramiche laccate, e con una bella cupola. Gli uzbeki amano assimilare l’effetto del Mausoleo Ismail Samanid che si rispecchia nell’acqua della piscina a quello del Taj Mahal di Agra.

Il Mausoleo Chasma Ayub sorge dove, secondo la leggenda, Giobbe trovò l’acqua colpendo il terreno con un bastone. La sorgente è ancora attiva e siccome l’acqua è considerata santa e miracolosa Maria Grazia, Sara ed io non possiamo resistere dal berla: fresca e dolce, buonissima!

Visitiamo poi l’Abdullah Khan Madrasa (Abdulloxon) dalla splendida facciata maiolicata in tutte le tonalità del blu, un’altra Madrassa al cui interno sono parcheggiate delle moto d’epoca e una grande Moschea di cui non ricordo il nome.

A Bukhara sono ancora presenti alcune dimore dalle belle porte lignee intarsiate che hanno due battagli, uno posto in alto per gli uomini e l’altro più in basso per le donne. La differenza permetteva ad una donna eventualmente sola in casa di capire se era il caso di aprire.

Nel girovagare tra i vicoli capita spesso di avvertire nell’aria delle zaffate di gas dato che le tubature per uso domestico sono esterne. Ad un certo punto la nostra attenzione viene catturata da un uomo appollaiato su un traliccio che sta riparando la linea telefonica di un’abitazione in mezzo ad un groviglio di cavi. Chissà cosa pensa nel ritrovarsi fotografato da un intero gruppo di persone.

Con l’ascensore saliamo sulla Bukhara Tower, un’alta struttura di ferro nata come torre dell’acqua in epoca sovietica, che regala una vista molto panoramica sull’Ark, la Cittadella di Bukhara.

La Moschea Bolo-Hauz ha un loggiato esterno sbalorditivo. Le alte esili colonne di legno ed i capitelli finemente decorati sono di pregevole fattezza. Il soffitto è a cassettoni, anch’esso decorato.

Pranziamo proprio di fronte alla Moschea, al Bolohauz Choy Xonasi, fregandocene dei lavori in corso nel futuro giardino del ristorante. I tagliolini al ragù con l’uovo affrittellato sono ottimi.

Le mura della Cittadella fortificata di Bukhara hanno undici entrate. La guida racconta che le due maniglie tonde delle undici porte, ricoperte di rame per sfuggire ai saccheggi, in realtà erano d’oro massiccio. Ciascuna pesava 5 chilogrammi.

All’interno dell’Ark visitiamo il Museo Etnografico ed il Museo delle Arti Decorative dove sono esposti costumi, suzani, arazzi, fucili, ceramiche e molto altro. Sopraffatta dalla stanchezza schiaccio un breve pisolino appioppata su un divanetto del museo.

Prima di partire mi hanno chiesto “che tempo fa laggiù?” “Clima ideale, cieli tersi…”

Allora perché piove!!?? Erano forse degli “spilloni”?

Il tour prosegue per visitare il KALYAN Complex composto dalla Moschea, dalla Madrassa Miri Arab e dal Grande Minareto, ottimo punto di riferimento visivo di Bukhara ed unica struttura risparmiata da Gengis Khan per la sua bellezza.

Nel centro, decisamente turistico e pieno di negozi, sono presenti tre crocevia dal soffitto a cupola che di sera vengono illuminati in modo scenografico. I coltelli e le forbici a forma di cicogna sono un’esclusività di Bukhara. Sayfullo Ikramov in Klakikat str. è un omone baffuto tanto affascinante quanto sono affilati i suoi coltelli. I disegni sulla lama sono i cammelli (Uzbekistan), i leoni (Samarcanda), la fenice (Bukhara). Sulla lama è possibile far incidere il proprio nome. Altro articolo gettonatissimo è l’incantevole paio di forbicine da ricamo a forma di cicogna (maschio con la cresta e femmina senza).

Dopo l’ennesimo shopping compulsivo Silvia dichiara: abbiamo una missione, alzare il Pil uzbeko di un punto! E Mariagrazia risponde: eh ma noi ci si fa! Ci stiamo seriamente impegnando!

Vado a prenotare l’hammam Bozory Kord con Mariagrazia e Patty per domani sera. Alle donne è concesso l’accesso dalle sei in poi. Il costo è  di 150.000 Som.

Lì vicino c’è un altro coltellaio. Il giovane ragazzo del negozio ha piazzato sopra l’ingresso uno schermo che mostra in loop un filmato in bianco e nero girato parecchi anni addietro. Nella pellicola si vede suo nonno che lavora nel negozio. La ripresa, fatta da un turista francese, è un regalo ricevuto inaspettatamente di recente e con la proiezione condivide la sua emozione.

Vado con Sara ed un paio un paio di suoi amici, incredibilmente incontrati per caso, a bere un birrino poi cena di gruppo al Ristorante Old Bukhara.

 

7° giorno : BUKHARA

Altro giorno e nuove visite nei dintorni di Bukhara.

Iniziamo dal Bahouddin Naqsh Bandiya Memorial Complex, il Mausoleo, un dedalo di tombe ed un albero sacro intorno al quale i fedeli camminano mentre pregando cercano di portar via un pezzetto della corteccia da conservare quale talismano.

Proseguiamo andando al Palace of Moon & Stars Sitorai Mokhi Hossa, che a me è piaciuto tantissimo. I portici dalle colonne azzurre sono incantevoli come pure i ricchi interni del palazzo con influenze Art Deco, finemente decorati, addobbati e ammobiliati. Pregevole l’esposizione del vasellame. Bello anche il giardino con la piscina dell’harem.

Tornando a Bukhara sostiamo al Char Minar, una Madrassa a forma di fortino con quattro torrette dalle cupole turchesi. Sopra una di esse c’è un finto nido con due finte cicogne. All’interno del Char Minar c’è un bazar e di fronte c’è il mercato sovietico (divise militari, spillette e oggettistica varia). Non ci si salva!

Pranziamo al Mavrigri Restaurant-Chica Bar, scoperto per caso attraversando un cortile. Il ristorante si trova dentro ad un vecchio Caravanserraglio e vi si mangia molto bene.

Alle 18.00 ci rechiamo puntuali all’hammam Bozori Kord che si trova sotto ai portici di legno del centro. Da fuori, segnalato da un’insegna colorata a led con la scritta OPEN, non gli daresti una lira.

Entrando ci si trova in uno stanzone, c’è lo spogliatoio e ci sono degli armadietti con la chiave. Loro forniscono ciabatte di plastica (da uomo, per me enormi) e un telo di stoffa ruvida in cui avvolgersi. Veniamo accompagnate nel calidarium attraverso un ambiente antico, buio e vaporoso. I bassi cunicoli si diramano sfociando in piccole stanze umide con il soffitto di mattoni grigio scuro a cupola. Sembra di fare un salto in un epoca molto lontana con la macchina del tempo. In effetti è uno dei più antichi hammam dell’Asia Centrale, risalente al XIV secolo. Bellissimo.

La quiete, che rende ancora più magica l’atmosfera, è interrotta solo dal rumore delle calde gocce d’acqua generate dal vapore che cadono dalle pareti, dal suono prodotto dallo scroscio delle secchiate d’acqua e dal sommesso parlare in uzbeko dei massaggiatori. Attendiamo il nostro turno mentre i vapori dilatano i pori della pelle. Veniamo condotte in una grande stanza circolare che ha delle nicchie tutt’intorno. Io vengo fatta adagiare sul grande lastrone marmoreo nero centrale, il ragazzo a me dedicato mi lava i capelli sciacquandoli con una secchiata d’acqua tiepida, un rituale che mi ricorda vagamente la scena del film “La mia Africa”.

Poi mi fa stendere sul lastrone di marmo e con un guanto ruvido mi massaggia vigorosamente braccia e gambe, poi mi scrocchia i piedi e le mani intrecciandole alle sue. Ha le mani grandi, raggrinzite da ore ed ore di contatto con l’acqua. Tenendomi fermo un braccio accavalla la gamba opposta premendo sul ginocchio. Mentre mi fa ruotare la schiena mi guarda come per chiedermi se va tutto bene. In quel momento mi perdo nei suoi occhi neri e profondi, perché per l’appunto, a differenza di altri, è un ragazzo bellissimo. Ha il naso diritto, le labbra carnose ben disegnate ed un sorriso che spacca. Ogni tanto socchiudo le palpebre per guardarlo lavorare, i suoi muscoli luccicano bagnati dal vapore. Il trattamento termina con lo scrub fatto con una poltiglia di ginger e altre spezie, lasciato in posa alcuni minuti e risciacquato da secchiate d’acqua prima tiepide e poi decisamente fresche. Esperienza danon perdere.

Leste raggiungiamo il gruppo con cui abbiamo appuntamento alle 19.30 per andare a cena in una casa privata, la Lazisi House. Lesperienza all’hammam e i commenti sui ragazzi addetti al massaggio sono l’argomento della serata. Complice la Vodka ridiamo a crepapelle al pensiero di me che aggiorno il diario scrivendo sul tema tipo plotter!

Dopo essere stati riaccompagnati alla strada principale da un membro della famiglia perché siamo un pò brilli, ci dividiamo tra chi rientra in albergo e chi, come me, vuole vedere il Grande Minareto Kalyan illuminato. Di notte è davvero suggestivo. Tornando verso l’albergo noto che il negozio del coltellaio Sayfullo è l’unico rimasto aperto. Che fortuna! Siccome dovevo scegliere se andare all’hammam o fare shopping non avevo fatto a tempo a comprare coltello e forbici.

 

8° giorno : KHIVA

Lasciamo Bukhara per trasferirci a Khiva percorrendo un’ulteriore strada dissestata. Osservo e annoto tutto ciò che vedo lungo il percorso: distributori di gas, metano e propano, numerosi forni tandir posti su pancali con le ruote, molte case governative, molte case con gli orti, canali di irrigazione, donne che zappano nei campi. Costeggiamo spesso la Ferrovia. Sarebbe ganzo attraversare questo stato in treno, il pulmino però è troppo più comodo e ti consente di vedere più cose. A metà percorso, quando il territorio inizia a farsi sabbioso, facciamo una sosta nel nulla per un pranzo veloce con quello che abbiamo. Quando nel pomeriggio arriviamo a Khiva piove. Sara commenta “se piove dell’altro tornano le cicogne, perché ritornano le rane!” Il nostro Hotel Hayat Inn è situato appena fuori dalle mura di Itchan Kala, la città-fortezza, ed è un bell’albergo.

Facciamo un primo giro di Khiva, semi deserta e a nostra disposizione per l’assenza della consueta invasione turistica. Forse grazie al maltempo. Veniamo immediatamente ammaliati dai colori delle maioliche turchesi di cui è ricoperto il tozzo Minareto Kalta-Minar e dalla forma slanciata del Minareto Islam Khoja. Fotografiamo le cupole verdi e turchesi che brillano nei rari momenti di uno sprazzo di sole, in contrasto col cielo grigio ed i mattoncini color sabbia degli edifici. Perlustriamo l’intrico delle tante viuzze affacciandoci estasiati nelle piazze antistanti le favolose e numerose Madrasse.

La tentazione di fare shopping è subito in agguato, sarà dura non impegnarci come al nostro solito vedendo il vasto assortimento di qualità dell’artigianato, inoltre a Khiva i prezzi sono migliori.

Al Ristorante Yassavul abbiamo invitato a cena Aybek, il nostro autista. Non mangia quasi nulla però, per forza è tanto magro! Il posto è molto turistico con balli e canti nel salone principale. A noi è stata riservata una sala privata defilata dove non arriva il frastuono. Il cibo è molto buono, la crêpe con dentro la salsiccia ed il dolcetto con le mele sono speciali.

Il tipo della reception dell’albergo è assolutamente geniale: non parlando che l’uzbeko, per capire quale chiave della camera darti, chiede scrivere il numero della stanza sulla calcolatrice!

 

9° giorno : KHIVA

Khiva è un gioiellino. Abbracciata dalle sue mura sembra un castello di sabbia. E’ un museo a cielo aperto, un concentrato di Madrasse, Mausolei, Moschee e Minareti giustamente Patrimonio Unesco. Alla “Kacca” (cassa) posta fuori dalle mura facciamo i biglietti validi due giorni per la visite all’interno della fortezza. Occhio a non perderlo perché all’ingresso ci sono i tornelli. Acquistiamo anche il biglietto per fare un giro sui bastioni delle le mura e quello per salire sul Minareto Islam Khoja (dalle 8 am alle 8 pm). Col senno di poi questo ce lo saremmo potuto risparmiare (si può salire su quello della Moschea Djuma). Fuori dalle mura c’è un grande pannello con la mappa dell’Uzbekistan e della Via della Seta. Con una nuova guida visitiamo tante meraviglie constatando che sono sempre diverse ed interessanti. Lui parla ma facciamo fatica a seguire le spiegazioni, sarà che in inglese non si esprime benissimo.. No via, diciamo la verità, la nostra attenzione è attirata da tutto quel che c’è da vedere indipendentemente dalla sua storia, dallo svafillìo dei colori, dalla particolarità delle architetture, dalle botteghe artigiane. I banchini di souvenir tradizionali presenti all’interno dei siti museali poi sono una vera istigazione alla disattenzione! E’ impossibile venire in Uzbekistan e non avere voglia di comprare tutto! Tovaglie dai ricami suzani, cappelli e colli di pelliccia, babbucce di lana, magnetini (carinissimi quelli dipinti a mano), stampini per il pane, porta-libro di legno, cornici, bastoni, taglieri, stoffe, foulards in seta, vestiti con i disegni Ikat, ceramiche.

Ci facciamo una foto di gruppo indossando ciascuno un “cappellone capellone”, una specie di colbacco fatto di lana che si avvicina molto all’insolito cespo di capelli ricci di Sara, caratteristica per la quale gli uzbeki le chiedono i selfie ogni tre per due.

La Madrassa Muhammad Aminxon è enorme, bellissima ed è pure un hotel, chissà quanto costa soggiornare qui. Ci aggiriamo su per le scale e nei cunicoli, godendoci la vista dagli affacci sul grande cortile e facendoci foto a non finire. Museum of Ancient Khorezem, Madrasi Muhammad Rahimhom, Pahlavon Maxmud Maq Barasi, Xunarmand Chilik Muzeyi sono solo alcuni dei nomi degli edifici che visitiamo. Ogni portone svela un interno segreto, ogni cortile un giardino, ogni scoperta regala una vibrazione, uno stupore. Nell’ampio giardino del vecchio castello c’è uno spettacolo di musica e danza tradizionale a ripetizione che piace molto anche ai turisti locali. La Moschea Djuma è senz’altro tra i siti più straordinari per la bellezza dell’ambiente e per la sensazione di pace che regala. All’interno della sua grande sala sono disposte geometricamente oltre 200 colonne lignee intagliate, diverse l’una dall’altra e poggiate su basamenti di pietra anch’essi differenti.

Khiva è bella, ricca, esotica, una vera miniera di spunti fotografici.

Pranziamo al Mirza Boshi, un grande ristorante dalla struttura di legno con i fianchi riparati da teloni di plastica trasparente. Qui assaggiamo le due specialità di Khiva: gli spaghetti verdi all’aneto (Shivit Oshi, il piatto più buono di tutta la vacanza) ed i raviolini all’uovo serviti con una salsa allo yogurt (Tuxum Barak). All’esterno del ristorante una giovane donna sforna senza sosta il fragrante pane uzbeko dal forno tandir. La procedura catalizza l’attenzione di tutti i passanti, tant’è che le vengono scattate foto senza sosta.

Ci disperdiamo per fare acquisti ma ricomincia a piovere. Con alcuni compagni di viaggio trovo riparo all’interno di un cortile dove è in atto una recita in costume.

Durante tutto il viaggio non ho mai avuto la sensazione di pericolo tanto meno la percezione di alcuna disonestà. A Khiva però avviene un episodio antipatico che ritengo doveroso riferire.

Premetto che in questo paese è possibile pagare in Euro, Dollari e Som ma è fondamentale avere banconote assolutamente perfette, non stropicciate, non piegate, non tagliate, non scarabocchiate. Gli Euro non perfetti vengono comunque cambiati in moneta locale ma con una commissione aggiuntiva. Veniamo al fatto. Per acquistare un paio di foulards in seta porgo una banconota da 50 euro al commerciante e in attesa del resto mi vedo restituire la banconota perché ha lo scotch. Alt, non è la mia, la mia era perfetta. Alquanto contrariata dalla sua arrogante faccia tosta, vado a chiamare una guardia turistica a cui  spiego che se un turista gli ha dato una banconota imperfetta non è corretto rifilarla ad un altro. Faccio presente che questo comportamento non contribuisce ad una buona pubblicità tra i turisti e che l’unico danno concreto è che non potrò spendere la banconota difettata nel loro paese. Dopo aver interrogato il venditore, che nega spergiuro, il poliziotto mi chiede se voglio provare a cambiarla con lui alla banca. Accetto per dimostrargli che non è la commissione di 2,50 euro ad attapirarmi, è una questione di principio. Mi assicura che la scena è stata notata e che spera che non si ripeterà. Morale: quando pagate mostrate bene le vostre banconote fronte retro precisando che sono perfette.

Concludiamo la giornata salendo sul Minareto della Moschea Djuma (un suggerimento, portate una torcia) ed infine con una piacevole passeggiata sulla cinta muraria di Khiva al tramonto.

Ceniamo in una succursale del Café Zarafshon, in una lussuosa stanza degna di uno zar dalle pareti stuccate, con lampadari di cristallo, il servizio di ceramica bianco blu e oro e la tovaglia trasparente plastificata a protezione di quella bella!

 

10° giorno : KHIVA – AYAZ QALA

Incredibile, oggi c’è il sole! e alle 10.00 inizia a farsi sentire. Saliamo sul Minareto Islam Khoja che domina l’omonima Medersa poi ci concediamo un ultimo giro di acquisti, un s’avesse a perdere il vizio… Io compro una paio di stupende marionette di cartapesta per la mia nipotina.

Partiamo intorno a mezzogiorno per il deserto del Karalpakstan facendo un pic-nic lungo la strada. Per dormire in yurta una sola notte Mariagrazia ha suggerito di preparare un piccolo zaino con le cose essenziali lasciando tutto il resto sul pulmino. Non vi scervellate, la lista ve la faccio io: pigiama, mutanda di ricambio, spazzolino e dentifricio, torcia frontale, tappi per le orecchie, ciabatte, una bottiglietta d’acqua. Nei bagni la carta igienica c’è. Si dorme su materassi disposti per terra completi di lenzuola e piumotto. Viene fornito anche un asciugamano. Il costo del pernottamento include cena e colazione. Non c’è wifi ma tutt’intorno ci sono cammelli e dromedari ed un panorama sconfinato che regala una sensazione di libertà indescrivibile. Le vicine roccaforti di Ayaz Qala sono affascinanti. Facciamo subito una bella passeggiata esplorativa che, dopo la scalata mattutina del minareto, impegna ulteriormente le nostre gambe. Rientriamo al campo in tempo per goderci il tramonto con tanto di birra e noccioline. Dondolarsi sull’altalena mentre il tuo sguardo si perde sul panorama desertico è uno di quei momenti impagabili di un viaggio, di quelli che ricordi con piacere quando hai bisogno di fermare il tempo per ristrutturare la mente.

Cena nella grande yurta del campo con antipasto di verdurine, plov, uva passa e le noccioline rivestite di zucchero rosa che sono una vera droga perché una tira l’altra. Pasteggiamo con la vodka evitando l’acqua per eludere il viottolo notturno ai bagni. Mariagrazia tira a sorte i nomi per la notte. Io dormirò nella yurta da cinque posti con lei, Maurizio, Sara e Silvia. In quella da quattro gli altri: Alberto, Elvira, Nicla e Patty. Il materasso appoggiato a terra è comodissimo, come pure il guanciale, i migliori della vacanza!

 

11° giorno : AYAZ QALA – NUKUS

Che dormita memorabile nel silenzio totale con risveglio al suono del bramito dei cammelli! Peccato dover lasciare questo magico angolo di mondo. Visitiamo ciò che rimane della fortezza d’argilla di Toprak Qala poi ci dirottiamo verso Nukus. Strada facendo vediamo un torre del silenzio zoroastriana.

Arrivati a Nukus andiamo subito al Museo Igor Savitsky che contiene una mirabile collezione di opere dell’avanguardia russa da lui reperite e recuperate. Avevo grandi aspettative nel visitare questo museo, così sperduto, ignorato e dalla storia incredibile. Non le ha minimamente disattese. Le molte opere raccolte nel Museo sono uno straordinario caleidoscopio di colori e un invito alla riflessione. La storia della loro raccolta è affascinante. Da non perdere.

Siccome oggi è il compleanno di Alberto andiamo in missione speciale alla ricerca di un dolce e dell’ormai immancabile vodka per la serata. Grazie alla solerzia e alla pazienza di Aybek, riusciamo a trovarlo in un bar. Il dolce, succulento e caramelloso, viene imballato in un cartone non senza difficoltà per l’insistente tentativo di due bambini di leccarlo con le dita! Ceniamo nel salone del nostro albergo, il bell’Hotel Karalpakstan Palace, con ottimo cibo, il dolce di compleanno e tanti brindisi.

 

12° giorno : NUKUS – MOYNAQ

Dopo l’ottima colazione in albergo facciamo una piccola spesa per un pranzo al sacco: pane, formaggio affumicato (il mio preferito), pomodori e acqua. La strada per Moynak è più che dissestata, sono 210 km di gincana tra le buche attraverso il niente. Scorrono davanti agli occhi distese di campi, talvolta coltivati, talvolta bianchi per il sale che affiora dal terreno, grandi tubi del gas di infinita lunghezza, qualche blocco di case governative, solitarie fermate d’autobus.

Ma vale la pena farsi tre ore e mezza di sobbalzi? Sì, ogni minuto vale questo viaggio, per conoscere una realtà sconvolgente e poterne solo immaginare il passato. Fino al 1960 Moynaq prosperava grazie alla pesca nel Lago Aral. A causa delle deviazioni dei fiumi che affluivano al lago, per intensificare la coltivazione e la produzione del pregiato cotone uzbeko, è stata generata una delle più grandi e gravi catastrofi ambientali a livello mondiale, ai più sconosciuta, con inevitabili irreversibili conseguenze per le fiorenti attività e per la popolazione di Moynaq.

Alcune barche arrugginite sono state trascinate in secca nel terreno desertificato vicino al Faro, dove è stato allestito un’inquietante spazio museale all’aperto. L’Ecological Museum of Muynak, dedicato alla storia della città e al suo ridente passato dal triste epilogo, è commovente. La visita inizia con la proiezione di un filmato che mostra la città, il suo lago, il pesce abbondante, il fervore dei suoi pescatori. Le foto ed i quadri esposti raccontano una quotidianità scomparsa. Sono presenti reperti di vario genere, animali impagliati a testimonianza di una biodiversità estinta, costumi ed utensili tradizionali, le scatolette della Moynaq Fish Factory che non vengono più prodotte a causa della chiusura dello stabilimento per la conservazione del pesce. Le foto aeree della vasta area del lago denunciano inequivocabilmente il progressivo ritiro delle acque. Sono immagini potenti, impattanti. Esco dal museo in lacrime, turbata, affranta e impotente. Per dare un contributo al museo, affinché continui ad esistere quale monito per le generazioni future, acquistiamo l’ennesimo souvenir e scrivo, per ricordare, che ho preso qui la mia pochette porta soldi ricamata.

Ma la Moynaq descritta nelle guide in stato di abbandono, immobile, malinconica e alla deriva, sta lasciando il passo alla nuova Moynaq desiderosa di riscattarsi, di risorgere. Ovunque sono presenti cantieri aperti, è tutto in ricostruzione, c’è un anfiteatro ed un campo da calcio con gli spalti. Nuovi edifici dallo stile moderno si integrano con quelli vecchi. I giardini sono ampi ed ariosi.

Forza Moynaq!

Pic nic in un giardino, due ulteriori foto prima di uscire dal paese e ritorno a Nukus.

Giunti all’albergo dobbiamo salutare Aybek, il nostro bravissimo autista allampanato, perché domani partiamo. Mi sento terribilmente italiana raccomandandogli di mangiare!

A proposito… la cena quando viene servita? Solo dopo un pezzo comprendiamo che non è nel salone dell’albergo anche stasera. Per scusarsi del disguido, i padroni dell’hotel ci portano con le loro auto in un super ristorante elegantissimo di cui ahimé non ho segnato il nome.

Tutta colpa della vodka!

 

13° giorno : Nukus – Tashkent – Roma

L’Hotel Karalpakstan Palace è veramente ad un tiro di schioppo dall’aeroporto. Sul volo da Nukus a Tashkent trovo incredibile e sconcertante che sul monitor la mappa dell’area sorvolata raffiguri il Lago Aral nella sua interezza, com’era nel 1960.

 

Quante cose mi hanno colpita in questo viaggio, quanti ricordi mi porto a casa. Sono talmente tanti che è difficile fare una classifica in ordine di importanza per ogni emozione regalata. L’energia potentissima provata accanto agli uzbeki in preghiera davanti alla tomba di Tamerlano dove ho sentito la forza di un uomo che ha fatto cose straordinarie per il suo paese, la malinconia per l’infelice storia di Moynaq, la libertà provata al campo tendato di Ayaz Qala dinanzi alla vastità del deserto con quella birra e la magia del tramonto con i cammelli intorno, il riposo meravigliosamente rigenerante nella yurta, lo sguardo del bellissimo ragazzo senza nome dell’Hammam e quel bacio fugace, ops, non l’avevo scritto?, l’imponenza sempre sorprendente dell’architettura, la bellezza dei decori e degli intarsi, i mattoni maiolicati, le cupole turchesi, i minareti, le mura, la straordinarietà dell’osservatorio astronomico di Ulug Beg e dei suoi studi, il sapore ed il profumo del pane e del cibo che si sposa tanto bene con la vodka, lo shopping irresistibile per la tanta roba bella, tradizionale ed autentica, la pulizia e l’ordine nelle città, il popolo uzbeko, curioso, affettuoso e generoso, estremamente comunicativo nonostante la barriera linguistica e con il sorriso dai denti d’oro. Elementi per un risultato entusiasmante.

Grazie Uzbekistan, hai superato di gran lunga le mie aspettative.

 

Appunti e raccomandazioni finali: si saluta con la mano destra sul cuore, non abbiamo visto un solo senzatetto né qualcuno chiedere l’elemosina, occhio a dove mettete i piedi perché spesso e volentieri i canali di scolo in prossimità dei marciapiedi non sono protetti, nelle camere manca sempre la cuffia per la doccia, il laundry service negli alberghi costa una sciocchezza, portate un rotolo di carta igienica (spesso è come la carta vetrata), prima di partire non vale la pena prenotare i dollari, portate solo euro (banconote in condizioni perfette e spiccioli da 1-2-5-10), portate poca roba per avere posto in valigia per gli acquisti, per spendere i Som residui non demandate l’acquisto dei souvenir all’aeroporto perché c’è poco e quel poco che c’è è di scarsa qualità ed è pure caro, e anche se non c’è bisogno di dirlo fate come noi: alzate il Pil uzbeko!

 

 

Un saluto ai miei compagni di viaggio: grazie per essere stati speciali, Rahmat!

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