Algeria

algeria

ALGERIA

Periodo : dicembre 2006

Durata : nove giorni

Tipologia : MOTORAID di gruppo con Viaggi Avventure nel Mondo

 

 

ITINERARIO

TAMANRASSET – HOGGAR – ASSEKREM – TAMENKREST – DJANET

30 dicembre

AEROPORTO DI ALGERI. Ritirati i bagagli appuriamo la mancanza di una cassa dei nostri viveri. Chi ce l’ha presa? Chiediamo assistenza ad un funzionario dell’aeroporto e recuperiamo la cassa che era semplicemente rimasta sull’aereo in transito diretto a Bamako. Arrembaggio della navetta che porta al terminal dei voli domestici e cena nel bar dell’aeroporto con un panino ripieno di carne e uovo che forse è appetitoso o forse abbiamo tanta fame. Prima di imbarcarci sull’aereo viene richiesto ad ogni passeggero di riconoscere il proprio bagaglio fra tutti quelli stesi per terra davanti all’aeromobile, una cosa mai capitata né prima né poi nei viaggi che ho fatto.

Giunti a TAMANRASSET veniamo raccattati e stipati su tre jeep per andare al “Camping 4×4”.  Più che un camping è una bella struttura dove ci fanno alloggiare in camerate arredate con stuoie e materassini. I bagni sono fuori, in comune. In una delle camere ci ritiriamo tutte insieme noi donne. Sono le due di notte passate.

31 dicembre

Veniamo svegliati di buon ora perché dobbiamo essere tutti pronti per partire alle nove e mezza. Con l’andare dei giorni impareremo invece che “presto” non partiremo mai! Fatta colazione vado con Manuela in paese a fare la spesa col pick up. Per prima cosa però, con l’aiuto del nostro autista Kassim, dobbiamo cambiare gli euro in dinari. L’operazione avviene all’interno di una stanza talmente buia che quasi non riusciamo a vedere l’ “operatore”.

Kassim ci porta dall’ortolano. Le verdure sono esposte in mezzo alla strada e non sono proprio uno spettacolo comunque scegliamo il meglio di cipolle, agli, mele e carote. Pare sia impossibile acquistare tutto nello stesso posto, forse perché è festa e la maggior parte dei negozi è chiusa, perciò ci fermiamo in diversi posti. Certo che è davvero difficile fare la spesa per 17 persone e per 7 giorni. In certi momenti abbiamo la sensazione di aver esagerato con le quantità,  in altri siamo assalite dal dubbio di aver preso poca roba. Accidenti a quando ci siamo assunte questa responsabilità! Prosegue la ricerca di frutta e verdura. Kassim ci porta in negozi con merce sempre più bella. Evidentemente si comporta come farebbe per se stesso andando prima dal venditore più economico per poi salire di prezzo, ma anche di qualità! Acquistiamo cinque chili di arance, mandarini, banane, meloni. Dei pomodori non c’è traccia. Compriamo anche bicchieri di plastica, tovagliolini di carta, sapone per i piatti, due spugnette per lavare le pentole.

Rientrate al Camping apriamo le casse dei viveri per un pranzo veloce e alle tre del pomeriggio finalmente si parte! Nota bene che i motociclisti sono rimasti bardati di tutto punto dalle nove di stamani…

Ci portano con le jeep in paese, dove sono pronte le moto. Frodo e Giancarlo (i due meccanici) riuniscono i motociclisti per dare alcune informazioni tecnico-pratiche e ricordare l’importanza della sicurezza. Dopo di che bem beem beeeeemmm! rombano i motori dei KTM e i quindici raiders partono sotto lo sguardo degli abitanti di Tamanrasset.

Io sono sulla jeep guidata da Dali con Manuela, Veronica e Giancarlo.

Destinazione: massiccio dell’Hoggar e rifugio dell’Assekrem situato a 2.579 metri di altezza. Poco più su c’è l’Eremo del Père Focauld dove vivono ancora quattro monaci. Lungo i primi chilometri c’è vegetazione. Sono acacie e piante grasse velenose (dicono che secernono un liquido che acceca). Proseguendo ci sono intere colline ghiaiose disseminate di fiori rossi, infatti le colline sembrano rosa. Ogni tanto spuntano delle enormi rocce dalle forme affascinanti.

Il percorso è in salita e per niente facile. Circa mezz’ora prima dell’arrivo Manlio cade facendosi male ma non abbiamo la percezione di quanto. Lo carichiamo sulla jeep e Giancarlo prosegue con la sua moto. Col sole già tramontato arriviamo al rifugio dove ci sono altri gruppi a festeggiare il Capodanno, sono italiani e francesi. Manlio viene adagiato su una branda e portato nello stanzone dove dormiremo tutti insieme. Fuori fa un freddo becco e ovviamente i bagni sono fuori.

Nella stanza attigua al dormitorio è stato approntato il cenone: zuppa di couscous, couscous al vapore con qualche raro pezzo di carne, datteri come dessert. Fortunatamente abbiamo una discreta quantità di birra ed Elena offre una bottiglia di vino che ha portato dall’Italia. Mangiamo seduti per terra ai lati di una lunga tovaglia adagiata al suolo ma apparecchiata. Grazie al satellitare possiamo telefonare  casa per fare gli auguri. La comunicazione è facile da prendere e si sente benissimo. Sara offre il torrone al cioccolato fatto da sua madre ed io il panforte fatto dalla mia.

I tuareg suonano su tamburi improvvisati (sono taniche di plastica) e cantano in compagnia di Manuela e Sara. La stanza è strapiena di gente e di fumo. Tiriamo con indolenza fino alla mezzanotte per festeggiare il nuovo anno: ebbene sì, siamo nel 2007 e siamo in ALGERIA! Giancarlo e Frodo escono nel piazzale e mettono in moto due KTM facendole rombare da ferme surriscaldando le marmitte che diventano incandescenti. Interessante il sistema per raffreddarle: ci versano sopra la birra!! Nella stanza adibita a dormitorio, che è una ghiacciaia, c’è il primo vero incontro ravvicinato fra tutti i partecipanti ed i rispettivi aromi.. Io decido di restare nella “sala da pranzo” con i beduini e ci indovino. Come temperatura si sta senz’altro meglio e soprattutto non russa nessuno, diversamente da quanto avviene nella ghiacciaia!

1 gennaio

Dobbiamo assolutamente tornare a Tamanrasset per portare Manlio in ospedale e non vorrei essere al suo posto con qualche costola sicuramente fratturata e 90 km di strada dissestata da affrontare con la jeep. Manuela è salita sul pick-up con l’incarico di fare le foto ai motociclisti, Veronica ed io abbiamo invece il ruolo di infermiere sulla jeep. Cerchiamo di distrarre Manlio ma ad ogni sobbalzo della macchina si lamenta e dice di avere caldo. Penso abbia la febbre. Gli metto un fazzolettino bagnato sulla fronte. Ne trae immediatamente sollievo ma si asciuga in un batter d’occhio. Idea geniale! Tiro fuori un salvaslip! Intriso d’acqua la trattiene molto più a lungo e si rivela davvero funzionale. Manlio chiede continuamente “la pezza” ed è pure sportivo quando saluta il gruppo in sosta “agli archi” che ride alla vista della particolare “pezza” sulla fronte. Gli ultimi cinque km sono un incubo anche per noi perché non sappiamo più cosa fare. Manlio sta malissimo, è stremato e si sente mancare.

Arrivati al Camping viene subito portato all’ospedale accompagnato da Sara e da Elio. Manu ed io torniamo in paese con Kassim per un fare ancora un po’ di spesa comprando pane e datteri. Dei pomodori dovremo fare a meno perché non ce n’è uno a pagarlo oro in tutta la città. Acquistiamo 130 baguettes da un uomo che ha una meravigliosa dentiera mobile come ci mostra tutto soddisfatto. Ci invita anche ad assaggiare il couscous dal suo ciotolone. Anche no, grazie. Pranziamo al Camping 4×4 col solito pane e tonno in scatola. Torna Elio dall’ospedale. Riferisce che Manlio ha quattro costole fratturate di cui due scomposte. Lo faranno volare per rientrare in Italia? Al di là di questo contrattempo siamo impossibilitati a ripartire perché il camion – tanto fantomatico quanto fondamentale mezzo al seguito del raid per il trasporto di acqua, gas, bagagli, varie ed eventuali – non è pronto prima di domani…

A questo punto pensiamo di trascorrere un pomeriggio nell’inerzia più totale! invece ci pensa la Polizia algerina ad impegnarcelo per ben tre ore..”Cammeràaaata!” Devono verbalizzare l’incidente: com’è successo, chi ha visto per primo l’accaduto, cosa abbiamo fatto, qual’era la gravità della situazione, perché non abbiamo portato subito l’infortunato all’ospedale di Tamanrasset. Sono quella che parla meglio il francese, perciò mi adopero in veste di interprete. Madame! Il poliziotto sembra un personaggio uscito da un film di Mel Brooks ma è efficientissimo. Ha in mano un tabulato con tutti i nostri dati, nomi e cognomi, numeri di passaporto e chiede chiarimenti sul rilascio del visto e sulle tempistiche italiane di rinnovo del passaporto. E’ la procedura, dice, ma è inflessibile e vuole precise risposte. Vengono interrogate le persone “informate sui fatti”, principalmente Nicki perché è stato il primo a vedere Manlio a terra ed Elio “il Dottore” perché ha prestato i primi soccorsi.

In sostanza viene stabilito che Manlio non è stato immediatamente riportato a Tamanrasset perché

  1. era tardi ed era buio
  2. eravamo lontani
  3. il Dottore ha potuto stabilire che non era troppo grave, almeno così sembrava.

Non capiremo mai perché questo verbale è stato fatto firmare a Nicki e non sapremo mai se ciò che ha firmato corrisponde ai punti uno due e tre giacché è stato scritto in arabo. Ci viene anche richiesto di mostrare un paio dei nostri passaporti affinché Cammeràta veda che siamo in regola col visto e con la validità del documento. Ridendo e burlando il poliziotto alterna domande serie a canzoni di Toto Cutugno, barzellette incomprensibili e considerazioni politico-sociali e chi più ne ha più ne metta. Guarda chi c’è! Manlio fa il suo ingresso sorridente a bordo della jeep di Dali. Le costole rotte sono aumentate ma d’ora in poi, per qualsiasi prognosi, Elio risponderà “non è niente”. Cammeràaaata è inarrestabile.. ed ormai non posso esimermi dal sorbirmi tutto lo show. Arriva anche il Capitano. Così adesso ne ho due da ascoltare e fanno pure a gara a chi ne spara di più. Il Comandante attacca una filippica sul calcio nominandomi giocatori italiani algerini madrileni e non so di altro dove. Ma cosa gli fa pensare che io, una donna, debba essere un’appassionata di calcio? Probabilmente semplicemente non pensa, parla e non sa di cosa argomentare fino a quando non s’allarga e con l’occhio languido mi dice “vous etes ravissante!”  e mi allunga il numero di telefono, precisando che è personale, chiedendomi di dargli notizie, così.. tra una duna e l’altra “si ça ne vous dérange pas.. ” Sorrido per circostanza. La pattuglia dei Cammeràta se ne va: sono nuovamente libera, soprattutto di andare a farmi una doccia calda!

Alt! qualcuno mi chiama. “Charlie c’è il Capitano che ti cerca!” Ancora!? ma basta!! E’ tornato con un cadeau: due sciarpe, una per me e una per mia madre.. Che fa? Pensa già alla suocera?

Sussurrando parole gentili e con l’occhio più a pesce lesso che mai se ne va con un passo che mi ricorda Alberto Sordi. I gestori del Camping ci concedono gentilmente l’utilizzo della cucina dove ci prepariamo una bella pasta e facciamo anche bollire uno zampone.

2 gennaio

Abbiamo messo la sveglia alle 6.15 perché Giancarlo si è raccomandato di essere pronti per caricare i bagagli sul camion non più tardi delle 6.30. Peccato che il camion “un c’è!”, neanche le jeep e neppure Giancarlo!

Si parte alle 9.30 lasciando il conto del pernottamento da pagare ad Avventure. La prima tappa di oggi prevede il raggiungimento del Tamenkrest dove c’è una cascata e dove avremmo dovuto bivaccare la scorsa notte. Moustafà (uno degli autisti) insabbia la sua jeep e solo con l’aiuto dell’altra auto riusciamo a tirarla fuori. Con la jeep purtroppo non riusciamo a tallonare le moto ed è un peccato sia per lo spettacolo che per le foto. Nel pomeriggio attraversiamo un immenso plateau e i nostri intrepidi motociclisti si divertono parecchio. Poi la tragedia. Dalla jeep vediamo una nuvola di polvere e una ruota che gira a vuoto sollevandone altra. Giancarlo ed Elio si sono scontrati e sono a terra. Ci precipitiamo tutti a soccorrerli. Elio è rincoglionito e dice ripetutamente “cos’è successo? ma come è successo? qualcuno ha visto cos’è successo? ma di chi è la colpa? non ricordo niente” Deve aver battuto la testa.. “ma avete visto com’è successo? è colpa mia?” Fa più domande di Cammeràta! Giancarlo è pallido, respira a fatica, è spaventato, ricorda solo che quando c’è stato l’impatto stava cercando il camion giallo con lo sguardo. Ha un’escoriazione sulla fronte ed un piede nero e gonfio evidentemente rotto. Accusa anche dolore al basso ventre. Giancarlo viene caricato sulla jeep di Dali per essere portato con urgenza all’ospedale di Tamanrasset. Con loro partono anche Sara e Frodo. Elio è stordito ma in grado di proseguire. Raggiungiamo un posto fantastico per il pernottamento e piantiamo le tende ai piedi di altissimi speroni rocciosi. Di fronte a noi la vallata è di sabbia dorata e complice la luna il quadro è spettacolare. E’ buio quindi dobbiamo montare le tende con l’ausilio delle lampade frontali. L’impresa è difficile, perché non c’è una tenda che sia completa di tutti i pezzi! Comunque, riusciamo a mettere in piedi cinque tende.

Intanto in tre balletti i tuareg si sistemano al riparo dei mezzi e accendono il fuoco per prepararsi il chai e da mangiare. Ve li presento: Mohammed, il più vecchio, guida il camion giallo e si occupa dei rifornimenti di benzina, Moustafà pensa ai bagagli e sarebbe l’addetto alla cucina (ma monta solo i tavoli e le sedie), l’altro Moustafà è l’autista della Nissan sulla quale ora viaggio anch’io, Kassim è l’autista del pick-up ed infine c’è Ibrahim – detto “Pino l’elegante” per via dei mocassini che indossa – che fa semplicemente numero. Sono sparite le cipolle! Ciò nonostante i nostri cuochi ci preparano un bel risotto ai funghi. A fine pasto Nutella Party. Fa parecchio freddo. Elena, Marzia ed io dormiremo insieme, con i piedi puntellati tutta la notte perché abbiamo distrattamente montato la tenda in pendenza.

3 gennaio

Mattinieri e reattivi, ma inutilmente perché come sempre “presto” non si parte, facciamo colazione, smontiamo il campo e aspettiamo di partire. Siamo rimasti soli con i tuareg e senza satellitare. Verso le 11.00 Pino l’elegante viene a dirmi che secondo lui è inutile restare qui. Conviene andare avanti, tanto Frodo sa dove raggiungerci, ma se non ci sentiamo sicuri si dichiara disponibile a restare sul posto. Attendere significa accumulare km da percorrere in un tempo sempre più breve. Iniziamo le manovre di riempimento dei serbatoi delle moto e partiamo con la massima cautela. Anche Elio monta in sella, ma ha mal di testa. Con un’andatura più moderata possiamo goderci il raid delle moto dalle jeep, divertendoci a riconoscere i compagni di viaggio e a fare la classifica dei più bravi. Attraversiamo il letto di un immenso “uadi” dove ci imbattiamo in una mandria di dromedari. Sono centinaia! Raggiungiamo un posto bellissimo. Sarà Oufiakit?

Ovunque sono disseminati archi di pietra e rocce dalle forme più diverse che contrastano mirabilmente con la sabbia giallo-oro. Ci fermiamo poco più in là per pranzare.  Moustafà srotola i tavoli e tira fuori le seggiole da campeggio. I tuareg col solito rituale preparano il fuoco, il pane, il chai ecc e fanno la siesta infischiandosene dei nostri pranzi con l’imbuto per ripartire prima possibile. Neanche 20 minuti dopo che ci siamo rimessi in marcia veniamo raggiunti da Frodo. E’ talmente scosso dall’incidente del suo amico che ci impone di fermarci per allestire il campo comunicandoci che “il viaggio è finito e le dune ce le possiamo scordare” perché lì si fa sempre male qualcuno. E’ evidentemente ancora sotto shock, meglio evitare discussioni che non portano da nessuna parte, domani è un altro giorno come dice Rossella O’Hara. Diligentemente montiamo le tende. Con la complicità di Elena e Marzia ho infilato i pezzi della nostra tenda in un grande sacco di plastica giallo che ho portato da casa, per poterla riconoscere al volo senza impazzire e dover mendicare i pezzi mancanti. Ci siam proprio organizzate!

Questo posto è affascinante: siamo in una valle sabbiosa disseminata di rocce che sembrano funghi. Per evitare che la frutta deperisca prepariamo una bella macedonia. Dopo cena arrivano anche Sara e Dali. Le notizie sulle condizioni di Giancarlo sono ancora frammentarie. La serata si conclude attorno al fuoco in compagnia dei tuareg che ci “allietano” con giochi e indovinelli che sanno di poco ma per i quali ridiamo ugualmente per non offenderli. Elena offre della cioccolata e i tuareg la apprezzano golosi. Ogni sera ci addormentiamo lottando contro il freddo. Un soggetto non ancora identificato russa ininterrottamente.

4 gennaio

Elena è troppo stanca e dolorante a causa delle numerose cadute (nb nessuno ne è esente) perciò oggi viaggerà in jeep assieme a noi e godendosi finalmente il panorama. Pranziamo nei pressi di un albero che intorno ha della sabbia finissima solidificata e crepata. Subito dopo pranzo, con ancora il cibo sullo stomaco, i nostri intrepidi centauri vengono messi alla prova e chiamati a salire sulla loro prima duna. I ragazzi si mettono in fila e a turno affrontano il salto. Il girotondo si ripete per una buona mezz’ora poi bisogna ripartire perché dobbiamo recuperare la strada non percorsa nei giorni scorsi a causa delle note vicissitudini. Questa sera il campo viene montato ai piedi di montagne ricoperte da grossi massi rotondi quasi inquietanti. Sono sicura che il pensiero di un terremoto, anche lieve, sfiora la mente di tutti. Tira vento e fa più freddo del solito. Per scaldarci imitiamo i tuareg accendendo un gran fuoco a ridosso delle rocce.

5 gennaio

Nonostante il terreno sia più duro del solito, perché ghiaioso, ho finalmente dormito alla grande grazie al materassino gonfiabile che mi ha prestato Elena. La colazione è ormai un rito. Per l’utilizzo dei bicchieri metallici facciamo i turni perché non ce ne sono abbastanza per tutti. I fuochisti fanno bollire l’acqua. Al caffè, tè, latte condensato, pane “tostato” e marmellata non manca mai il dulcis in fundo di una buona dose di Nutella.

Con una moto in meno a disposizione oggi è Marzia fa fare il turno di riposo ed Elena torna di nuovo in sella. Ormai riconosciamo quasi tutti i nostri compagni motociclisti, dallo stile di guida e dai colori di giacca pantaloni casco e zaino. Per il pranzo sostiamo in un’area disseminata di piccole zucche vuote rotonde. Ne raccogliamo qualcuna da portare a casa sperando arrivino intere. Mentre facciamo la siesta, forzata dalla solita lunga pausa dei tuareg, scatto in piedi appena mi accorgo che per terra ci sono delle belle zecche che girano frenetiche, sicuramente portate dai dromedari.

Le fatiche della giornata vengono ampiamente ripagate dallo scenario meraviglioso delle altissime dune dell’Erg Adrar dove, come al solito, arriviamo troppo tardi per goderci il tramonto. Non ne abbiamo beccato uno come si deve! La notte scorsa Carlo ha sognato un sugo fantastico per la pasta, perciò comincia a spignattare. Selezioniamo e peliamo le carote che tagliamo a rondelle da condire con abbondante olio e limone. Elena taglia la frutta ancora buona preparando un ultima macedonia. Alla faccia della miseria ceniamo con ben due primi, risotto e pastasciutta, con intermezzo di carote e per finire la macedonia.

Il deserto di notte è magico e si sta d’incanto. Propongo a Manuela di fare due passi. La passeggiata sulle dune al chiaro di luna è bellissima e lasciare le impronte sulla sabbia levigata regala lo stesso piacere che si prova sulla neve ancora immacolata. Affrontando le salite ci riscaldiamo. Per fortuna, come riferimento, c’è una roccia scura a ridosso del campo, perché basta poco per perdere l’orientamento per tornare.

6 gennaio

Scusi, per la toilette? Terza duna a destra. Prima di partire mi ero chiesta come fare e mi ero documentata sulla presenza di scorpioni e serpenti ma, forse perché fa freddo non c’è da aver timore, anche se sulla sabbia ho notato molte impronte diverse e indecifrabili. Per quanto riguarda i bisogni nel deserto basta portarsi un rotolo di carta igienica, un accendino per bruciarla, una bottiglia d’acqua per lavarsi (o le salviettine umidificate). Le dune offrono il necessario riparo per la privacy.

Viene approntata la colazione con gli ultimi residui della bombola del gas e la Nutella va per la maggiore come sempre. Ferrero grazie di esistere! I motociclisti sono impazienti di cimentarsi sulle grandi dune e quando tutti hanno fatto benzina partono eccitati. La nostra Nissan si insabbia un paio di volte, com’è bravo Moustafà ad insabbiarla non c’è nessuno! Le moto sono puntini lontanissimi. Sullo sfondo si erge il massiccio del TASSILI che per un gioco di rifrazione della luce sembra blu. I motociclisti ci raggiungono. Frodo ha promesso un giro in moto sulle dune più alte anche a noi “jippine”. Non posso proprio resistere. Attendo il mio turno, sono l’ultima. Nonostante le compagne sembrino tornate dal giro della morte mi faccio coraggio e vado. Quando mi ricapiterà?! Mi faccio prestare un casco e un giubbotto imbottito e parto aggrappata alla schiena di Frodo con le gambe a cavalcioni delle sue. E’ bellissimo e, ogni volta che Frodo sale sparato sulla cresta di una duna dandomi la sensazione che ci ribalteremo all’indietro, non tiro neppure il fiato. Fa pure le impennate! Arrivati in cima ad una duna che sembra un grattacielo si lancia giù a rotta di collo dall’altra parte a strapiombo. AAAAAAAAAAAAAAARRGGGGGHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!! Il mio urlo si sente di sicuro nel raggio di parecchi chilometri.

Ripartiamo in direzione di DJANET ma prima andiamo a vedere la “VACHE QUI PLEURE” un famoso graffito rupestre. Fa un certo effetto abbandonare le piste naturali degli uadi per percorrere la strada asfaltata che conduce a Djanet. Ci fermiamo a circa 10 km dalla città, pare nel migliore hotel della zona. Per prima cosa organizziamo il pranzo con le cibarie della nostra cassa cucina utilizzando la sala ristorante della struttura. Anche mangiare seduti ad una vera tavola con vere sedie ci sembra insolito. Ma io sento già la nostalgia delle seggiole da campeggio, del fuoco e dell’errare nel deserto. Dopo pranzo prendiamo possesso delle camere. Una bella doccia ci restituisce sembianze normali. A cena vengono servite le solite pietanze: zuppa di couscous, couscous con verdure e datteri, arance e banane. Nessuna veglia e niente chai con i tuareg stasera, ci attende un letto vero!

7 gennaio

Alle undici siamo tutti pronti nel piazzale per andare a visitare DJANET con il pullman a disposizione dell’hotel. Prima che si riesca a partire passa quasi un’ora. Karim, un omone alto e scuro, ci lascia davanti agli uffici dell’Air Algerie dove fissiamo che venga a riprenderci alle cinque del pomeriggio. Djanet è una piccola città molto curata. La parte costruita arroccata sulla collina è composta da case dal colore naturale della terra. Qui sorge una specie di museo dalle cui terrazze si gode un bel panorama di Djanet. Nella parte bassa le case sono dipinte di bianco e hanno la maggior parte di porte e finestre tinte d’azzurro. Entriamo in un negozio di artigianato ricco di monili d’argento, scatole in pelle, tessuti. Vorremmo vedere altre botteghe ma l’orario non ce lo permette, è il momento della pausa pranzo. Non ci resta che adeguarci e cercare un ristorante. A Djanet ce ne sono un paio: La Gazelle, semivuoto ed insignificante e il Bali, “bello “ignorante!” come si dice a Firenze, strapieno ed invitante nonché frequentato da camionisti e  polizia. Cammeràààaata!!!!!!! Decidiamo di mangiare in quest’ultimo anche se c’è da aspettare mezz’ora. Cerchiamo di sapere cosa propone il menu ed i relativi prezzi ma ad ogni domanda la perenne risposta del gestore Ahmed è “Pas de problèmes!” E allora tutti a tavola! Pas de problèmes! Ci viene servita una zuppa di fagioli o per chi la preferisce di couscous. Seguono omelettes e costolette (credo di montone) con patatine fritte. Una novità sulla tavola: la Pepsi. Mangiamo bene e abbondantemente per 9.000 dinari totali.

Ci dirigiamo poi verso quello che ci viene indicato come mercato artigianale sotto una serie di tendoni di plastica.  Macché artigianato, questi vendono cineserie e delle peggiori. Però qualche banco interessante c’è, di belle collane e con le famose croci tuareg e dei tipici pantaloni neri ricamati. In “centro” è ancora tutto chiuso, così ci sediamo serenamente al bar sul corso a bere un tè poi verso le quattro e mezza torniamo al negozio di artigianato dove facciamo man bassa. Alle cinque e mezza arriva Karim col pullman e torniamo in hotel.

8 gennaio

Alle due, per la prima volta puntuali, partiamo in pullman con Karim diretti all’aeroporto dove, giunti con ampio anticipo, subiamo una serie infinita di controlli perché, oltre alle consuete armi bombe ecc è proibito trasportare sabbia e sassi. Atterrati a Roma ci salutiamo.

Il viaggio nel deserto algerino è bellissimo, anche in jeep. Sono rientrata a casa con la voglia di ritornarci nonostante il freddo, il mal di gola, i tramonti che non ho visto e la dose eccessiva di Nutella che è facile indovinare dov’è andata a finire!

Un ringraziamento a Manuela per alcune sue foto concesse per la Photo Gallery.

 

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