Nepal

L1090317Nepal

Periodo : agosto 2017

Durata : 11 giorni

Tipologia : con Avventure nel Mondo “KATHMANDU-POKHARA SOFT”

 

 

ITINERARIO

Bhaktapur – Changu Narayan, Thimi – Dakshinkali, Pharphing Monastery, Kirtipur – Dhulikhel, Namobuddha, Panauti – Pashupatinath, Boudhanath – Boudhanilkanta, Patan, Swayambhunath, Kathmandu – Bandipur – Pokhara – Sarangkot e ritorno a Kathmandu

DIARIO

 

KATHMANDU – BHAKTAPUR

L’aria è densa di umidità a Kathmandu, agosto è precisamente il periodo del monsone.

Con un pulmino ci trasferiamo a BHAKTAPUR, terza città medioevale della valle. Il nostro albergo, HOTEL BHINTUNA, si trova ai piedi della scalinata che conduce alla Durbar Square. Per accedere alla DURBAR SQUARE bisogna fare un permesso da esibire ogni qualvolta vi si accede. Il permesso riporta il numero di passaporto e può essere giornaliero o valido più giorni. Varcata la ricostruita porta d’ingresso sono abbagliata dalla straordinarietà della piazza. Nonostante il terremoto, di cui sono ben visibili i segni, ogni angolo riserva qualcosa di sorprendente. Forse non ho mai visto una tale concentrazione di templi e pagode dalle forme differenti, con stupendi elementi decorativi ed intarsi raffinati. Sono le 19.30 e Bhaktapur pullula di gente: venditori di verdura uova vestiti ciabatte souvenir, un gruppo di uomini prega cantando sulla piazza, i ragazzini sfrecciano avanti e indietro in motorino con una spiccata tendenza a voler passare esattamente dove stai camminando tu, anche se a fianco c’è lo spazio! Nell’intricata zona centrale ci sono antiche case e palazzi, ristorantini, negozi di souvenir. Ovunque, su ogni marciapiede, i cani stanno accasciati per terra sfiniti dalla calura.

Ceniamo alla SHIVA GUESTHOUSE dove assaggiamo la nostra prima birra locale: una Kathmandu. La cucina è espressa, una peculiarità di tutti i locali nepalesi, quindi bisogna avere la pazienza di attendere le pietanze ordinate. Alle otto e mezza notiamo chiari segni di impazienza dei giovani camerieri, vengono chiusi gli scuri delle finestre e gentilmente ci chiedono più volte se abbiamo finito. Noi siamo abituati a trascorrere del tempo intorno al tavolo, a dilungarci nel conversare, fra l’altro dobbiamo ancora conoscerci. Ma qui bisogna innanzitutto cenare presto e poi, casomai, chiacchierare altrove. In pratica alle nove in giro non c’è più nessuno, a parte i cani che, ripresisi dal caldo, deambulano razzolando nei rifiuti e rivendicando i propri territori abbaiando a turno gli uni agli altri facendo una vera e propria cagnara. Concludiamo la serata sul terrazzo del nostro Hotel per godere del fresco della sera.

 

CHANGU NARAYAN – THIMI – BHAKTAPUR

Alle cinque del mattino iniziano i rituali di abluzione e preghiera al tempio di fianco all’albergo. Ogni fedele suona ripetutamente la campana per svegliare la divinità, e anche noi.

Essendo i nuovi arrivati, alcuni mendicanti e venditrici di collane ci fanno la posta all’ingresso del dell’Hotel. La nostra guida si chiama Dinesh, è di Patan e parla perfettamente italiano perché ha studiato alla scuola Dante Alighieri di Kathmandu. La sua statura di circa 1,60 mt è nella media nepalese, media confermata dall’altezza di porte e soffitti dei vecchi edifici. Dinesh è molto gentile, sorridente, motivato a farci conoscere ogni palazzo, tempio e tempietto. L’autista del nostro pulmino si chiama Prakash e parla poco, figuriamoci italiano o inglese, ma si rivelerà puntuale, attento e prudente e per la sua funzione è ciò che più conta. Iniziamo la giornata visitando CHANGU NARAYAN, il tempio più antico del Nepal, riccamente decorato e dai notevoli bassorilievi. Proseguiamo visitando il villaggio newari di THIMI dove viene lavorata l’argilla per la produzione del vasellame. Per strada ci sono delle specie di piccole betoniere, azionate girando una manovella, da cui fuoriesce un impasto omogeneo di argilla e sabbia sapientemente dosate a occhio. I vasai lavorano in casa e i prodotti finiti vengono messi a seccare all’aria nei cortili, poi vengono cotti nei forni. L’atmosfera del villaggio è molto pacifica e la gente si lascia fotografare senza problemi. Rientriamo a BHAKTAPUR.

Dinesh ci accompagna fino alla DURBAR SQUARE dove ci descrive ogni tempio e a chi è dedicato. Osserviamo l’andirivieni dei fedeli che suonano la campana posta all’esterno dei templi per svegliare la divinità affinché ascolti la loro preghiera. Il bellissimo Palazzo del Re, con 55 mirabili finestre lignee,  domina la piazza. Si può entrare solo nel cortile e dove c’è la piscina per le abluzioni. Durbar Square vista di giorno sembra diversa, più grande e i danni del terremoto appaiono più evidenti. Ogni negoziante cerca di attirarti nella sua bottega ma senza l’insistenza esasperante degli indiani. I prodotti dell’artigianato locale sono: stoffe, maschere e altri oggetti di legno e cartapesta, campane tibetane, gioielli, vasellame, manufatti di carta.

Pranziamo in un localino alla buona dove una famiglia produce a ritmo continuo dei buonissimi momo di carne di bufalo. I momo sono una specie di raviolo fatto a mano. Vengono cotti al vapore sopra un pentolone e serviti con una salsina speziata leggermente piccante. Un piatto di momo –  nella quantità standard di 10 pezzi – qui costa 60 Rupie (neanche 60 centesimi di euro).

Come trovare questo posto: entrando nella Durbar Square arrivate fino a piazza Taumadhi Tole e proseguite di poco cercando la Yeti Guesthouse, nell’edificio di fronte c’è il ristorantino dei momo.

Dinesh ci porta poi poco più avanti in un posto dove vendono lo Yogurt del Re, una delizia che tenteremo di ritrovare per tutto il viaggio ma dal sapore ineguagliabile. Come riconoscere il posto? A lato dell’ingresso di un bugigattolo c’è un cartello bianco e verde con delle scritte in Nepali raffigurante tre coccettini di yogurt e una ciotola più grande. Lo Yogurt, venduto nei bicchierini di plastica trasparente, è conservato in un frigorifero a pozzo come quello dei gelati, è di bufalo, vellutato ed ha un aroma di vaniglia. MAI PIU’ SENZA!

Giriamo tutto il giorno, talvolta ascoltando distrattamente Dinesh che gentilmente si prodiga nel descriverci ogni tempio, ogni dio a cui è dedicato, a quale cavalcatura è associato. Bhaktapur ci piace molto. Siamo fortunati, perché nonostante sia il periodo del monsone per ora non ha ancora piovuto, anzi il sole è cocente! Ho fatto bene a portare l’ombrello per utilizzarlo anche come parasole, come fanno loro. MAI PIU’ SENZA!

In piazza TAUMADHI TOLE c’è una processione religiosa. Tantissime donne vi stanno convergendo tenendo in mano delle offerte. Seduti per terra ci sono alcuni Bramini che appiccicano una poltiglia rossa sulla loro fronte, la TIKKA, segno che il fedele ha pregato.

Visito il Museo dell’Ottone e del Bronzo, non tanto per i suoi reperti quanto per vedere la bella struttura della casa. Di fronte, perpendicolarmente, c’è una stradina dove c’è la famosa Finestra del Pavone, un intarsio ligneo di pregevole fattezza. Di fronte alla Finestra del Pavone c’è una fabbrica di carta di riso visitabile dove è possibile acquistare i manufatti. Più giù sulla destra c’è un intagliatore di strumenti musicali, ci fa ascoltare alcune note suonando un SARANGI.

Il Nepal mi sta sembrando un mix di India e Indonesia, però senza lo stress di chi ti vuole vendere assolutamente qualcosa o fregare in qualche modo (leggi i racconti in questo sito). Ceniamo sul rooftop della SIDDHI HOME, in Taumadhi Square. In accompagnamento a riso e noodles stasera assaggiamo la birra Everest, senz’altro di livello superiore alla Kathmandu. Ovviamente, ad uscire dal ristorante, siamo gli ultimi. Dobbiamo imparare ad anticipare l’orario.

 

DAKSHINKALI – PHARPHING MONASTERY – KIRTIPUR

Nottata semi-insonne per una serie di motivi:

  1. ieri ho bevuto troppa Coca-Cola, d’altronde è stata fondamentale per sopportare il caldo e la fatica
  2. il divertente dopocena in terrazza fino a mezzanotte non mi ha certo indotto il sonno
  3. dopo il dopocena i cani hanno abbaiato a lungo a più non posso
  4. ad un certo punto ha cominciato a piovere di brutto
  5. un rubinetto perdeva
  6. i fedeli hanno iniziato a suonare la campana del tempio prima del solito, saranno state le tre!
  7. nella scuola, anch’essa proprio accanto all’albergo, la maestra ha iniziato la lezione di arti marziali alle cinque!
  8. la sveglia era puntata per le 6,20.

Ma che importa, sono in vacanza! Recupererò sul pulmino.

La prima tappa di oggi ci vede a DAKSHINKALI, un frequentato tempio dedicato alla Dea Kali dove, nei giorni di martedì e sabato, le vengono sacrificati gli animali. E’ un tempio molto importante, meta di pellegrinaggi – spiega Disham – ma di sacrifici vediamo ben poco, perché li fanno dietro l’altare. Poi gli animali vengono macellati e cucinati in un piazzale coperto più in basso. Più che da galli e capretti da sacrificare, l’intera area è infestata dai piccioni, piuttosto diffusi ovunque a dire il vero. Ecco perché l’ombrello è fondamentale, serve anche per ripararsi dalle loro bombardate!

La parte migliore della visita a Dakshinkali risulta tutto sommato la strada per arrivarci, due ore e mezza di vero Camel Trophy. Ci fermiamo a dare un’occhiata dall’esterno al tempio buddista di PHARPING poi pranziamo in una bettola con i soliti momo di carne, meno piccanti di quelli di ieri però con carne più grossolana, talvolta callosa, e dalla pasta più spessa e meno croccante. Per me vincono i momo di Bhaktapur.

Dopo una breve passeggiata sul ponte tibetano sospeso sulle GOLE DI CHOBAR e la visita del santuario JAL BINAYAK dedicato a Ganesh proseguiamo per KIRTIPUR, cittadina newari che ha risentito parecchio del terremoto ed è in ricostruzione. C’è da dire che i nepalesi non stanno mai con le mani in mano. Sono sempre intenti a fare qualcosa: produrre, trasportare, edificare, piantare, raccogliere, lavarsi, lavare o comunque sciaguattare, pregare, vendere, impastare, cucinare e guidare! A Kirtipur sono rimaste in piedi alcune belle abitazioni, tra cui il Palazzo del Re, dalle magnifiche finestre lignee. Il tempio di UMA MAHESHOWE, dedicato a Shiva e Parvati e Bag Bhairab (dalla faccia di tigre), è molto bello.

Alle sei siamo completamente bloccati nel traffico di Kathmandu, una cosa allucinante. La strada principale è in rifacimento perché vorrebbero allargarla. Essendo piovuto è piena di melma. Il tipico guidatore nepalese, che sia al volante di una macchina, di un camion, di un motorino o di qualsiasi altro mezzo, deve passare per primo, non importa se rischia di fare un frontale o di essere schiacciato tra due mezzi mentre tentano di passare incrociandosi a malapena, ci si infila in mezzo, è più forte di lui! Sono tentata di tirare fuori l’ombrello e tirarlo in capo a qualcuno! Sarebbe un altro possibile uso.

In Nepal i piatti principali sono praticamente sempre i soliti: riso, noodles, momo, differenziabili dal tipo di cottura, di ripieno o di condimento. Resta quindi da fare solo la classifica dei migliori mangiati dove. A Bhaktapur ceniamo al CLOUD’9, un locale incantevole, situato in una stradina interna scendendo sulla destra dalla Durbar Square, nel cui bel giardino scorrazzano dei topi. MAI PIU’ SENZA! quello che è già diventato un tormentone del viaggio inizia a virare dall’autentico must have alla burla, rendendolo esilarante.

 

SCENIC FLIGHT – DHULIKHEL – NAMOBUDDHA – PANAUTI

L’appuntamento per andare all’aeroporto è fissato per le 5.45. Fuori piove, si va lo stesso? Sì, si va, magari il tempo cambia repentinamente. All’aeroporto di Kathmandu scorriamo il tabellone dei voli domestici ed i fantastici nomi delle compagnie: Yeti Airlines, Himalaya Airlines, Buddha Air.

Il nostro volo, programmato con Buddha Air per le 6.30, è in attesa di verifica delle condizioni meteo. Dopo circa un’ora viene cancellato, non si sarebbe visto nulla per la nebbia. Non so se essere delusa o contenta. Avevo ormai vinto la paura alimentata da tutte le battute scaramantiche sparate a raffica dal gruppo per dominarla…

Riattraversiamo Kathmandu nel pieno vigore del suo traffico delirante e rientriamo in albergo per fare colazione, poi si riparte. La prima sosta è a DHULIKHEL dove c’è uno dei tanti templi dedicati a Shiva. La cittadina è graziosa, con alcune belle case purtroppo malmesse e apparentemente prossime al crollo. Col pulmino percorriamo un buon tratto della strada che porta in Tibet. E’ ben tenuta ma ci sono molti tornanti. Scendiamo in un piccolo agglomerato di case e da qui ci incamminiamo verso il Monastero NAMOBUDDHA. La passeggiata, sullo sterrato in mezzo ad alberi ad alto fusto, con vista sulla vallata disseminata di risaie terrazzate, è molto piacevole. A causa della pioggia in certi tratti la strada si trasforma in un ammasso di fango argilloso.

Qui, come altrove, vediamo le donne impegnate a trasportare sulla schiena voluminosi fasci di erba e pesanti gerle piene di mattoni. Pranziamo nel ristorantino tibetano situato nel piazzale ai piedi della scalinata che porta al Monastero. Il coloratissimo e grande Monastero è stato costruito su un’altura, in splendida posizione. Dalla sommità esterna, dove sono appese a raggiera le bandiere di preghiera colorate, si domina l’intera vallata a 360 gradi. Una visione stupenda, che regala un senso di armonia e benessere, tanto che da qui non verremmo più via.

Scendiamo a valle accompagnati per un lungo tratto da un cane meticcio che chiamiamo Nero (indovinate il colore). Passiamo per un villaggio dalle case dalla forma inconsueta, oserei dire rurale, essendo col tetto a capanna dove evidentemente viene stivato qualcosa. Nel villaggio le case sono abitate sia dalle persone che dagli animali: galline, capre, vitelli. Nero azzanna una gallina e un uomo lo caccia via a bastonate. Inizia a piovere e in un battibaleno la strada diventa fangosa. Un uomo sta lastricando la strada, che a noi si presenta in salita, semplicemente ponendo delle pietre aguzze una accanto all’altra. La passeggiata, lontana dalla polvere e dalla confusione della città, la vista dall’alto della valle, anche la pioggia, hanno contribuito a rendere meravigliosa questa giornata.

E’ questo il Nepal che sognavo.

Concludiamo il giro a PANAUTI, un grazioso villaggio newari.  Arrivando al calar del sole le mura del suo bel tempio affacciato sul fiume ci appaiono color porpora. Purtroppo non possiamo trattenerci molto perché dobbiamo rientrare. Ceniamo al NEW WATSHALA GARDEN RESTAURANT dove, già alle otto, restiamo gli unici clienti!

Inizia a piovere proprio mentre rientriamo in albergo. Come sarà il tempo domani mattina? E’ il caso di fare un’altra levataccia per tentare di vedere le montagne con il volo panoramico? Ho dei forti dubbi e metto in ordine i miei pensieri: con Buddha Air ho già sfidato la sorte; tutto sommato preferirei vedermi le montagne davanti diversamente, non da un finestrino; il volo potrebbe essere deludente a causa della poca visibilità; posso fare lo zaino domani mattina anziché stasera che sono già cotta; soprattutto ho la sensazione che il volo non partirà. Decido di rinunciare.

Domani si vedrà se ci ho indovinato.

 

PASHUPATINATH – BOUDHANATH

Alle 5.00 suona la sveglia. Silvana si prepara e mi avverte quando esce affinché io possa chiudere la porta della camera. Dopo poco inizia lo scampanellio al tempio. Nonostante le varie interruzioni dormo fino alle 7.20, quando suona la mia sveglia. Stanotte ha piovuto molto ed è pure saltata la corrente. Silvana mi informa con un messaggio che stanno rientrando perché il volo è stato cancellato. Veggente sono!

Preparo lo zaino e scendo a fare colazione con i compagni di viaggio rientrati insonnoliti e abbacchiati. Subito dopo partiamo per andare a vedere le cremazioni a PASHUPATINATH.

Pashupatinath è un sito dall’atmosfera molto spirituale e, rispetto a Varanasi, più serena. C’è modo di assistere alle cremazioni stando sul lato opposto del fiume, di fronte alle gradinate con le piattaforme. Volendo si può stare anche più vicino ma, tra che non è uno spettacolo circense e che il caldo del fuoco ed il fumo sono devastanti, è preferibile mantenere la distanza. I corpi dei defunti, appoggiati su scivoli di pietra che diradano nell’acqua sacra del fiume BAGMATI, vengono prima lavati, poi onorati con una cerimonia di preghiera, incensati e coperti di fiori. Vengono successivamente coperti completamente da teli bianchi e arancioni, caricati su una barella e portati alla piattaforma prenotata. Alla salma vengono fatti fare quattro giri attorno alla catasta di legna, già pronta, poi viene depositata sulla pira. Dopo un ulteriore rito con l’incenso viene dato fuoco e il corpo viene ricoperto da altra legna. Per bruciare completamente occorrono dalle cinque alle sei ore. A Pashupatinath c’è anche un forno che consente una cremazione più veloce ma è più costosa e meno purificatrice. Dopo aver osservato l’intero procedimento andiamo a vedere i templi sovrastanti. Al tempio dedicato a Shiva con un enorme toro Nandi dorato nel cortile l’ingresso è consentito solo ai fedeli. Sulla collina ci sono tanti tempietti in cui stazionano i Sadu (mendicanti religiosi), per lo più finti visto che chiedono denaro per essere fotografati. Risaliamo la scalinata tenuti d’occhio dalle scimmie e usciamo.

La nostra gita prosegue verso BOUDHANATH, dove c’è lo Stupa più grande dell’Asia.

Dinesh spiega la storia dello Stupa poi consegna il biglietto d’ingresso ad ognuno di noi. Finora non ho evidenziato che il simpatico e solerte Dinesh pronuncia marcatamente e con fervore le lettere P D T generando un certo sputacchìo. E qui si inserisce la quarta fondamentale importanza di avere l’ombrello, nella sua aggiuntiva preziosa versatilità di “parasputi”. Tornando ai biglietti, faccio notare a Luisa – simpaticamente definitasi “Tolleranza Zero”, con l’Amuchina e le salviettine umidificate sempre pronte, ancora riluttante ad assaggiare la cucina nepalese e pertanto finora sopravvissuta a sandwich – quanto è fortunata ad aver ricevuto il primo biglietto del mazzo con lo sputo originale di Dinesh! Ahhhahhha! MAI PIU’ SENZA! Vedo Luisa tentennare, poi guardarsi attorno e cercare di smerciare il biglietto sputacchiato a qualcun altro. Una scena spassosissima!

Lo Stupa è veramente immenso, bianco e splendente. E’ situato nel mezzo di una piazza circolare perimetrata da edifici con negozi di souvenir al piano terra. In questa circonferenza c’è anche un altro tempio, dove c’è la grande ruota tibetana della preghiera che gira, che ha un paio di balconi che si affacciano sulla piazza e sullo Stupa. Panorama top.

Pranziamo al vicino G Caffè, un self service senz’anima ma funzionale e di qualità, proprio mentre viene giù lo scroscio quotidiano di pioggia monsonica. Quando usciamo la strada è tutta un pantano.

Nel vicino villaggio di BUNGAMATI c’è una casa di accoglienza per bambini disabili. Veniamo accolti nella stanza della musica dove viene improvvisata una piccola esibizione sonora e canora dai bambini ciechi. Al pensiero della vagonata di penne e quaderni che abbiamo portato mi domando che se ne faranno se per caso son tutti ciechi.

Il Direttore ci racconta la storia del centro, di chi la sostiene e le disabilità presenti (non solo cecità). E’ un uomo molto sereno ed è proprio di serenità che è permeato l’intero ambiente. I bambini sono accuditi e stimolati con dedizione e amore. Si vede che stanno volentieri con i loro educatori, non c’è ombra di disagio. Attonita seguo con lo sguardo un bimbo di forse quattro anni senza braccia e senza gambe che, dopo essere stato amorevolmente imboccato da una donna, si lancia ridendo sui moncherini in una lunga corsa. Penso a quante volte e con quale facilità sono incline a contrariarmi per delle sciocchezze.

Una piccola bimba sordomuta dall’aria sveglia ammicca con occhi luccicanti alla borsa dove ha già intuito esserci un tesoro prezioso. Bravo è stato Riccardo, che ha pensato a portare balocchi tipo bolle di sapone, astucci di Frozen, binocoli, cerchietti colorati per i capelli e altri aggeggi che vanno subito per la maggiore. La bimba sordomuta si è accaparrata le bolle di sapone ma quando un altro bambino manifesta interesse ad averle gliele dona lieta della condivisione. Una ragazza, rimasta in disparte per tutto il tempo della nostra visita, mi si avvicina e mi abbraccia. La accolgo, la coccolo, lei ricambia le carezze restandomi attaccata fintanto che non ripartiamo.

L’associazione si chiama DISABLED SERVICE ASSOCIATION www.disabledservice.org.np.

Se volete contribuire anche voi, come noi, con una donazione, anche piccola ma importante, potete farlo contattando Mr. DAYA RAM MAHARJAN ai seguenti indirizzi: dayabunga@wlink.com.np e dsa_drm@yahoo.com e su facebook.com/friendsOFDSA.

Dopo questa particolare esperienza ripartiamo per Kathmandu dove da stasera ci trasferiamo.

Il traffico è sempre delirante, soprattutto la solita irrinunciabile gara a chi passa per primo incastrandosi anche nei vicoli talmente stretti da sembrare a senso unico. Alloggiamo all’HOTEL HOLY HIMALAYA, in pieno centro, nel quartiere Thamel. In cinque andiamo in cerca di un centro massaggi fidandoci delle indicazioni di? non ho capito e non lo voglio sapere, così non lo devo ringraziare. Mentre a passo svelto ci immergiamo tra la folla, svoltando di qua e di là, tengo una sorta di tracciatura del percorso scrivendomi dei riferimenti ad ogni angolo che svoltiamo e la direzione. Non trovando ciò che stiamo cercando chiediamo lumi in un albergo e prontamente veniamo indirizzati ad una Spa vicina, dove probabilmente le ragazze vengono tenute reperibili in caso di bisogno. Claudia, Laura ed io veniamo fatte accomodare in una stanza, Filippo e Giorgio nell’altra. Dopo un’ora usciamo abbastanza rilassati ma non propriamente soddisfatti. Comunque un po’ di stanchezza ce la siamo tolta. E come ritroviamo la strada di casa ora, rincorbelliti oltretutto dal massaggio? Ci pensa Pollicina, che ha preso appunti! In breve tempo, mentre qualcuno per strada ci offre droghe che andavano di moda al tempo dei freak, arriviamo all’albergo. Intuitivamente troviamo il resto della comitiva nel vicino GAIA RESTAURANT dove Luisa prende coraggio e assaggia i momo.

 

BOUDHANILKANTA, PATAN, SWAYAMBHUNATH, KATHMANDU DURBAR SQUARE

Dopo una colazione finalmente apprezzabile in questo Hotel decisamente di livello superiore, partiamo per andare a vedere una cerimonia induista a BOUDHANILKANTA. Alle 7.30 in punto di ogni giorno, la grande statua di VISHNU, sdraiata su un letto di serpenti naga nel bel mezzo di una larga vasca, viene accuratamente lavata dai monaci, poi asciugata, incensata, vestita e cosparsa di fiori. Qui percepisco più che altrove la devozione dei fedeli intenti a fare offerte, accendere candele, incensare e scampanellare, mentre noi, come al solito, curiosiamo, filmiamo, fotografiamo.

La tappa successiva ci porta a visitare uno Stupa situato in cima ad una scalinata di ben 365 scalini, che col caldo e l’umidità del monsone, sono una vera piacevolezza da fare. MAI PIU’ SENZA!

Lo Stupa di SWAYAMBHUNATH è bello ma coperto dalle travi di sostegno a causa del terremoto. Tutt’intorno c’è un mercatino. A dire il vero questo luogo non ha niente di sacro ai nostri occhi, ci pare molto improntato al commercio.

La visita di PATAN era programmata per ieri ma, non essendoci rientrata, la facciamo oggi. PATAN, detta anche LALITPUR ovvero “La città della bellezza”, è la seconda città medioevale più importante della valle. E’ molto bella, verrebbe voglia di perdersi in ogni sua stradina. Forse varrebbe la pena dormire una notte qui anziché a Kathmandu.

Ci sono numerosi templi ovunque, sia induisti che buddisti, e quasi tutti i negozi vendono statue delle divinità, sia piccole che veramente grandi. Il TEMPIO D’ORO è completamente puntellato per il restauro, difficile poterlo apprezzare pienamente. La Durbar Square di Patan è molto bella e ricca di templi. Qui più che altrove sono presenti mendicanti e venditori di collane e souvenir che ti seguono. Il Palazzo Reale è stupefacente, i suoi cortili interni hanno colonne di legno finemente intarsiate come pure di legno sono le sculture incastonate nei muri.

Ci attende ora un momento clou del viaggio: la visione della KUMARI, una DEA VIVENTE.

In Nepal ci sono quattro Kumari reali, la più importante risiede a Kathmandu ed è la più difficile da vedere perché fa solo saltuarie e brevissime apparizioni da una finestra. La Kumari di Patan invece accoglie nella sua dimora i visitatori vis à vis, devoti e non. Ma facciamo un passo indietro. Cos’è una Kumari? Perché è considerata una Dea vivente? La parola Kumari deriva dal sanscrito Kaumarya e significa “vergine”. Secondo la cultura induista incarna la divinità Durga. La Kumari è una bambina generalmente in età compresa tra i 4 e i 12 anni che viene selezionata in base a 36 specifici requisiti. Deve innanzitutto essere fisicamente perfetta, per proporzioni e caratteristiche,  non deve avere tagli né averne riportati in precedenza. Il suo oroscopo deve essere allineato a quello del Re. Il carattere deve essere mite e non deve avere paura. Le viene infatti imposta una serie di prove di coraggio e colei che meglio le supera diventa Kumari. Resta in carica fino all’età dello sviluppo o a quando avrà una semplice ferita: la perdita di sangue significa che Durga ha lasciato il suo corpo. Quando decade fa fatica a trovare uno sposo perché, secondo la leggenda, questo rischia di morire entro sei mesi. Percepirà una rendita vitalizia.

La Kumari è sempre vestita di rosso e truccata in un modo particolare e stabilito, se ho ben capito è la madre che le fa il trucco. La Kumari è la Dea protettrice del Re di cui può prevederne la morte. L’occhio disegnato sulla fronte rappresenta i suoi poteri divini. Durante l’incarico la Kumari non può mai poggiare i piedi a terra (per evitare di tagliarsi!), deve mantenere un atteggiamento distaccato e anzi, qualora alla sua presenza le scendesse una lacrima o anche solo le si inumidissero gli occhi, questo significherebbe morte sicura entro breve tempo per chi le sta di fronte. Capite a quale possibile annunciata sciagura ci siamo sottoposti con noncuranza?

La Kumari è rimasta impassibile davanti alla nostra irriverente sfilata al suo cospetto per ossequiarla ma più che altro alla sfrontata raffica di foto che le abbiamo scattato. Se non altro abbiamo le prove della mancata lacrimazione…

Dopo il momento mistico ad elevatissimo livello, Dinesh ci porta dal suo socio in affari che produce campane tibetane. Il figlio ci mostra la differenza tra quelle forgiate a mano e quelle fatte a macchina. Il suono prodotto dalle campane artigianali è totalmente differente e ha una durata decisamente superiore. Le campane tibetane sono esteticamente belle e, secondo i nepalesi, sono terapeutiche. Ci viene offerta una dimostrazione pratica. La ciotola produce delle vibrazioni sfregando o battendo l’apposito percussore sul bordo esterno. Posizionandola capovolta sulla testa tipo casco e appoggiandola lungo la schiena e sulle ginocchia la sensazione è piacevole ma da qui ad essere curativa sono alquanto scettica. Qualcuno acquista la propria preziosa vitale campana mentre fuori piove (nb quando piove abbiamo sempre la fortuna di essere al riparo).

Fuori dalla bottega sono appostati dei venditori di collane, cianfrusaglie e …campane tibetane fatte in serie! Cessato di piovere ed elusa la barriera andiamo a pranzo in una bettola dal moderno nome di THE BURGER HOUSE dove mangio dei Chopsuey noodles con tofu spettacolari.

Sento due gocce. Piove di nuovo? No, è Dinesh che ci richiama per andare.

Una dose di bollitura sul pulmino è ormai un MAI PIU’ SENZA! Dal finestrino osservo le risaie, i bananeti, le coltivazioni di mais, i cani sdraiati sui marciapiedi, i motorini che fanno zigzag… A proposito di motorini ho notato una stranezza: il conducente porta il casco mentre il passeggero no.

Rientrati a KATHMANDU andiamo a visitare la sua DURBAR SQUARE. Per entrarvi occorre acquistare il solito permesso. Qui è addirittura fornito in un porta badge con laccetto. I danni provocati dal terremoto sono molto visibili. Il palazzo bianco Gaddhi Baithak è diroccato, il Palazzo del Re tutto puntellato, diversi templi sono crollati. Scatta la classifica della più bella Durbar Square della valle: la numero uno è senz’altro quella di Bhaktapur, ai nostri occhi è apparsa più autentica e meno turistica, la più magica.

La nostra attenzione viene catturata dall’annuncio dell’imminente apparizione della KUMARI. Due Dee viventi in un giorno non saranno troppe? Questa è la più importante, la più difficile da vedere, la più attesa. Entriamo nel cortile della sua dimora pericolante e Dinesh ci racconta che quando c’è stato il terremoto, a cui è ovviamente sopravvissuta essendo Dea, la Kumari è rimasta in casa mentre tutto intorno a lei tremava e crollava. Ne è uscita in uno stato di trance, illesa. Altro che la prova di coraggio con le teste di bufalo mozzate e sanguinanti! Dopo qualche minuto ci buttano fuori. E la Kumari? Pare che eccezionalmente uscirà dal palazzo, in processione. Un evento rarissimo. Ma siamo proprio fortunati! Io e Giorgio ci siamo ormai appassionati, senza esagerare col volume invochiamo KU-MA-RI! KU-MA-RI!

Eccola!! E’ una bambina più piccola di quella di Patan ed è trasportata su una portantina perché come detto non può poggiare a terra i piedi. La sua espressione è indecifrabile. Meglio così.

Salutiamo Dinesh, il suo incarico termina con la nostra serata libera a Kathmandu. Giorgio, che solitamente sparisce per un approfondimento culturale del luogo, va a farsi un massaggio presso il MANDALA YOGA STUDIO, lo segnalo perché ne torna soddisfatto. Luisa rimane in albergo indisposta, suggestionata dal cibo nepalese che non vuole più vedere. MAI PIU’ SENZA!

Laura e Mario si perdono da qualche parte. Noi cinque rimasti andiamo a cena al vicino FUSION (è proprio attaccato all’albergo) che propone cucine di vari paesi, anche italiana. Sul terrazzo del FUSION mangiamo rigorosamente nepalese con alto gradimento. Proviamo ad assaggiare delle birre diverse. La Gorkha non ci convince per niente, la Nepal Ice Strong invece diventa la preferita di Claudia. Io resto fedele alla Everest.

 

DA KATHMANDU A BANDIPUR

Oggi partiamo per Bandipur, tappa intermedia tra Kathmandu e Pokhara. La strada è tutta un tornante e alcuni tratti sono parecchio trafficati, con numerosi camion incolonnati. Incolonnati si fa per dire perché come sempre vogliono tutti sorpassare. Grazie a queste manovre azzardate ad un certo punto la viabilità si paralizza. Anche l’ambulanza ha grande difficoltà ad avanzare costretta a fare una gincana tra i mezzi che persistono nel voler in qualche modo farsi avanti. Una volta sbloccata la situazione incrociamo un camion ribaltato.

Ci fermiamo in un paio di “autogrill” locali per sgranchirci le gambe, andare in bagno, comprare generi di conforto (bibite e patatine). Sempre lungo la strada pranziamo in un posto panoramico affacciato sul fiume TRISULI dove viene praticato il rafting. Giunti al bivio per BANDIPUR giriamo a sinistra e in venti minuti arriviamo al BANDIPUR MOUNTAIN RESORT, costruito su una collina e completamente immerso in una foresta di pini ad alto fusto. Preso possesso delle stanze andiamo a fare due passi fino al paese dagli edifici quasi interamente ricostruiti nella storica strada centrale. Ci sono molti localini, ristorantini e guesthouse e si nota un minimo di gusto più occidentale. Facciamo ancora due passi fino al Monastero tibetano sperando di avvistare la catena himalayana ma è coperta dalla nebbia.

Accogliendo la proposta di Mario ci concediamo un giro di birra Everest in uno dei localini con vista sulla valle. Peccato che sia infestato dalle zanzare. Ci fermiamo a cena in paese, in un ristorantino qualsiasi. La solita cucina espressa, forse più lenta del solito se possibile, ci inchioda lì. Nel mentre, in paese c’è un corteo di gente che canta e suona. Non capiamo per cosa o per chi. Il fracasso è simile a quello che producono i coperchi delle pentole. Quando veniamo via è buio pesto e piove. Dopo esserci persi per la strada sbagliata, e ce ne vuole perché qui due sono le strade, ma col buio sembra tutto diverso, rientriamo al Resort e buonanotte.

 

DA BANDIPUR A POKHARA

Buonanotte si fa per dire…

Ieri sera qualcuno ha notato la presenza di grossi ragni in camera, precisamente sotto al letto.

Io e Silvana, valutata sommariamente la situazione, dopo aver constatato che il materasso è a copertura di una specie di cassone, abbiamo preferito non indagare e sperare di non avere sorprese.

Filippo e Riccardo invece hanno vissuto “La notte della tarantola”.

La camera, approntata velocemente per non occupare una tripla improvvisata con un materasso per terra, probabilmente non è stata bonificata. Mi è sembrato infatti ad un certo punto di sentire degli schianti! Riccardo da buon ex giocatore di basket ha preso a bottigliate, centrandolo in pieno, il ragno più grosso scappato sul muro, a detta di Filippo enorme, velocissimo e inquietante. Nessuno dei due è riuscito a far coraggio all’altro, anzi si sono suggestionati reciprocamente. Riccardo ci fa “ammazzare” dal ridere raccontandoci che, subito dopo la bottigliata, l’altrettanto terrorizzato Filippo, solitamente tranquillo ed entusiasta di tutto, abbia affermato “adesso capiranno che con noi non si scherza!” Dopo aver fatto i salti “mortali” per eliminare tutti i ragni, sigillati gli infissi di porte e finestre con il nastro isolante, hanno infine provato a dormire ma senza troppo successo. Il Nepali name del ragno è MAKURA. MAI PIU’ SENZA! puntualizza immancabilmente Giorgio.

Riguadagnata la strada maestra, con il nostro pulmino proseguiamo fino a POKHARA, ridente cittadina base di partenza per i trekking sull’Annapurna.

A Pokhara ci sono molti hotel, ristoranti e negozi che espongono merce interessante, non impolverata, non puzzolente di umido. Alloggiamo al MOUNT KAILASH RESORT, un bell’albergo con piscina e Spa. Per la visita dei dintorni abbiamo una guida locale. Si chiama Shiva, come la divinità. Parla un inglese poco comprensibile e limitato. Non ha certo la cultura del nostro Dinesh, però ha una cosa di cui va molto fiero e alla moda: le unghie della mano sinistra lunghe almeno un centrimetro. MAI PIU’ SENZA!

Iniziamo il tour valutando perdibile la visita al TASHI LING TIBETAN VILLAGE, il centro dei profughi tibetani dove tessono e vendono tappeti. Probabilmente a causa dell’orario non c’è nessuno e non possiamo vedere la mostra fotografica della loro storia, forse l’unica cosa interessante.

Le DEVI’S FALL sono cascate di una certa portata ma tutte recintate, quindi poco apprezzabili. Se non altro c’è l’arcobaleno. Nella stessa area c’è un’imbarazzante giardino dove sono raggruppate delle coppie di sagome maschili e femminili, ognuna dipinta con i diversi abiti tradizionali (nepali, newari, tibetani e no so cos’altro) e senza testa affinché il visitatore possa fruirne per farsi fotografare. MAI PIU’ SENZA!!

Essendo quasi mezzogiorno, con un sole che spacca e l’umidità al 96 %, Shiva ci porta a visitare lo SHANTI STUPA buddista, chiamato anche PEACE PAGODA (è semplicemente la traduzione), che dall’alto dei suoi 1.100 metri domina il lago e la vallata. Quando arriviamo in cima io non ho neanche il fiato per andarlo a vedere da vicino. Mi fermo all’ombra di un gazebo dove vengo intervistata da alcuni indiani curiosi anch’essi in vacanza.

Ci fermiamo nei paraggi, in uno dei ristorantini vicino allo Stupa per un pranzo veloce, più che altro una merenda (ormai non ne possiamo più di mangiare le stesse cose). Quando ripartiamo ci aspetta una discesa rotulo-distruttiva lungo una gradinata scivolosa, con un dislivello di 350 metri, che ci porta sulle sponde del lago Phewa. La parte migliore, quanto meno più rilassante, è la traversata del lago in barca, con ragazzotto ai remi e noi bardati di giubbotto salvagente placidamente trasportati, senza però sostare al bel tempietto situato in mezzo al lago. Non sia mai che a Shiva venga un attacco di cultura. Quando gli domandiamo se il palazzo Reale è visitabile, è evidente il suo disorientamento. Forse neanche sa che esiste, figuriamoci il centro storico.. Dovevamo chiedere dove fare la manicure! Siamo talmente esausti che lasciamo correre e lo liquidiamo.

L’allegra brigata si scioglie dandosi appuntamento per cena. Chi va a fare shopping, chi va a visitare qualcosa per conto suo, chi va alla Spa dell’albergo. Segnalo un negozio sul Lakeside -6 che vende manufatti tessili artigianali di un’organizzazione non-profit che aiuta le donne in difficoltà economiche: WOMEN’S SKILLS Development Organization www.wsdonepal.comwww.wovennepal.com .

Ceniamo mangiando bene al BELLA NAPOLI, il nome è italiano ma la cucina è nepalese.

 

SARANGKOT – RITORNO A KATHMANDU

Piove a dirotto. Ciò nonostante, come convenuto, alle 4.00 chi desidera andare a Sarangkot è ai blocchi di partenza: Filippo, Silvana ed io. Prakash con il pulmino però non c’è. Che abbia pensato che con questa pioggia avremmo tutti desistito? D’altronde lui è sempre super puntuale. Dopo aver atteso una decina di minuti, facendocene una ragione rientriamo in camera e torniamo a dormire. Dopo dieci minuti suona il telefono. E’ arrivato l’autista. Ci rivestiamo veloci e scendiamo.

Sulla collina di SARANGKOT c’è un belvedere che si affaccia sulla CATENA DELL’ANNAPURNA. E’ buio, piove, la strada è fangosa e sale tortuosa. Quando arriviamo non piove quasi più, ma fa freddo e la nebbia avvolge l’intera vallata. Si paga un biglietto anche per appostarsi  per vedere le montagne.

Filippo mi offre un tè caldo. Comincia ad albeggiare, osserviamo le spesse nuvole spostarsi lasciando intravedere ogni tanto qualcosa che assomiglia ad un costone nevoso, come un miraggio. Le nuvole continuano a scendere e salire. Siamo in piedi da due ore e solo a brevi tratti ci pare di avere l’allucinazione di un piccolissimo squarcio su qualche cima. Chiediamo un parere all’omino che vende souvenir nella baracca accanto al belvedere. Lui pensa che ormai non vedremo niente.  Rimontiamo delusi sul pulmino. Mentre stiamo tornando indietro Filippo grida “Guardate! Che bello!” Io che mi ero appisolata all’istante spalanco gli occhi.. guardo.. vedo una catapecchia.. un cortile.. il solito cane stravaccato per terra.. ma che ha visto di tanto bello?

Poi alzo lo sguardo e le vedo. Le montagne più alte del mondo! manca giusto solo l’Everest che è più in là ma anche queste non scherzano! Il comprensorio dell’Annapurna è sfacciatamente libero dalle nuvole e illuminato dal sole. Piango dall’emozione. E’ una visione indescrivibile, magnetica. Preghiamo Prakash di trovare uno spazio sulla strada dove fermarci. Scendiamo, ammiriamo, fotografiamo, ringraziamo tutti gli Dèi induisti e buddisti di questo bel regalo. Siamo felici, la stanchezza della levataccia è scomparsa in un attimo. Il sole splende su ogni cima delineandone il profilo e la bellezza. Non riusciamo a staccare gli occhi da questa meraviglia della natura. Dobbiamo rientrare. Ok, a malincuore facciamo segno a Prakash di essere pronti a ripartire. No, non lo siamo, non lo saremmo mai, ma dobbiamo. Mentre torniamo all’hotel mi ripropongo di rileggere “Uomini sull’Annapurna” di Maurice Herzog, mi era piaciuto tanto diversi anni fa.

Consumiamo una buona colazione con gli altri sul bel terrazzo dell’albergo e caricati i bagagli sul pulmino inizia l’epopea del rientro. Dalle nove del mattino arriviamo a KATHMANDU alle sei del pomeriggio con le stesse tre soste merenda, il solito traffico illimitato, gli applausi finali all’autista.

Siamo sempre meno. Claudia e Riccardo ci hanno lasciato per andare un paio di giorni nel Chitwan nella speranza di vedere le tigri, Laura ha il volo stasera. In sei ceniamo sulla terrazza del FUSION che ci è proprio piaciuto e poi ci spostiamo al GAIA per un dolcino, l’ennesimo Yogurt che non regge minimamente il confronto con quello del Re assaporato a Bhaktapur. Per un goloso doc la sua bontà varrebbe il viaggio!

 

Tanie bath Nepal!

 

Alcune info pratiche

La richiesta preventiva del visto sul sito http://online.nepalimmigration.gov.np/tourist-visa è utile per accelerare le pratiche d’ingresso nel paese. All’aeroporto di Kathmandu prima si va alla cassa e si paga (in dollari o in euro) poi con la ricevuta e la stampata della pre-richiesta si passa il controllo della Polizia che appone il visto adesivo sul passaporto.

Per entrare nelle Durbar Square bisogna avere un permesso, acquistabile al loro ingresso. A Kathmandu è possibile farsi fare una proroga se sapete di tornarci dopo alcuni giorni e potrebbe servire una foto tessera.

 

Alcuni veri MAI PIU’ SENZA utili per questo viaggio:

– i tappi per le orecchie anti-campanari

– la Citrosodina per digerire perché ad un certo punto non ce la fai più

nel periodo monsonico:

– la mantella per la pioggia

– sandali sportivi con un buon grip, in cui tutto quello che entra esce, per camminare anche nel fango e senza schiantare dal caldo portando i piedi ad ebollizione con gli scarponi

– una bandana se non addirittura una fascia di spugna per la fronte che gronda di sudore

– un ventaglio, pesa poco e vi assicuro che non ve ne pentirete

– una felpa leggerissima giusto per le levatacce mattutine

– il repellente, la pila, il phon che non sempre si trova negli alloggi

e naturalmente… l’OMBRELLO!

 

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