India, Rajastan Orientale

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INDIA – RAJASTAN Orientale

 Periodo : agosto 2010

Durata : tre settimane

Tipologia : fai da te

 

 

ITINERARIO

NEW DELHI – UDAIPUR – JAIPUR – AMBER – ALWAR – AGRA – GWALIOR – ORCHHA – KHAJURAO – VARANASI

 

Sabato 31 luglio MILANO MALPENSA

Dovendo prendere diversi voli ho ritenuto fondamentale per tutti viaggiare con solo bagaglio a mano. I miei compagni di viaggio sono affascinati dalla destinazione, timorosi di quello che vedranno e incerti su come l’affronteranno ma rassicurati dalla mia organizzazione. Essendoci già stata sono tranquilla, anche per loro, perché ho messo a punto un itinerario “graduale”.

Il volo Finnair è puntuale. Ad HELSINKI abbiamo diverse ore di sosta in transito perciò abbiamo modo di esplorare il piccolo aeroporto VANTAA da cima a fondo, inventariando i negozi, una renna imbalsamata dal pelo morbidissimo e la presenza di una spa che con tutta probabilità ti fa un bel peeling al portafoglio giacché è tutto carissimo. Mangiamo qualcosa da PRONTO. Il salmone affumicato è delicatissimo e il gelato molto buono. Sul volo Helsinki – New Delhi  assaggiamo il primo cibo indiano e dormiamo un po’.

Domenica 1 agosto NEW DELHI

L’aeroporto IGI di NEW DELHI è enorme e nuovissimo. E’ stato inaugurato solo tre giorni fa e fuori è ancora tutto un cantiere. Facciamo una lunga coda per passare la dogana poi andiamo a cambiare un po’ di Euro in Rupie al cambio da ladri pari a 55,00 Rs= 1€ (il cambio sarebbe 60,57!).

Uscendo, dietro una lunga transenna c’è una fila di uomini con i cartelli degli hotels e il nome del cliente che stanno aspettando. C’è anche il nostro. Abbiamo concordato il pick-up all’aeroporto con l’Haveli dove dormiremo. Seguiamo l’indiano fuori dall’aeroporto dove ci investe il caldo umido e l’aria polverosa. L’auto è in un parcheggio nuovissimo ed immenso, infatti sulle prime l’autista non trova la vettura perché non si orienta e anche trovare l’uscita non risulta facile. Ovunque c’è molta sorveglianza.

Il tragitto fino alla CHHOTI HAVELI dura 20 minuti, l’abbiamo scelta proprio per la sua strategica vicinanza all’aeroporto. Durante il tragitto le prime immagini della quotidianità indiana sono di strade dissestate, case fatiscenti, gente malconcia, slam, bambini che fanno i propri bisogni sul ciglio della strada osservando il traffico, vacche erranti alla ricerca di cibo, gente che dimora in mezzo alla strada sullo spartitraffico. La CHHOTI HAVELI è all’interno di un “quartiere residenziale”. – 1006 Sector A Pocket A, Vasant Kunj, www.chhotihaveli.com, info@chhotihaveli.com.

Mrs SURINDER e Mr MAINI sono persone squisite e attente ad ogni necessità dei propri ospiti, la casa è pulitissima e offre ogni comfort. Tapa, che subito ribattezziamo Tappo perché alto 1mt50, è efficientissimo e silenzioso, mantiene la casa immacolata ed è addetto anche alla cucina. Dopo il benvenuto e il tè ci ritiriamo subito nelle camere per dormire un paio d’ore. Alle dieci ci ritroviamo per fare colazione. Tappo ha preparato sia la colazione occidentale che quella indiana. Le paratha sono buonissime. Mrs Surinder ci ragguaglia in merito alle cose da vedere nel corso della giornata tracciandoci i punti  sulla cartina, segnalandoci anche dove mangiare e fare acquisti e prenotandoci una macchina con autista (costo per otto ore 1500 Rs + 50 Rs per ogni ora successiva). Alle 11.30 partiamo col nostro valente Deepak, ottimo autista, alla scoperta di Delhi e più precisamente dei suoi quartieri meridionali, meno caotici rispetto a quelli del centro, per un impatto soft con la città. La prima sosta è al QUTAB MINAR, affascinante torre alta 72 metri  e larga 12 alla base e 2,50 mt in alto. Tutt’intorno ci sono altri resti di antiche vestigia, il rosso dell’arenaria fa da sfondo ai colori brillanti dei sari delle donne che visitano il complesso.

Seconda tappa da DILLI HAT, suggerito da Mrs Surinder  per acquistare vestiti indiani ma ci sembra una trappola per turisti. Oltre a tessuti e vestiti vi si vendono gioielli e statuine intagliate. Purtroppo una volta entrati è difficile sfuggire dalle grinfie dei venditori. Un ragazzo ci sciorina la storia dell’attività mentre fa tirare giù dagli scaffali decine e decine di completi vestito + pantalone + sciarpa abbinata, uno più brutto e pomposo dell’altro. Inutile digli di non aprirli tutti, li apre tutti.

E’ una tecnica di vendita per far sentire il cliente in debito inducendolo a comprare almeno qualcosa. Ci viene offerto il chai, guardiamo e tocchiamo tutti i completi. Ce ne proviamo alcuni ma, pur con tutta la buona volontà, non c’è proprio niente che ci interessi. Piuttosto contrariato l’indiano risponde che non ci sono problemi ma ci obbliga a passare attraverso gli altri reparti impedendoci di scappare via. Dopo aver comprato una collanina molto carina finalmente fuggiamo dirigendoci verso i LODI GARDENS che soprannominiamo Love Gardens essendo strapieni di coppiette infrattate negli angoli dei templi e nei giardini a sbaciucchiarsi. I giardini sono belli e rilassanti, quello che ci vuole per acclimatarsi il primo giorno.

Avvertendo un certo languorino ci rechiamo al KHAN MARKET dove, a detta di Mr Maini, ci sono dei buoni posti per pranzare. Non ne vediamo neanche uno, forse perché è domenica e sono chiusi. Ci rifugiamo da BARISTA, un caffè su due piani dove consumiamo un sandwich e una Pepsi.

Al 26-B di KHAN MARKET però è aperto VISHNU STORE, vende vestiti da donna molto graziosi e di buona qualità, il cotone ha la leggerezza che stiamo cercando noi. Anche in questo negozio tiriamo giù tutto, ma autonomamente e senza stress, provandoci più capi. Acquistiamo in totale sei vestiti e due sciarpe. Il prezzo di un vestito è 550 Rs (10 euro).

Deepak si è appisolato in macchina. Lo svegliamo facendogli fare un salto e partiamo per andare a visitare il complesso con la TOMBA DI HUMAYUN che al tramonto acquista ulteriore spettacolarità. Stanchi e accaldati, nonché assonnati per colpa del volo intercontinentale, ci tratteniamo fino al calar del sole scattando bellissime foto.

Concludiamo la nostra prima giornata indiana al Ristorante PUNJABI BY NATURE, a Vasant Vihar, dove assaggiamo il kebab (molto diverso da quello a cui siamo abituati noi, è proprio tutta un’altra cosa cioè un rotolo di carne tritata tipo polpetta molto speziata) e lenticchie nere accompagnate da un garlic naan  (pane indiano all’aglio) buonissimo. Spendiamo 308 Rs in quattro. Ci facciamo fare un doggy bag con il naan e il kebab avanzato per darlo al nostro Deepak rimasto ad attenderci in auto esausto e senza cena.

 

Lunedì 2 agosto UDAIPUR

Il nostro volo interno JET AIRWAYS per Udaipur parte alle 5,45 del mattino. Alle 4,20 Tappo e Mrs Surinder ci salutano. Oltre alla squisita ospitalità dei coniugi Maini e la simpatia di Tappo CHHOTI HAVELI si conferma una scelta tatticamente azzeccata, in 20 minuti siamo ai domestic flights.

Il volo da Delhi ad UDAIPUR dura 1 ora e 20 minuti, la Jet Airways è una buona compagnia.

Sul volo non viene servita la colazione, si può acquistare qualcosa ma niente tè e caffè, ma noi abbiamo i Ringo portati dall’Italia. A UDAIPUR il tempo è grigio. Partiamo subito con un taxi pre-pagato. Costa solo 400 Rs perché l’abbiamo scelto senza aria condizionata. Se l’avessimo richiesto con aria condizionata avremmo aspettato un bel pezzo, perché tutti vogliono l’AC. L’aeroporto di Dabok dista 25 km dalla città di Udaipur. Il dedalo di stradine strette, super trafficate e invase dalle vacche distoglie la nostra attenzione da quanto è sudicia la macchina. A Ugo fa schifo anche allacciarsi la cintura. Sperimentiamo la tipica guida indiana stile autoscontro.

In prossimità del nostro Hotel il taxista prova a consigliarcene un altro – dove probabilmente prende una commissione – ma noi abbiamo già una prenotazione e lui non replica. E’ un signore che ci fa un po’ tenerezza perciò lo ingaggiamo anche per il ritorno rendendolo molto felice.

L’AMET HAVELI è situato in una splendida posizione sulla sponda occidentale del LAGO PICHOLA –  Outside Chandpole, www.amethaveliudaipur.com, amethaveli@sify.com.

Le nostre camere non sono ancora pronte. Ne approfittiamo per fare colazione sulla terrazza dell’AMBRAI RESTAURANT, annesso all’Hotel,  situato proprio sul lago con una magnifica vista sul Lake Palace, del City Palace e dei Ghat più prossimi dove alcuni uomini sono intenti a lavarsi e a fare il bucato dei propri vestiti. Per la colazione (chai, omelettes, toast ed una marmellata che sembra finta) spendiamo un botto: 919 Rs.

Prendendo possesso delle nostre dimore, le suites nr 16 e 17, ci sembra di vivere una favola da quanto sono belle: marmo dappertutto, vetri colorati alle finestre, un bagno ampio e confortevole, il salotto in camera, la vista sul lago. In India ci si può concedere il lusso spendendo tanto quanto in un nostro bed & breakfast.

Complice un forte scroscio d’acqua facciamo una bella dormita fino alle due poi con un moto-rickshaw (Apecar) partiamo. Facciamo una sosta al QUEEN CAFE’, 14 Bajrang Marg, Outside Chandpole, dove so che si tengono lezioni di cucina ma è tutto pieno. Per non perderci come clienti la bellissima padrona di casa è disposta a farci una lezione ridotta, di due ore, fuori dagli orari previsti al costo di 900 Rs a testa (la tariffa intera per quattro ore di lezione costa 1500 Rs). Visto che non siamo tutti interessati a cucinare decidiamo di venirci semplicemente a cena. Andare in giro col moto-rickshaw è un’esperienza divertente e quasi ci dispiace scendere giunti davanti al City Palace. Costo della corsa 150 Rs.

Essendo già tardo pomeriggio rimandiamo la visita del CITY PALACE a domani dedicandoci all’esplorazione di Udaipur e dei suoi vicoli ricchi di piccoli negozi. Tutti cercano di attirare la nostra attenzione scambiandoci  per banconote pronte ad entrare nelle loro tasche.

Dentro ai negozi ci sono solo uomini. Stanno quasi tutti stravaccati su un materassino ricoperto di cotone bianco steso per terra dentro al negozio. Le merci in vendita sono principalmente gioielli, stoffe, pentolame e dolciumi. Quando attraversiamo il mercato delle verdure si scatena il delirio. Le donne dapprima restie al contatto diventano insistenti per farsi fotografare chiamando a raccolta tutta la parentela affinché poi si spedisca loro le foto.

Ricomincia a piovere ma si tratta di uno scroscio lampo. Sarebbe comunque il caso di fare una pausa, magari seduti bevendo qualcosa. Vicino al GANGAUR GHAT c’è l’EDELWEISS CAFE’ con una sala affacciata sulla strada. Ci sediamo, beviamo chai e CocaCola, assaggiamo una torta alle noci veramente buona ed osserviamo il via vai. Dopo esserci ripresi andiamo a vedere i Ghat. Un uomo suona uno strano strumento costruito da sé e vuole venderci il suo cd con la copertina che è un foglio a quadretti sul quale ha scritto qualcosa a mano. Alle sette meno venti entriamo nella BAGORE-KI-HAVELI, Gangaur Ghat, per assistere allo spettacolo musicale che ogni sera si tiene nel suo cortile interno alle 19,00. L’ingresso per quattro costa 290 Rs inclusa una “Chemla”. Ma cos’è la “Chemla”?? è la Camera (macchina fotografica) pronunciata nell’inglese indiano. Fare attenzione al resto perché il bigliettaio cerca di fregare.

Ci sediamo in pole position su delle coperte stese per terra un po’ scettici, timorosi di doverci sorbire una lagna. Dopo una breve introduzione musicale effettuata da tre uomini con ignoti strumenti, una ragazza spiega che ciò che vedremo è una panoramica delle tipiche danze rajasthane. Fanno il loro ingresso due uomini mascherati, uno a cavalcioni dell’altro che è a gattoni, al ritmo della musica mimano una tigre mentre un terzo uomo con una sciabola cerca di ucciderla. Poi si susseguono varie danze eseguite da donne che indossano abiti particolari, un burattinaio cha a turno fa danzare una marionetta ballerina e una marionetta uomo. Lo spettacolo termina con l’esibizione di una danzatrice un po’ attempata ma molto brava che con movenze aggraziate balla impilando sulla testa delle giare di coccio fino ad averne una decina una sopra l’altra. Tripudio di applausi e a grande richiesta la danzatrice posa per le foto con noi spettatori.

Ceniamo in un Rooftop Restaurant, il SUNRISE,  vicino al Gangaur Ghat risalendo la strada.

Il locale è in cima ad una ripida serie di scale. E’ giunta l’ora di far assaggiare ai miei amici il tipico piatto rajasthano: il THALI. Cos’è? Fidatevi.  Fuori piove a dirotto e ad un certo punto va via la luce. I solerti camerieri appiccicano una candela sul tavolo. A fine pasto siamo proprio soddisfatti.

Il conto? 675 Rs in quattro. Rientriamo all’Hotel con un moto-rickshaw. Anche i conducenti fregano, fare attenzione al resto.

 

Martedì 3 agosto UDAIPUR

Sveglia alle nove dopo una magnifica dormita a recupero del sonno perduto nei giorni scorsi.

Dopo lunghe insistenze riesco a convincere tutti a fare colazione da questa parte del lago in un posto “ignorantissimo”. Elena ed Ugo sono molto restii ad entrare nel lercio locale pieno di mosche,  invece si adatta ad ogni cosa. Il padrone, rinominato “il lurido”, accende subito la ventola così le mosche scappano e pulisce meticolosamente i nostri tavoli con uno straccio sudicio. Io e Marzia ridiamo osservando le espressioni disgustate degli altri due. Mentre viene giù un acquazzone beviamo il classico chai nei bicchieri puliti con un altrettanto orrendo straccio e mangiamo squisiti dolcetti fatti con la farina di ceci e saporite samosa spendendo in tutto 90 Rs, un decimo rispetto a ieri. Passata la tempesta, torna la truppa a far festa.

Ci fermiamo in un negozio di tessuti e vestiti facendo tirar giù ogni cosa come al solito. Ne usciamo due ore più tardi con un kurta giallo (specie di camicione di cotone) e un paio di pantaloni bianchi leggeri per me, una pashmina per gli amici. Ugo fa una corsa in albergo a posare tutti gli acquisti mentre noi tre restiamo ad ammirare le miniature su carta e seta di un negozio vicino.

Con un rickshaw attraversiamo le strette e tortuose stradine del centro e arriviamo al CITY PALACE. L’ingresso costa 50 Rs + 200 Rs per ogni macchina fotografica. Visitiamo il Palazzo da soli con l’ausilio delle fotocopie della guida. Il percorso è ben indicato ed in ogni stanza, cortile e corridoio un cartello in hindi e inglese fornisce le spiegazioni. Sicuramente con una guida lo avremmo apprezzato di più ma non abbiamo voglia di farci infarcire con date, nomi e dinastie. All’interno del Palazzo fa abbastanza caldo ma in un cortile c’è un chiosco che vende bibite fresche. Pranziamo nel Ristorante PALKI KHANA all’interno del Palazzo spendendo ben 3.030 Rs ma mangiando molto bene. Il Masala Paneer è veramente eccellente.

Sempre troppo sazi ripartiamo alla ricerca del molo dal quale partono le barche che fanno il tour al LAKE PALACE e al JAG MANDIR pur sapendo di non poterci imbarcare perché sono già le cinque.

Ci infiliamo in una serie di vicoli dove vediamo artigiani che lavorano nelle loro minuscole botteghe e lungo la discesa per il LAL GHAT troviamo un negozio di stoffe e vestiti  dove, dopo un moderato dispiego di completi anche Ugo trova un “pigiama”  indiano, leggerissimo e davvero bello al costo di 800 Rs. Nella CHAND POL incrociamo un elefante gigantesco. Tutta la strada si blocca per farlo passare. Attraversato il ponte pedonale invaso dalle vacche ci fermiamo al Queen Cafè per riservare il tavolo per la cena e facciamo una deviazione per aggirare l’isolato disseminato di negozi ed evitare di farci tartassare dai venditori. Notare bene che i venditori di Udaipur sono tra i più tranquilli del Rajasthan! Non a caso ho fatto iniziare il giro da qui, proprio perché l’atmosfera che regna ad Udaipur è molto rilassata. Le bambine sono desiderose di sfoderare il proprio inglese. Al Ghat vicino all’albergo i bambini si esibiscono nei tuffi mentre sopraggiunge il tramonto.

Davanti all’ingresso dell’albergo c’è il nostro incubo: un ragazzo che ha un rickshaw e che ci rimprovera perché non l’abbiamo chiamato. Ma siamo tornati a piedi, non vedi? Dondola la testa col tipico movimento di assenso indiano.

Dopo una bella doccia rigenerante tutti sfoggiamo i nuovi acquisti e ci sentiamo bellissimi. L’ambiente del QUEEN CAFE’ è proprio piccolo, c’è un solo grande tavolo al quale possono stare sedute al massimo sei o sette persone. Dividiamo il tavolo con un’altra coppia di turisti. In alta stagione il locale riesce ad accogliere fino a 20 persone sistemandole sedute per terra nel soppalco ed utilizzando anche il piccolo tavolo posto all’ingresso normalmente usato come scrivania per la cassa. La padrona del Queen Cafè è molto intraprendente, ha un sorriso bellissimo, è gentile e parla un ottimo inglese. Assaporiamo gli ottimi curry casalinghi di banana, zucca e melanzane che accompagnano riso e chapati. Il raita (yogurt con verdure) è il migliore sperimentato fin’ora. Nei nostri stomaci non c’è più posto per il dessert perciò decidiamo di tornare domani per assaggiare i dolci a colazione. A conclusione del pasto la bella signora ci mostra dei sacchetti contenenti tè nero, masala per il chai e altre spezie, ma non siamo interessati ad acquistarli. Per la cena spendiamo 500 Rs in quattro. Poco prima di congedarci la signora rinnova l’apprezzamento per la mia borsa di plastica piena di tasche e cerniere ed assai funzionale. La guarda con tale avidità che non posso fare a meno di renderla felice proponendole uno scambio. Lei non se lo fa dire due volte, corre in una stanza della casa e torna con quattro piccole borse di stoffa che nulla hanno a che vedere con la mia ma va bene lo stesso. Ne scelgo una che a malapena riesce a contenere tutto quello che stava nella mia. Alla signora luccicano gli occhi ed il suo sorriso è più radioso che mai. Sono felice anch’io.

 

Mercoledì 4 agosto JAIPUR

Quando ci svegliamo scopriamo che sta piovendo. Prepariamo con calma i bagagli e non appena usciamo dalle stanze si materializza un portantino. Ancora una volta ci rendiamo conto di essere stati sempre discretamente osservati, ad esempio nei giorni passati ci eravamo accorti che appena lasciavamo le camere veniva tolta la corrente per impedire il funzionamento di ventole e condizionatori per il risparmio energetico. Saldiamo il conto: per due notti in suite fanno 10.000 Rs a coppia + il 10 % di tasse. Depositati i bagagli usciamo per andare a fare colazione.

Chi c’è fuori dal portone pronto a caricarci sul rickshaw? Incubo!

Ok grazie, ma andiamo a piedi anche oggi.

Le specialità dolciarie del QUEEN CAFE’ sono rappresentate da piccole frittelle di mela ricoperte da zucchero di canna chiamate Swiss Apple Pie, da ottime Gulab Jamun (palline di pasta leggera immerse in uno sciroppo non troppo dolce) e dalle Chocolate Balls, talmente buone che ce ne facciamo mettere da parte una decina per portarcele via. La signora contratta per noi il prezzo di un moto-rickshaw spiegando all’autista che nel portarci in giro quando scendiamo per vedere qualcosa deve attenderci; prezzo per la corsa 200 Rs.

Andiamo a sud del lago al SUNSET GARDEN dal quale si dovrebbe godere il miglior panorama della città. Secondo noi la vista è molto più bella dal nostro albergo! Forse dall’alto, da qui infatti parte una funivia, ma non ci interessa e poi sta cominciando a piovere. Torniamo in centro per andare a visitare la BAGORE-KI-HAVELI (sì, quella dove abbiamo visto lo spettacolo) per 30 Rs a testa. L’Haveli è bellissima, sia per la struttura che per gli arredi e le curiosità come la stanza delle marionette e i turbanti e vale veramente la pena visitarla con la guida.

Quando rientriamo all’Amet Haveli troviamo ad attenderci l’autista che ci ha condotti qui all’andata. E’ sorridente e per l’occasione ha addirittura tirato a lucido la macchina, dentro e fuori.

All’aeroporto c’è poco movimento; mentre pranziamo i gentili addetti del check-in ci fanno i boarding pass e ce li portano addirittura al tavolo, controllateli però, i nostri sono stati scambiati con quelli dei vicini di tavolo. Quando atterriamo a Delhi ci dicono di restare sull’aereo perché per Jaipur ripartiamo con lo stesso aeromobile, tra 15 minuti. Passa il Comandante, mi complimento con lui per l’atterraggio, non mi sono neanche accorta di quando ha toccato terra! Poi entra una squadra in divisa, i Lions. Una squadra di calcio? No, di pulizie!!

In pochi minuti spazzolano i sedili, cambiano le foderine poggia testa, svuotano le tasche dai rifiuti, spazzano in terra. Entrano i nuovi passeggeri, il nuovo equipaggio e si riparte.

L’aeroporto di Sanganer è piccolo e nuovo. Dalla città di JAIPUR dista 15 km. Anche qui prendiamo un taxi-prepagato, al costo di 350 Rs, e andiamo al DIGGI PALACE dove pernotteremo tre notti e presso il quale abbiamo prenotato la macchina con autista per arrivare fino a Khajurao. L’ingresso del DIGGI PALACE è mozzafiato – Shivaji Marg, Sawai Ram Singh Road, www.hoteldiggipalace.com, reservations@hoteldiggipalace.com – ci troviamo davanti un immenso giardino contornato dalla struttura. Ai lati del giardino ci sono dei tavoli con poltrone e sedie, l’illuminazione è soffusa. Una parte dell’edificio è in restauro, il resto è molto tradizionale. Le stanze, meno regali delle precedenti, sono carine ma un po’ umide. Lavo subito la biancheria intuendo che non asciugherà. Aperitivo-cena con pappadams e pakhora a bordo del giardino ben spruzzati di Autan a causa delle zanzare.

 

Giovedì 5 agosto JAIPUR

Al Diggi Palace la colazione è a buffet con tè, latte, caffè, spremuta di arancia, muesli, yogurt, polpette di patate, fagioli, papaia, melone bianco. Un cuoco prepara su richiesta uova e omelettes farcendole con verdure a scelta.

Oggi visiteremo JAIPUR, la città rosa. Appena usciti dall’Hotel ci raggiungono di corsa gli autisti dei ciclo-rickshaw che ci contendono come clienti. Avanziamo a piedi fino alla strada tallonati da tutti. Quando vedono che proseguiamo a piedi nonostante i ribassi delle corse se ne ritornano alla loro postazione. Lungo il viale fermiamo due ciclo-rickshaw, di cui Jaipur è piena, che per andare al City Palace ci chiedono 30 RS a coppia. Tiriamo a 20 Rs e montiamo su. Sembrava di essere vicini, in realtà i due ciclisti si fanno un bel mazzo. Quando scendiamo gli diamo 30 Rs, se li meritano.

Davanti al City Palace veniamo subito agganciati da alcuni tizi che vogliono conoscere i nostri programmi mentre gentilmente ci indicano dove fare i biglietti. Sono autisti di ciclo-rickshaw che cercano di accaparrarci come clienti dicendoci cos’altro dovremmo visitare.

Il palazzo è aperto dalle 9,30 alle 17,00, il biglietto di ingresso costa 300 Rs e comprende la visita del CITY PALACE e del FORTE di JAIGARH entro una settimana. Muniti di audio guida (compresa nel prezzo del biglietto) seguiamo il percorso numerato. Sotto all’immenso porticato (Diwan-i-Khas) ci sono le famose GIARE D’ARGENTO pesanti 345 kg che figurano nel Guinness dei primati con le quali nel 1902 il maharaja trasportò fino in Inghilterra l’acqua del Gange per le abluzioni. Quando le ho viste la prima volta erano all’aperto, purtroppo ora sono dentro una teca.

La SALA DELLE ARMI è particolarmente ricca e l’esposizione è molto curata. Dentro però fa un caldo infernale, dopo un po’ anche le cuffie dell’audioguida diventano una tortura. Sostiamo al Caffè che c’è all’interno del palazzo per rinfrescarci con una bibita poi proseguiamo andando nel cortile dei pavoni  dal quale si vede bene l’attuale residenza della famiglia reale. Le decorazioni in ceramica con i pavoni sono notevoli come pure la sala delle udienze.

Il JANTAR MANTAR, l’osservatorio, si trova a sud subito fuori dal palazzo. E’ aperto dalle 9,00 alle 16.30. L’ingresso costa 30 Rs a testa, la guida 200 Rs. Per capire qualcosa dei complicati strumenti avere la guida è fondamentale. La nostra parla inglese ma abbiamo sentito guide parlare anche in italiano. Purtroppo oggi fa caldo e non c’è sole, giusto un raggio improvviso e fuggevole che ci regala al momento giusto la possibilità di vedere e comprendere il funzionamento dell’enorme meridiana che non ricordo se è la più grande e/o la più precisa del mondo con un’approssimazione di 20 secondi. La visita dell’osservatorio e dei numerosi strumenti astronomici è da non perdere.

Uscendo ritroviamo i tipi del rickshaw che vogliono portarci al Palazzo sull’Acqua.

Con gli indiani ci vuole molta fermezza e soprattutto non va lasciato spazio alla possibilità perché poi non mollano. Sono dei venditori accaniti di cose e servizi e manipolatori, un’offerta la trasformano in tre balletti in impegno assunto. Riusciamo a sganciarci nonostante le proteste perché ci hanno aspettato. Le parole vietate in India sono: forse, dopo, domani, vediamo, ci penso. Un solo grazie non è abbastanza chiaro, bisogna dire NO grazie, altrimenti per loro è già un SI grazie. Rischiando di essere travolti dal traffico nell’attraversare le strade raggiungiamo l’HAWA MAHAL, il famoso PALAZZO DEI VENTI, tutto rosa, con le finestre dai vetri colorati contornate da disegni bianchi. Si affaccia sulla strada, quindi per ammirarlo bisogna stare dall’altra parte della strada cercando di sopportare il tormento di venditori  e procacciatori d’affari che baccagliano ininterrottamente e accanitamente. Camminare lungo una strada piena di negozi è un delirio perché non puoi neanche fuggevolmente guardare la merce esposta, se ti lasciassero in pace magari potresti guardare e forse comprare, invece vieni assalito e stordito dal ritornello “bellissimo, costa poco, vieni dentro, sei primo cliente oggi porta fortuna” e tutto il repertorio. Il risultato è che non riesci a vedere niente perché pensi solo a scappare e loro non vendono. Ma se lo fanno evidentemente  con altre persone questa tecnica funziona.

Con un moto-rickshaw raggiungiamo l’LMB – LAXMI MISHTAN BHANDAR, 3 Johari Bazar- un ristorante del centro storico raccomandato da tutte le guide. L’ingresso è quello di un enorme negozio dove vendono miriadi di dolcetti prelibati e spuntini salati da mangiare in piedi o da portar via. Io spolvererei tutto da quanto sono invitanti. La sala ristorante è grande e frequentata oltre che dai turisti da molte famiglie e uomini d’affari in pausa pranzo. Lo stile dell’arredo è art deco’ ma l’aspetto generale è decadente. Le tovaglie sono impataccate. Glielo scrivo sul questionario da compilare a fine pasto così si possono migliorare. In compenso il cibo è eccellente, abbondante e saporito. LMB è uno dei migliori ristoranti del viaggio. In quattro abbiamo speso 1,201 Rs.

Usciamo dalla città per andare a visitare i CENOTAFI. L’ingresso costa 30 Rs, una donazione in pratica perché come visita non è un granché ma i Cenotafi immersi nel giardino un po’ trascurato rappresentano un’oasi dove rifugiarsi lontano dalla calca e dal rumore assordante dei clacson.

Ritorniamo davanti al Palazzo dei Venti con l’intento di percorrere la strada principale e guardare i negozi. La sosta in un qualsiasi negozio porta via almeno un’ora  a causa dell’intero cerimoniale da sorbire, i soliti discorsi, dove andiamo, quanti giorni stiamo, cosa facciamo, il chai che ci mette un po’ per essere pronto o portato da qualcuno, la messa in mostra di tutta la mercanzia, il ripetuto tentativo di vendere; quindi dopo un po’ la faccenda diventa snervante, se non altro dentro ai negozi c’è l’aria condizionata.

Entriamo in un grande cortile dove una scolaresca maschile è seduta per terra. Mi siedo in mezzo a loro per farmi fare una foto. I ragazzi sono molto eccitati dal diversivo e dalla nostra attenzione nei loro confronti. Un bidello veramente burbero improvvisamente comincia a prendere i ragazzi a bastonate perché non si devono distrarre, ma da cosa? Erano lì che non facevano niente! Temendo che la nostra permanenza lo induca a continuare ad infierire ce ne andiamo sconvolti. Tornati in strada veniamo richiamati da un certo “Vittorio” che reclama la visita nel suo negozio a causa di un famigerato “dopo” di Ugo, abbordato con la scusa di sapere quanto aveva pagato il suo completo indiano, perché lui ce l’ha di qualità superiore e costa meno.

Così passiamo un’altra ora a guardare cose che non ci interessano rifiutando il chai nella speranza di ridurre le tempistiche. Il completo di Vittorio in effetti è più bello e costa 600 Rs ma lo scopo di Vittorio è vendere altro. Un suo collega martella Ugo senza sosta per appioppargli una pashmina. Ugo rifiuta costantemente rinnovando il suo disinteresse ad ogni sconto ma l’indiano non demorde. Tira giù scaffali di pashmine mostrando colori differenti, diverse purezze di cachemire e intanto tira giù il prezzo del pezzo che ha deciso di vendergli. Da 4000 Rs scende sotto le 1000Rs, al che uno si domanda se anche l’ultimo prezzo può corrispondere al valore del capo o sia comunque troppo. Più Ugo afferma che non la vuole più l’altro insiste fino ad esclamare che è una questione di principio. Lui DEVE vendegli qualcosa. Ugo risponde che TUTTI vogliono venderci qualcosa ma non può comprare tutto. Concludiamo la visita con il solo acquisto del vestito mentre il tipo lo rincorre fuori con la pashmina in mano. Un vero gatto attaccato.

E adesso? Possiamo andarcene per i cavoli nostri?? No, dobbiamo seguire Vittorio nella sua Art Gallery… perché lui in realtà è un artista! E’ la seconda volta che vengo a Jaipur e per la seconda volta non me la riesco a godere! L’Art Gallery di Vittorio ha le dimensioni di uno sgabuzzino per le scope, rifiutiamo il chai per accelerare la fuga, visioniamo le miniature dipinte su carta e su seta dei soli elefanti, cammelli e cavalli complimentandoci anche se non sono un granché, i tratti pittorici sono più grossolani rispetto a quelli di Udaipur, poi salutiamo e scappiamo via. Vittorio non reagisce, ormai è bollito pure lui.

Rientrati al Diggi Palace ci facciamo un aperitivo in giardino e poi ceniamo nel ristorante dell’Hotel deliziandoci, in fundo, con una pallina al cioccolato del Queen Café di Udaipur.

 

Venerdì 6 agosto AMBER

Alle 9.00 arriva HANSRAJ, l’autista a nostra disposizione per dieci giorni con una vettura INNOVA al costo totale di 32.750 Rs, circa 550 € da dividere per quattro. Hansraj chiede di essere chiamato semplicemente RAJ, è un ragazzo giovane, sulla trentina, ha una moglie e tre figli.

Ci facciamo portare ad AMBER per visitare il Palazzo. Ugo desidera tantissimo arrivarci a dorso d’elefante, anche  si entusiasma all’idea e allora andiamo! Quando ci ricapita? Ovviamente è una cosa terribilmente turistica e costosa, 900 Rs a coppia per percorrere un km in dieci minuti.

Si monta su un palanchino appoggiato sul dorso dell’animale, sulla base d’appoggio è steso un materasso. L’elefante sul quale “viaggiamo” io ed Ugo è enorme e vigorosamente supera tutti i “colleghi” accorciando la nostra divertente esperienza facendoci ballonzolare al punto che non riusciamo a scattare neppure una foto alle nostre amiche che arrivano almeno dieci elefanti dopo.

La posizione  dell’ Amber  Palace è fantastica, dall’alto si ammira un bel panorama e le mura che salgono e scendono per km sui verdi pendii circostanti. La guida (costa 300 Rs) ci spiega tutto nei minimi particolari. Lo Sheesh Mahal (sala degli specchi) è straordinario, il sistema di refrigerazione interno del palazzo è davvero interessante, con le collane di piante aromatiche che ornavano le porte attraverso cui passavano i flussi d’aria per profumare gli ambienti. Come in tutti i palazzi la parte dove vivevano le donne è appartata, solo gli eunuchi potevano vederle e servirle. Ad Amber sono presenti tre architetture: indù (rappresentata dalle raffigurazioni degli animali), musulmana (rappresentata dai fiori) e persiana (anfore ed altri recipienti).

Al termine della visita la guida insiste per portarci a vedere il “vegetarian painting”.

Raj non ha ancora capito a quale razza di turisti apparteniamo, sicuramente la costosa salita a dorso d’elefante l’ha depistato, perciò ci porta dove dice la guida. Così ci ritroviamo in uno dei soliti negozi “venditutto-trappola-per-turisti”. E’ inutile protestare e puntare i piedi, ormai è impossibile recedere dal contratto verbale di aver accettato pensando di vedere qualcosa di diverso ed interessante. Fuori dal negozio un uomo fa vedere come si tingono i tessuti con i blocchi di legno con colori naturali utilizzando dei piccoli pezzi di stoffa e un altro tesse un tappeto al telaio. Fine dell’artigianato. Entriamo nel negozio, rapidi come fulmini attraversiamo l’edificio rincorsi dai vari addetti ai reparti ai quali facciamo segno che non ci interessa niente. Montiamo in macchina ed espulsa la guida nei pressi del Forte spieghiamo a Raj che siamo nauseati dai posti di questo tipo. Raj sorride e annuisce.

La tappa successiva è al JAIGARH FORT dove c’è il cannone più grande del mondo, una specie di mostro meccanico conservato al riparo di una enorme tettoia nel punto più in alto del Forte.

L’orario è crudele per  il sole ed il caldo. Una guida non richiesta ci propina in un incomprensibile inglese la  storia del cannone come se fosse una filastrocca. Ok grazie, bye bye! Resta lì un attimo come un salame poi reclama l’immeritato compenso che non gli diamo “facendo gli indiani”! cominciamo ad essere stanchi di essere considerati e trattati come bancomat ambulanti.

Senza l’ausilio di altre guide ci aggiriamo per il Forte che è un vero e proprio labirinto. Sono poche le cose interessanti da vedere però il vasto giardino pensile che si affaccia sulla vallata è meraviglioso. Visitiamo anche la fonderia dove venivano fusi i cannoni. Qui un finto pazzo e forse anche finto zoppo ci obbliga a correre da una parte all’altra e alla fine si risente pure, per la misera mancia. Ma chi ti ha chiesto niente!

E’ giunta l’ora di fare una bella pausa. Ci lasciamo consigliare da Raj che ci porta al The Royal Retreat, un posto dal quale io fuggirei all’istante preferendo il primo baracchino sulla strada ma gli altri sono stanchi e fiduciosi. ll ristorante è pieno di soli turisti in comitiva e già questo mi piace poco, il servizio è indiano, le pietanze normali, l’ambiente triste e il conto caro (1200 Rs in quattro). Quando usciamo Raj chiede sorridente se ci è piaciuto, “non tanto” rispondo “e poi è molto caro”. Ora sì che è disorientato. Cerco di spiegargli cosa preferiamo. Dondola la testa e rimontiamo in macchina.  Adesso Raj deve portarci nel negozio del suo boss, ci si mette anche lui!?

“Ma che vende?” “Stoffe, vestiti ecc.”  “Allora non ci interessa!” “Per favore, dobbiamo andarci…”

“E va bene..” Il negozio è il solito emporio dove i solerti commessi cominciano subito a tirar giù tutto dispiegando le mercanzie. La roba è anche brutta. Secondo me il negozio non è neanche del suo boss. Infatti è del cugino del boss che impone ai suoi autisti di portarci i clienti. Invece di farci perdere tempo in improbabili acquisti io vorrei che Raj ci portasse a Sanganer dove ci sono gli artigiani veri che stampano la stoffa a mano con i blocchi di legno.

Nel mio programma ci sarebbe stato anche di andare a BAGRU a vedere la lavorazione della carta fatta a mano ma la giornata è ormai andata a farsi friggere quindi non lo propongo neppure.

A SANGANER, che dista solo una decina di km da Jaipur, realizziamo che purtroppo è tardi (circa le cinque del pomeriggio) e le botteghe artigiane sono già chiuse. Chiedendo riusciamo a trovare un uomo gentile, sicuramente anche speranzoso di vendere qualcosa, che ci porta a vedere il suo laboratorio. Mentre nelle nostre orecchie echeggiano le raccomandazioni  di non andare in casa di nessuno  e/o seguirlo negli anfratti saliamo lungo le strette scale dello stabile completamente buio e attraversiamo diversi corridoi fino ad arrivare all’ultimo piano dove in un immenso locale alcuni uomini stanno ancora lavorando. Dentro la temperatura è simile a quella di un altoforno. Gli operai imbevono gli stampi di legno grandi più o meno 13 x18 cm dentro a delle bacinelle piene di colore naturale dove c’è un tampone e ritmicamente battono lo stampo sul tampone, lo appoggiano sulla stoffa (qui lavorano metri e metri di stoffa, non pezzettini) e con la mano battono un colpo sullo stampo. Oltre al caldo asfissiante la luce è scarsa e l’odore delle tinture è molto forte. Uscendo dallo stanzone ci si ritrova su una specie di terrazza dove sono accatastati stampi più grandi. Sono praticamente delle lastre grandi quanto una porta, essendo intarsiate consentono la tintura delle stoffe con l’utilizzo di un rullo impregnato di colore. Alla fine della visita torniamo giù e nel modesto negozio-magazzino diamo una breve occhiata ai tessuti stampati ma senza venire stressati, anzi il padrone della tintoria capisce perfettamente che eravamo solo curiosi di vedere la tecnica della stampa a blocchi.

Rientriamo all’Hotel. Il guardiano che sta nello stabbiolo della reception richiama prontamente la nostra attenzione per mostrarci le miniature eseguite dal figlio. Ma basta..

Consegniamo una caterva di vestiti per la lavanderia perché la roba lavata non si asciuga neanche a morire poi torniamo da Raj e alla macchina per farci portare fuori a cena, al FOUR SEASONS – Subhash Marg, C-Scheme – dove assaggiamo il dosa, una specialità dell’India del sud che consiste in una sfoglia croccante e piccante farcita. Il ristorante è semplice e molto indiano.

Costo della cena per quattro 530 Rs.

 

Sabato 7 agosto ALWAR

Facciamo colazione con calma nel ristorante del Diggi Palace  e partiamo intorno alle dieci dimenticando di chiedere e Raj di passare da LASSIWALA per assaggiare il favoloso lassi servito nei bicchieri di terracotta. Il traffico è congestionato e uscire da Jaipur richiede più tempo del previsto. Raj suggerisce la visita del MONKEY TEMPLE, il suo preferito, che si trova lungo la strada per Alwar. Questa volta restiamo piacevolmente sorpresi. Il complesso del Monkey Temple è incantevole. Ci sono numerose scimmiette curiose e mansuete con i cuccioli, una struttura centrale finemente affrescata che si affaccia su una piazza all’interno della quale dei santoni danno la benedizione a seguito di un’offerta. La benedizione è sigillata dal segno arancione che il santone appone sulla fronte e da un braccialetto di corda di cotone. Nei vari anfratti ci sono diverse divinità tra cui un enorme Ganesh colorato. Salendo lungo una scalinata ci si imbatte in una piccola piscina dove intere famiglie con molti bambini stanno facendo le abluzioni. In cima alle scale ci sono altri tempietti. Ugo viene chiamato da un santone che lo tiene a chiacchiera a lungo interrogandolo, dandogli consigli per una buona vita e benedicendolo.  Nell’insieme è un posto rilassante.

Nonostante le reticenze di Raj pranziamo con soddisfazione in una bettola situata lungo l’autostrada. Spendiamo 240 Rs in quattro.

L’alloggio faticosamente trovato ad Alwar si trova fuori città nella campagna. Faticosamente perché nessuno degli alberghi contattati in prima battuta ha dato risposta. ALWAR BAGHwww.alwarbagh.com, info@alwarbagh.com – è una grande struttura parzialmente in costruzione con venti camere ampie affacciate su un giardino dove gli alberi di lime fanno da cornice ad una favolosa piscina. C’è anche il ristorante ma è tristissimo e odora di umido.

Passiamo tutto il pomeriggio a rilassarci in piscina facendoci portare anche un aperitivo (birra, CocaCola e pachora, le deliziose polpettine di verdura fritte).

Raj alloggia nella guesthouse per gli autisti, lo facciamo chiamare per farci portare a cena in città al PREM PAVITRA BHOJNALAYA – Shri Hans Tower, 35B, Moti Dungri – dove mangiamo bene spendendo 550 Rs in quattro. Sia all’andata che al ritorno però rischiamo la vita perché se il traffico indiano fa impressione già di giorno di notte è esasperante. Anche Raj ha paura a guidare.

Lo ringraziamo molto per averci portato, non potevamo immaginare.

Notando che la luce va via spesso andiamo a dormire. Dormire… si fa per dire… Nel cuore della notte Elena ed Ugo si sentono male per diverse ore. Io e Marzia ci adoperiamo a fare le infermiere.

 

Domenica 8 agosto ALWAR – AGRA

Al mattino Elena ed Ugo sono spossati, è impensabile ripartire. Sperando che si riprendano al più presto  ed io siamo “costrette” a trascorrere tutta la mattina nella fantastica piscina mentre i nostri devastati compagni di viaggio giacciono moribondi nelle camere a riposare.

Quando si sentono in grado di proseguire partiamo per  trasferirci direttamente ad Agra senza fare le previste soste a Deeg e Bharatpur. Scrivo per voi ciò che riportano le guide e avremmo potuto vedere se non ci fosse stato questo inconveniente.

<Ad ALWAR il suggestivo Palazzo Reale VINAI VILAS MAHAL è quasi tutto occupato da uffici governativi. Nel cortile antistante c’è una sorta di ufficio all’aperto in cui lavorano decine di dattilografe sedute in fila dietro a vecchie macchine da scrivere di metallo e avvocati che esercitano la professione sotto gli alberi. Una scalinata a sinistra della facciata conduce ad una grande cisterna su cui si affacciano i delicati balconi del palazzo fiancheggiata da una splendida serie di GHAT e padiglioni simmetrici>

< Pochi viaggiatori si avventurano fino al piccolo borgo di DEEG eppure i delicati palazzi di marmo in eccellente stato di conservazione ed i giardini tenuti con cura meritano davvero la visita. Il sontuoso DEEG PALACE è aperto dal sabato al giovedì dalle 9.30 alle 17.30, ingresso 20 Rs.

Le mura del Forte sono rafforzate da 12 bastioni e un basso fossato. L’ingresso è su uno stretto ponte che attraversa il fossato e dal cancello munito di chiodi anti-elefante. Il Palazzo conserva ancora la maggior parte degli arredi originali. Vicino al Palazzo ci sono dei bacini idrici, un tempio, i padiglioni Sawon e Bhadon monsonici ideati per riprodurre il rumore dei tuoni durante i rovesci di pioggia, il padiglione estivo Kishan Bhavan circondato da un profondo canale alimentato da centinaia di fontanelle. Le fontane vengono messe in funzione ad agosto durante il MONSOON FESTIVAL e per creare un effetto spettacolare nei tubi vengono inserite delle tinte colorate>

< BHARATPUR ospita un interessante assortimento di mercati, templi, moschee, palazzi e l’inespugnabile Forte di Ferro LOHAGARH>

Durante il viaggio l’unica inevitabile sosta è in una “area di servizio” molto turistica dove i nostri malati quasi collassano a causa dei 40° esterni. Arriviamo ad Agra intorno alle 17.30 con Elena ed Ugo distrutti e febbricitanti. Al  TAJ PLAZAhoteltajplaza@yahoo.co.in – realizziamo che la famosa suite, con vista sul Taj Mahal anche dal gabinetto, ha due stanze ma un solo bagno. Data la situazione è fondamentale avere due bagni perciò chiediamo se è possibile rinunciare alla suite per avere due stanze normali mandando in crisi lo staff della reception perché gli è rimasta una sola stanza libera. Parliamo con il Direttore che ci concede di restare nella suite e ci offre gratuitamente la stanza supplementare. Siamo veramente impressionati e grati di tanta gentilezza. Al Taj Plaza c’è anche la guesthouse per gli autisti perciò il nostro Raj è contento.

Sistemati i bagagli io e Marzia  usciamo a fare due passi lasciando gli amici a riposare.

Ci dirigiamo a sinistra verso l’East Gate del  TAJ MAHAL ed imbocchiamo il sentiero sulla destra che scende al Ghat dal quale si gode la vista del Taj Mahal baciato dal sole al tramonto.

Ceniamo sul terrazzo dell’albergo mangiando bene.

 

Lunedì 9 agosto AGRA

Passata indenne la nottata decidiamo di ricambiare la gentilezza del Direttore del Taj Plaza restituendo la camera extra, e ci ritroviamo tutti nella suite.

Alle 10.00 partiamo con Raj e PRAVIN, la nostra guida per tutto il giorno (Pravin K. Kulshrestha, guida approvata dal Governo, parlante inglese e russo, bhanu_hasan@yahoo.com, pravinrussian@yahoo.com). Ma chi l’ha chiesta? Noi, senza volere.

Pare che Raj abbia detto a Ugo che se volevamo poteva procurarci una guida e che Ugo abbia risposto OK ma pensando “va bene grazie casomai”. Come già detto agli indiani non bisogna mai dire ok, per loro è una conferma, un accordo indissolubile, un contratto. E quanto ci costerà Pravin? E chi lo sa!

Pravin è un uomo grassoccio e basso di statura, ride moltissimo alle proprie battute dando la mano per condividerle. E’ molto simpatico e molto indiano. La sua specialità come guida è il russo. Raj ha cercato una guida italiana per noi ma non l’ha trovata. L’ingresso al TAJ MAHAL costa 750 Rs a testa e consente la visita del Forte Rosso con uno sconto di 50 Rs se effettuata nello stesso giorno. L’orario di visita del TAJ MAHAL è dalle 6.15 alle 18.00. Il biglietto si acquista in un apposito ufficio nel Taj Ganj lato est. Con il biglietto viene consegnata una busta di carta con dentro una bottiglia piccola d’acqua (ma puoi portarne un’altra tua) e i soprascarpe di carta per entrare nel mausoleo. E’ consentito portare la macchina fotografica ma nessun cavalletto anche di dimensioni ridotte e poche cose personali tipo il cellulare, l’ombrello, i soldi, fazzoletti. E’ proibito introdurre cibo, sigarette, accendini, fiammiferi e pile. Se andate in bagno non è obbligatorio pagare o dare la mancia perché è considerato un servizio compreso nel prezzo.

La visita del meraviglioso TAJ MAHAL con l’aiuto di Pravin ci piace moltissimo; quando illumina con la pila le pietre dure incastonate nel marmo, sembrano accendersi perché la luce passa attraverso la pietra trapassandola ed il marmo sembra alabastro.

Il complesso del TAJ MAHAL è affollato ma gli spazi sono così grandi che non è caotico, tranne all’interno del mausoleo dove si può osservare la Tomba Luminosa di Mumtaz Mahal, di forma cubica e farle un giro intorno. Il marmo utilizzato da Shah Jahan per costruirlo proviene da una zona particolare del Rajasthan e le pietre preziose (onice, ametista, lapislazzulo, turchese, giada, cristallo, madreperla) provengono da Persia,  Punjab, Ceylon, Afghanistan, Tibet, Yemen e Oceano Indiano. Prima di partire consiglio di leggere “LA PRINCIPESSA INDIANA” di Indu Sundaresan, editore Sperling & Kupfer,  che vi consentirà di apprezzare appieno il mausoleo.

Terminata la visita Pravin vuole portarci a mangiare in un posto dove sicuramente avrà la percentuale. La cosa ci disturba anche perché vogliamo stare leggeri e non vogliamo incappare in un posto turistico. Andiamo a vedere. E’ come sospettiamo. Diciamo che non ci va e che preferiamo tornare in albergo. Allora Pravin confabula con Raj e dice ok, vi porto in un altro posto. Dopo una breve ispezione, decretiamo che non ci interessa. Bellissimo ma anche carissimo nonostante lo special price. Alla fine Pravin è costretto ad arrendersi. Raj ha capito.

Pranziamo sul tetto del nostro hotel, proprio adiacente alla nostra suite, così abbiamo anche modo di farci una doccia e ripartire al meglio per andare a visitare il FORTE ROSSO.

Visto che dal Ristorante non ha cavato alcun guadagno Pravin ci porta in un magazzino che vende tappeti. Siamo così spudoratamente disinteressati che il venditore ci sbatte fuori dal negozio. Povero Pravin, anche qui nessuna commissione.

Alle tre del pomeriggio il caldo è micidiale. Purtroppo i monumenti chiudono presto altrimenti, oltre al primo mattino la tarda serata sarebbe l’ideale per visitarli. Beviamo molta acqua ma è veramente faticoso. L’ingresso al FORTE ROSSO ci costa 250 Rs. E’ indubbio che senza una guida locale molti particolari di Forti e Palazzi sfuggono. Il nostro Pravin, che dopo un po’ non riusciamo neanche più ad ascoltare tanto siamo sfiniti, si prodiga in informazioni ed aneddoti. Sicuramente pensa che si sta guadagnando la pagnotta. Quando, alla fine della giornata, gli diamo 700Rs accetta la somma ma storcendo il naso.

Dal ventilato tetto dell’albergo osserviamo il via vai della gente sulla strada. C’è una musica assordante e ripetitiva che caratterizza la serata. Viene da un furgone dove c’è un televisore e la gente vi si è radunata davanti. Scendiamo a dare un’occhiata da vicino, presto però dobbiamo venire via perché specialmente i bambini sono alquanto maneschi.

Cena in hotel e nottata insonne a causa del caldo.

 

Martedì 10 agosto GWALIOR

Colazione nel gradevole giardino di SHEELA, buona, servizio un po’ lento. Partiamo per GWALIOR che da Agra dista 120 km. Sull’autostrada siamo sbalorditi nel vedere che c’è chi guida tranquillamente in contromano. Lungo la strada notiamo molte fabbriche di mattoni.

Abbiamo qualche difficoltà a trovare l’albergo, perché si trova in mezzo ad un dedalo di viuzze.

Quando ci appare il maestoso cancello però ci sembra di varcare le porte di un incantesimo.

L’USHA KIRAN PALACE è una reggia. Raj non ha ancora capito se siamo ricchi o facciamo finta di esserlo, buona la seconda! In India anche un comune mortale può concedersi qualche lusso perché il prezzo è più che abbordabile, infatti già che ci siamo anche qui pernottiamo in suite!

L’USHA KIRAN PALACE – www.tajhotels.com, reservations@tajhotels.comfu costruito appositamente per la visita del Principe di Galles, che vi pernottò una sola notte, e diventò una dimora per gli ospiti reali in visita di stato. Facciamo un pranzo leggero e poi ci rilassiamo in piscina. Praticamente è tutta nostra. Ci concediamo anche un super massaggio con oli profumati nella piccola ma stupenda Spa dell’albergo. La cena è altrettanto adeguata all’ambiente con lo zelante chef che rasenta l’eccessiva attenzione.

 

Mercoledì 11 agosto GWALIOR

Alle 9.30, con calma, ci rechiamo a visitare la Cittadella e poi il MAN MANDIR PALACE, uno dei più bei palazzi del primo periodo indù. Le facciate sono rivestite da piastrelle colorate, l’interno è ricco di storia. Per la prima volta abbiamo una guida dall’inglese comprensibile che, autopropostasi, ci conduce nei meandri del Palazzo. Nei sotterranei ci viene mostrato un ingegnoso sistema di tubi utilizzati dal Maharaja per “telefonare” alle favorite, la piscina, gli anelli dove erano agganciate le altalene delle otto regine, la stanza dove Aurangzeb rinchiuse e fece uccidere il fratello Murad. E’ importante avere una torcia perché sono molti i cunicoli al buio. Compenso per la guida 200Rs.

Fotografiamo i bambini che fanno il bagno in una grande cisterna, visitiamo anche altri palazzi, il bianco tempio sikh, l’enorme cisterna circolare SURAJ KUND  che contiene l’acqua miracolosa -ora parecchio paludosa – che ha guarito dalla lebbra il Sovrano Suraj Sen, veniamo quasi calpestati da una mucca perché c’è poco da fare, lei ha diritto di passaggio! Riceviamo la benedizione con tanto sentimento da un santone dagli occhi verdi smeraldo. Il cielo è nuvoloso, all’orizzonte piove. Scendiamo a piedi lungo la strada per ammirare le numerose statue giainiste scolpite nella roccia.

Facciamo un giretto al mercato di Gwalior e merenda con lassi e dolcetti. Rientrati in albergo faccio un bis alla Spa in compagnia di Elena mentre Ugo e Marzia si godono la piscina.

Il servizio dell’Usha Kiran è fin troppo attento. L’housekeeper della nostra stanza, soprannominato Champagne perché ha un nome simile ma impronunciabile, si materializza dal niente ogni quattro secondi per sapere se desideriamo qualcosa. Tanta premura è volta all’ottenimento della mancia, ma noi non abbiamo necessità. Anche lo Chef, Rakesh Kumar Gouniyal, è sempre presente e preoccupato di soddisfarci, ma mentre mangiamo vuole conversare.

Per divertirci ci esercitiamo tutta la sera nell’assenso indiano, mentre si dice “AGCIA’!” (l’ho scritto come si pronuncia) si scuote la testa chinandola ritmicamente e velocemente prima verso una spalla e poi verso l’altra. Per noi è ingannevole perché pare una negazione.

Giovedì 12 agosto ORCHHA

Colazione con Patella (soprannome dato al solerte Chef sempre appiccicato) che soavemente bisbiglia le sue argomentazioni. Quando, scusandosi per essere stato poco presente a causa della mole di lavoro, ci chiede se abbiamo apprezzato la cena di ieri sera mi scappa detto che non era niente di speciale (è la verità!) e con questa mazzata finalmente ce lo scolliamo.

Fatto check-out partiamo con Raj e andiamo al JAI VILAS PALACE (chiuso il mercoledi, apertura alle 10.30). La visita del Palazzo costa 230 Rs + 50 Rs per la fotocamera. Il Palazzo è ancora abitato dal Maharaja ma due delle sue ali sono adibite a museo dove è possibile ammirare una bella collezione di oggetti e fotografie. C’è inoltre la piscina per sole donne. Nella Sala del Durbar (la corte reale) il Maharaja intratteneva gli ospiti importanti tra cui il Principe di Galles. Nella sala dei banchetti a pian terreno un trenino d’argento faceva il giro del tavolo a fine pasto per offrire agli ospiti il suo carico di brandy e sigari. Dal soffitto dell’enorme salone delle assemblee al piano superiore, a cui si accede salendo una scalinata dalla balaustra di vetro, pendono due impressionanti lampadari che pesano 3,5 tonnellate e dicono siamo i più grandi del mondo. Pare che per collaudare la robustezza del soffitto furono appesi al soffitto dieci elefanti. Il tappeto che ricopre il pavimento è il più grande dell’Asia, venne tessuto in 12 anni dai carcerati di Gwalior.

A mezzogiorno partiamo per DATIA che si trova a 75 km da Gwalior. La strada è dissestata, ci sono lavori in corso ed è molto trafficata. Arriviamo dopo due ore e mezzo. Ci fermiamo a guardare una scuola: è una stanza tipo garage affacciata sulla strada dove i bambini stanno seduti in semicerchio per terra muniti di lavagnette per scrivere. Ci intratteniamo a parlare col maestro a cui facciamo dono delle penne che abbiamo portato. Andiamo a visitare il Palazzo GOVIND MANDIR PALACE, 7 piani, 440 stanze, corridoi e sotterranei, perfettamente simmetrico. E’ necessario avere la pila, l’ossequioso custode del Palazzo fa da guida, volenti o nolenti; non essendoci un biglietto di ingresso l’unica è mercanteggiare sul suo compenso. A noi riesce ad estorcere 300 Rs + 20 Rs di mancia! Le due stanze meglio conservate, affrescate e più interessanti sono chiuse e visibili solo da uno spiraglio. Il palazzo è in perenne restauro. Al settimo piano c’è la stanza da letto del Re, al sesto la biblioteca, al quinto le stanze delle Maharani, al quarto la guesthouse reale, al terzo la dancing room, al secondo e al primo? Non ho memorizzato.

Riprendiamo la strada e dopo 45 km arriviamo ad ORCHHA. Alla stazione ferroviaria c’è tantissima gente sui binari in attesa del treno che viene sfollata a bastonate dai gendarmi.

La città, ricca di templi e palazzi, è stracolma di persone perché c’è una festival religioso che ha luogo per tre giorni ogni mese, ci sono bancarelle dappertutto, gente che cucina per terra, fuochi e accampamenti ovunque. Noi alloggiamo all’AMAR MAHAL ORCHHAwww.alsisar.com, amarmahal@bsnl.in  un palazzo dall’aspetto vecchiotto con un bel giardino e piscina. Le double room sembrano suite da quanto sono grandi. Ci ritiriamo nelle rispettive stanze.

Ad un certo punto Ugo nota che sulla camicia bianca che ha lasciato sulla poltrona della veranda ci sono delle strane macchie nere. Fa per uscire a dare un’occhiata ma rientra con un balzo serrando bene la porta – bene si fa per dire, questi infissi non chiudono certo perfettamente – comunicandomi che fuori c’è una tempesta di insetti. Sconcertati da questa situazione avvisiamo le nostre amiche con un sms di non uscire e chiamiamo la reception. Ci rispondono di non preoccuparci e spegnere la luce, è una cosa normale che c’è tutti gli anni e che dura alcuni giorni. Ma che fortuna! Siamo nel posto giusto al momento giusto per assistere allo sciame delle “black bastards” come le chiamano qui affettuosamente, lucide cimici nere ovali, un po’ più piccole di un chicco di caffè. Sono migliaia. Con la luce spenta piano piano si dileguano. Se lo sapevano perché ce l’avevano accesa? Elena e Marzia vengono a chiamarci mostrandoci il serpente nero e sottile che sta transitando lungo i bordi della nostra veranda. Non ci facciamo mancare proprio niente..

lo fotografa facendogli anche qualche macro.

Con la macchina fotografica andiamo alla reception per informarli della presenza del serpente. Poiché ci guardano come se stessimo vaneggiando mostriamo le foto. I concierges fanno un balzo dalla paura, chiamano subito rinforzi e in quattro, armati di bastoni e DDT, attaccano il serpente fino ad ucciderlo. Un serpente molto velenoso. Ma che bello! Sottile com’era ce lo ritrovavamo di sicuro in camera stanotte! Altro? Anche no, grazie, andiamo a cena. Tranquilla, indiana, nel ristorante dell’albergo, con una bastard dietro l’altra che si appoggia, si serve nel piatto, si incastra tra i capelli. Un po’ lottiamo schifati, poi non ci resta che abituarci alla loro presenza.

Venerdì 13 agosto ORCHHA

Venerdì 13…. Ci svegliamo alle otto per incontrarci davanti al Tempio RAM RAJA MANDIR con Raj ma non riusciamo neanche ad avvicinarci, c’è una marea di gente, una vera bolgia che va e viene spintonando. Nel bel mezzo del bazar veniamo circondati da una moltitudine di uomini, anzi ragazzi, che ci guardano in maniera insistente ed invadente al limite del molesto. Cercano più volte di toccarci, tutti ci prendiamo più di una palpata, anche Ugo.

Fa molto caldo, abbiamo perso il senso dell’orientamento e siamo accerchiati, tutti spingono in ogni direzione, tutti, tanti, e noi siamo gli unici stranieri al centro della loro morbosa attenzione. La fiumana dietro di noi spinge, sembra di stare in mezzo ad un branco di cani randagi che guardano e si avvicinano e non sai che intenzioni hanno. Ugo cerca di proteggerci come può stando dietro per evitarci i palpeggiamenti, dobbiamo stare uniti e uscire da questa bolgia. Ci vuole un punto di riferimento da raggiungere, chiedo ad un venditore dov’è l’HOTEL SHEESH MAHAL, un albergo raccomandato nelle guide, che però non sono riuscita a prenotare perché non hanno mai risposto, l’indirizzo mail corretto infatti è questo hsmorcha@sancharnet.in. Ad un certo punto ci troviamo in tanti su una gradinata senza sponde con loro che si divertono a spintonarci, se ci buttano di sotto c’è da farsi male. Dopo l’attacco delle black bastards stiamo rivivendo la stessa scena ma umana. Prendiamo la rincorsa e spingiamo anche noi. Un ragazzo gentile che ci nota in difficoltà ci aiuta a farci largo. Spiegandogli che non ci sentiamo sicuri gli chiediamo se può accompagnarci all’Hotel Sheesh Mahal. Annuisce e comincia a farsi strada allontanando i molesti curiosi. Grazie a lui sembra che davanti a noi si aprano le acque del Mar Rosso e in un attimo siamo fuori dal marasma e davanti allo Sheesh Mahal. Gli chiediamo al ragazzo se ha tempo e voglia di restare con noi ma declina l’invito. Lo ringraziamo comunque tanto. Entriamo nell’hotel e alla reception diamo il numero di telefono di Raj affinché ci raggiunga ma non risponde. Allora chiediamo se è possibile avere una guida. Ok. Nell’attesa saliamo a prendere una boccata d’aria sul tetto dell’Hotel ma siamo osservate dai ragazzi presenti nei palazzi circostanti. Che incubo! Io e Marzia  indossiamo pure le magliette tecniche, un invito a guardarci, perché troppo aderenti. Mi avvolgo addosso la sciarpa di cotone per coprirmi più che posso. Oggi era proprio il caso di mettersi un kurta..

Raj nel frattempo è irrintracciabile, si starà godendo la processione al Tempio. Quelli dell’hotel ne fanno una questione di principio, prendono il numero della targa della macchina per cercarla e telefonano alla guesthouse dove alloggia, ma è proprio sparito. Arriva la nostra guida, si chiama Héman, è uno studente che per raggranellare qualcosa fa la guida tre volte alla settimana, un ragazzo carino e paziente. Va lui a farci i biglietti validi per tutti i monumenti di Orchha (costo 250 Rs + 25 per la camera). All’interno del primo palazzo che visitiamo si rende conto che è veramente insopportabile il cerchio di ragazzi che si muove costantemente intorno a noi per fissarci. Héman ha il suo bel da fare per allontanarli ma il cerchio di allarga per pochi secondi poi si restringe nuovamente. Sulla cupola moghul c’è un avvoltoio, a quanto pare non solo sulla cupola…

Visitiamo i due palazzi principali ricchi di affeschi, i templi e i chhatri sul fiume. Fa troppo caldo, sospendiamo il tour. Raj nel frattempo ha chiamato il nostro albergo per comunicare che è malato. Diamo appuntamento a Héman per le 17.00 e ci prendiamo una pausa. La piscina è veramente lurida, in sospensione c’è di tutto ed è infestata dalle pulci d’acqua. Alle cinque oltre a Héman compare anche Raj resuscitato. Pare abbia avuto un attacco gastroenterico come quello di Elena e Ugo. La città si è magicamente sgombrata. Ci accompagnano in centro dove ci lanciamo subito nello shopping. Compriamo dei pantaloni larghi, indianissimi e leggerissimi. Poi visitiamo un tempio dove la gente del posto è sorridente e comunicativa, tutta un’altra storia rispetto a stamattina. Compriamo anche degli stampini di legno da un tipo che imbevendoli di henné mi tatua mezzo braccio. Ci tocca entrare nel negozio di Raul, l’amico di Héman, che vende gioielli vestiti ecc, solito rito, nessun acquisto. Rientriamo all’Amar Mahal, stasera niente bastards attack! Ceniamo alle nove nel ristorante dell’albergo.

Sabato 14 agosto KHAJURAO

AAP KESEHE? Come stai? AP KA NAAM KIAHE! Bene!

Dopo colazione e una sosta al bancomat partiamo per KHAJURAO, l’antica capitale della dinastia Rajput dei Chandela. La strada è malridotta, con un sacco di interruzioni e deviazioni per lavori in corso. Facciamo una sosta di un quarto d’ora in un autogrill turistico che vende anche vestiti, ciabatte e oggettistica però è tutto molto vecchio, polveroso e caro. Dopo circa quattro ore e 120 km arriviamo a KHAJURAO sotto una pioggia talmente fitta che quasi impedisce di vedere la strada. L’HOTEL  ZEN – Jain Temple Road, www.hotelzenkhajurao.co.in, oshozen62@hotmail.com – si trova sulla strada principale della città. Veniamo accolti dal sorridente Ganpath, un uomo col turbante, di una certa età, che fa l’usciere fuori dall’hotel. Facciamo check-in, per modo di dire: chi siete? avete prenotato? Ok. Tutto qua. E siccome a causa della pioggia è andata via la luce si segnano solo i dati di . Rajesh, il proprietario, ha una barbona lunga e grigia e occhi furbi, porta i capelli raccolti in una coda e comanda a bacchetta i sottoposti. Ci fa servire un tè al limone e poi inizia l’ardua scelta della stanza. L’Hotel è molto basic, addirittura ancora mezzo in costruzione, e come spesso accade le foto che compaiono sul sito internet sono tutta un’altra cosa. Ugo va su e giù dalle scale più di una volta per esaminare le camere. Nei bagni ci sono molte bastards. Non sa decidesi perché fanno tutte schifo, soprattutto rispetto alle suites dove abbiamo alloggiato fin’ora. Come siamo finiti dalle stelle alle stalle? Non volevamo esagerare col lusso e fare un esperienza mistica… Alla fine ne scegliamo una, tanto sono più o meno tutte uguali. Ci sono delle stanze anche nel sottosuolo, in una ci dormirà il nostro autista che abituato a portarci nei luxury hotels è perplesso. Le camere sono grandi, gli asciugamani sono orrendi e puzzolenti, le lenzuola tutte impataccate, va be’, ci pensiamo dopo.

Chiediamo di pranzare. Il riso alle verdure è veramente buono, anche le pachora (polpettine) al formaggio e verdure, i papadam (sfoglia croccante piccante con semi) e il naan (focaccia) al ginger. Le porzioni sono abbondanti e le mosche che ci svolazzano sopra anche, sono tantissime, ancora più numerose di quelle del bar del lurido a Udaipur. Rajesh ordina ad un ragazzo di sventolarci con un menù per mandarle via.

Uscendo dall’Hotel salutiamo Ganpath che tutto fiero, indicando il suo turbante, ci dice di essere di Jaipur, ha un sorriso che scalda il cuore. Sul marciapiede veniamo subito assaliti da bambini e commercianti che vogliono portarci nei loro negozi per farci comprare qualcosa. Ti sciorinano tutto quello che hanno e che è molto bello e costa poco e che sei il primo cliente del giorno e gli porti fortuna, e poi chiedono da dove vieni e come ti chiami e poi ti danno la mano e ti dicono nice to meet you. Anche i bambini di cinque anni conoscono la cantilena, in tutte le lingue, e non riesci a staccarteli. Un ragazzo presentatosi come “Mario” cerca di impietosirci raccontando che la gente è povera, che il governo non li aiuta, che sono quattro anni che non piove e gli agricoltori non hanno niente da mangiare. Nel frattempo un bellissimo bambino sordomuto ci accompagna spiegandosi a gesti. Visitiamo qualche negozio cercando un altro paio di pantaloni larghi “ali babà” come li chiamano qui.  compra un cavallo di legno smaltato ed io una bellissima testa di elefante in legno intarsiato. Ma fare shopping – e ce ne sarebbe tanto da fare – è uno stress perché ad ogni passo c’è qualcuno che vuole portarci nel suo negozio. Ci dirigiamo verso i templi del gruppo meridionale, sempre tallonati dal ragazzino sordomuto e da Mario che non molla, poi arrivati in uno spiazzo ampio una civetta della polizia li prende di mira e a questo punto a Marzia viene in mente che sulla guida c’è scritto di non allontanarsi dal centro, soprattutto in questa direzione, con la gente del posto. Facciamo rapidamente dietrofront e torniamo sui nostri passi ma dopo pochi istanti Mario ci sta di nuovo addosso, è veramente appiccicoso e snervante. Gli dico che noi siamo abituati ad entrare nei negozi e guardare, ma se veniamo tartassati non ci entriamo neanche e addio potenziale vendita. Colpito e affondato, allunga il passo e sparisce. Metto a punto un sistema molto efficace per allontanare i ”beggars”: massaggiandomi la pancia dichiaro che devo scappare al gabinetto. Funziona!

Con l’auto ci facciamo portare da Raj in un posto dove stasera c’è uno spettacolo di danze credendo di andare a quello di “luci e suoni” ai templi occidentali. Invece ci ritroviamo in una specie di teatro all’aperto con una decina di file di sedie rivolte verso il palco. Paghiamo anche 250 Rs! I ballerini e le ballerine indossano costumi tradizionali, sono molto giovani e sorridenti. Purtroppo le luci attirano le bastards in notevole quantità e ad un certo punto il palco ne è praticamente ricoperto. Nonostante tutto continuano a ballare e spiaccicandole ne scaturisce un odore nauseabondo, fino a quando la situazione diventa insostenibile perché si mette pure a piovere. Lo spettacolo viene sospeso e noi lasciamo il teatrino per andare a cena da AGRESEN, un posto discreto.

 

Domenica 14 agosto KHAJURAO

Colazione da Agresen e visita dei tre templi meridionali con Raj. Poi alle dieci paghiamo 250 Rs per l’ingresso ai templi occidentali, mirabilmente scolpiti con raffigurazioni di cavalli, cammelli, soldati, musicisti, danzatori e le famosissime scene erotiche. Ogni tempio è dedicato ad una o più divinità. A mezzogiorno cominciamo a ripiegare perché  il sole è talmente cocente che da alla testa. Rientrati all’Hotel Zen facciamo i conti per poter pagare Raj che così può tornare a casa. Rajesh ci mostra i gioielli che vende nel sottoscala, e qual è l’indiano che non vende qualcosa?  acquista un anello tempestato di pietre colorate, davvero molto bello. Pomeriggio di riposo e cena al MEDITERRANEO per una pizza! Il locale è molto carino e pulito, indirizzo: Jain Temple Road di fronte al Surya Hotel, www.mediterraneo.com.

 

Lunedì 16 agosto VARANASI

Andiamo all’aeroporto di Khajurao in taxi. Rajesh, il proprietario dell’Hotel Zen, lavora anche qui. Ha un banchino nella sala d’aspetto davanti al gate dove vende patatine, biscotti e bibite. Ci offre un tè visto che il nostro volo per Varanasi ha un’ora di ritardo. All’aeroporto di VARANASI c’è un taxi ad attenderci, concordato con l’HOTEL GANGES VIEW, la nostra dimora sull’ASSI GHAT.

Per arrivare all’Hotel impieghiamo un’ora e un quarto di tempo. L’HOTEL GANGES VIEW –  hotelgangesview@yahoo.comè proprio affacciato sul Gange, ha una carattere antico ed è curato e accogliente. Ci gustiamo la Puja serale delle sette giù all’Assi Ghat, uno dei cinque Ghat in cui i pellegrini devono bagnarsi, poi la cena a buffet in Hotel.

 

Martedì 17 agosto VARANASI

A Varanasi c’è lo SHIVA FESTIVAL per cui la città è invasa da pellegrini vestiti d’arancione. Con un tuc tuc, al prezzo di 80 RS, ci facciamo portare a GODAULIA. Manu (l’autista del tuc tuc) ci avverte di stare attenti ai furti, di non seguire nessuno e di non dare soldi. Scendiamo a piedi verso i Ghat dove assistiamo a cinque cremazioni che vengono eseguite contemporaneamente. Mentre le osserviamo un ragazzo ci spiega quali sono le categorie che non possono essere cremate: i Sadu (santoni) perché sono già santi, i bambini perché sono innocenti, le donne incinte perché portano in grembo un innocente, i malati di lebbra e questi proprio non abbiamo capito perché, la persona che è stata morsicata da un cobra perché è un animale sacro, e gli animali. La reincarnazione avviene entro 15 giorni. Un chilo di legna costa tantissimo e per bruciare un corpo ce ne vogliono 250 kg (avremo capito bene?). I più facoltosi spargono legni di sandalo sopra la catasta di legna della pira. Con il pagliericcio il padre da fuoco alla pira (e se uno il padre non ce l’ha?). I corpi vengono poi gettati nel fiume non bruciati completamente. I corpi da bruciare vengono portati a braccia su lettighe di bambù, sono avvolti in un telo bianco e coperti da un telo colorato un po’ dorato. Vengono adagiati sulla catasta di legna e ricoperti da un altro strato di legna. Un uomo sta spingendo un piede che sbuca fuori dalla pira di legno come si fa con la legna nel fuoco di un camino. Non c’è puzzo di corpi bruciati, solo molto fumo ed un caldo infernale.

Tentiamo di passare oltre ma è impossibile, sembra di stare dentro a quello che è! anche se all’aperto, un forno crematorio. Dobbiamo tornare indietro e aggirare l’area per passare agli altri Ghat. Il tipo che ci si appioppato vuole portarci nella sala d’attesa “pre-mortuaria”, un edificio affacciato sullo spiazzo dove avvengono le cremazioni pieno di gente morente in attesa del proprio turno, per fare una donazione ai morenti che ne hanno bisogno per comprarsi la legna. Gli diamo 200 Rs e ce ne andiamo mentre ce ne chiede altri per le sue spiegazioni (non richieste ma che abbiamo apprezzato) perché quelli che gli abbiamo dato sono per i moribondi e per il nostro buon Karma. Ormai siamo prevenuti e pensando che i morenti non avranno un soldo lo salutiamo.

Risaliamo diverse scale, ne scendiamo altre, sono sporche, melmose e merdose, l’acqua del Gange è marrone e densissima, la cenere galleggia ovunque, ogni tanto passa un corpo non completamente bruciato che galleggia trascinato dalla corrente, le bestie si rinfrescano, eppure le persone sguazzano in questa putrida acqua. Ci lavano i vestiti, ci si lavano loro, bevono e riempiono bottiglie di plastica di quest’acqua altamente batterica per noi, santa per loro.

Babu Ram è un vecchio dal sorriso dolcissimo e sdentato, ha 55 anni e ne dimostra 80. Ci chiede in quale direzione vogliamo andare e ce la indica, poi con non chalance ci fa strada, e così abbiamo assunto la guida. Le sue magre gambe sono coperte dal solito telo bianco rigato di arancio, le ciabatte sono di plastica, la camicia fatta a casacca è impeccabile. In testa porta un cencio arrotolato. Ci accompagna su e giù per i Ghat segnalandoci dove è consentito scattare le foto. Ci porta al “Kamasutra Temple”, qual è il suo vero nome non lo so, sembra tibetano. E’ un tempio dalla struttura semplice, con intelaiature, porte e finestre di legno intarsiato raffiguranti alcune scene erotiche. Quelle montate sono copie, gli originali sono rinchiusi in stipi intorno al tempio ma visibili attraverso delle grate. Babu Ram ci fa transitare più volte da un sottopassaggio buio ed angusto dove diverse persone giacciono sdraiate per terra, al fresco. Da soli avremmo avuto paura a passarci ma ce l’abbiamo lo stesso anche con lui. Babu ci chiede se vogliamo vedere l’immancabile bottega di tessuti, così lui si riposa un po’. Al solito tirano giù di tutto, io e Ugo compriamo una bella sciarpa di seta ciascuno. Abbiamo fame, Babu ci accompagna ancora per un pezzetto poi ci indica la strada. Pranziamo nel Ristorante di un Hotel che ha sul tetto una sala climatizzata e dei tavoli su una terrazza che si affaccia sui tetti, pieni di scimmie. Poiché fuori il caldo è afoso pranziamo all’interno. E’ tutto buono, soprattutto il lassi, comunque nella media.

Si scatena un acquazzone. Torniamo a Godaulia a piedi e da lì con un tuc tuc al nostro albergo.

Arrivati all’Assi Ghat troviamo Manu che vorrebbe mostrarci un negozio. Ora no per favore, domani magari. Abbiamo fissato la barca alle sei e un quarto (a 100 Rs cadauno) per andare al Dashaswamedh Ghat dove sette Bramini celebrano la Puja serale più importante. Io però non sono affatto in vena, preferisco fare passo. Gli altri si preparano coperti da mantelle e k-way, io dapprima salgo sul tetto dell’Hotel ma non ho una buona visuale per immortalarne la partenza, perciò scendo all’Assi Ghat. Pria, una bambina deliziosa che vende le candeline da lasciare andare sul Gange, mi chiede come mai non vado con i miei amici. Gli indiani sono molto curiosi.

Prometto a Pria e a suo cugino di acquistare una candelina e a Surya, un simpatico ragazzo, che guarderemo la Puja all’Assi Ghat insieme. Così è. Mi piazzo in pole position sulla piattaforma di legno di fronte a quella dove si celebra il rito, Surya mi spiega le varie fasi della celebrazione ed il loro significato. La cerimonia dura mezz’ora. Al termine cerco i bambini per le candeline. Ne compro una per me ed una per Surya per 50 Rs. Mentre sto posando la candela nelle torbide e scure acque della Madre Ganga mi sento prendere per mano, è il cugino di Pria che teme che possa cadere in acqua. Surya mi invita a vedere il suo negozio, e chi non ne ha uno? Quando gli altri tornano mi raccontano che la cerimonia è stata suggestiva ma guastata dalla presenza di troppe barche piene di turisti, quindi senza possibilità di avvicinarsi molto. Ugo ha visto un “body” in acqua passare accanto alla barca. Andiamo a cena da VAATIKA, due Ghat più in là. Il ristorantino ha una bella e fresca terrazza che si affaccia sul fiume, è abbastanza pulito ed il servizio è buono. Per motivi religiosi non possono servire birra. Spendiamo 390 Rs per quattro pizze e quattro bibite.

 

Mercoledì 18 agosto VARANASI

Facciamo colazione al VAATIKA con la loro specialità, una generosa fetta di apple pie.

Alle nove abbiamo appuntamento con Mr Ashok, tel 9792124190 oppure 9336914387, una guida ingaggiata tramite l’albergo, per visitare la città vecchia. E’ un signore distinto molto sorridente sulla cinquantina che parla bene inglese scandendo le parole. Contratta il tuc tuc con il nostro amico Manu e ci porta a fare il rituale giro dei tre principali templi di Varanasi. Ogni mattina ogni persona, prima di andare al lavoro, va a bagnarsi nel Gange poi fa il giro dei tre templi: il Tempio di Hanuman (il dio scimmia), il Tempio delle donne, il Tempio di Shiva in cui è posto un enorme Shiva Lingam,  dove una famiglia indiana ci chiede di fotografarci e assistiamo ai riti.

Visitiamo l’enorme complesso universitario che conta 35.000 studenti, la sua frequentazione costituisce il migliore curriculum per trovare lavoro. Il polo universitario è stato costruito grazie ai finanziamenti della famiglia Birla ed è sostenuto dallo Stato. Fra le varie facoltà notiamo quella di Biologia e Genetica Molecolare. Fa uno strano effetto, a Varanasi.

Facciamo una passeggiata tra i vicoli tranquilli della Città Vecchia, spesso dalle finestre si vedono gli interni dei laboratori dove uomini e bambini lavorano la seta al telaio e la ricamano.

In India gli uomini cucinano, servono ai tavoli nei ristoranti, lavorano nei negozi di qualsiasi genere e livello, eseguono opere artistiche ed artigianali anche nell’edilizia, guidano i mezzi di trasporto mentre le donne lavorano nei campi e nei cantieri, accudiscono figli e animali, lavorano nei mercati di frutta e verdura. Ashok ci domanda se desideriamo vedere il prodotto finito delle seterie, così ci ritroviamo nuovamente tra stole, broccati, sciarpe ecc.. il venditore, un uomo di 71 anni, dichiara di avere ancora solo tre anni da vivere, quindi vende per il suo buon Karma non per fare soldi. Sono incredibili le storie che si inventano gli indiani pur di vendere. Dopo aver visionato decine di pezzi veniamo via senza comprare perché, pur contrattando, i prezzi son troppo alti. In fin dei conti poi non ci serve mica nulla, diamo un’occhiata solo per portare a casa qualche regalino. Ashok ha un’andatura tranquilla, ci fa notare che sopra ad ogni porta c’è un Ganesh (dio elefante) con a lato due pesci in segno di buona fortuna e che le case dipinte di recente stanno a significare che poco una coppia vi si è trasferita ad abitare.

Diciamo ad Ashok che abbiamo fame. Prontamente ci vuole portare alla German Bakery ma noi preferiremmo un posto dove sederci e mangiare qualcosa di diverso. Allora propone POONAM, il ristorante dell’Hotel Prataap. Dice che con un rickshaw è vicino. Alla faccia del vicino, non si arriva più! Stremati dal caldo e dalla fame entriamo nella gelida sala climatizzata. Il cibo è buono, anche il servizio, ma niente di eccezionale. Spendiamo 874 Rs in quattro.

Torniamo all’Assi Ghat con i tuc tuc e liquidiamo Ashok che per l’intera giornata ha chiesto 200 Rs a testa, tutto sommato è stato il più onesto di tutti perciò gliene diamo in totale 1000 ed è il primo indiano che apertamente dimostra soddisfazione e gratitudine. Nel negozietto accanto all’Assi Ghat compro gli incensi Sai Baba, qui costano solo 30 Rs…. Compro anche il patch dell’India da cucire sullo zaino. Urge una pausa caffè. Non lontano dall’albergo c’è l’OPEN HAND CAFE’www.openahandonline.com, varanasi_shop@openahandindia.com  un posto delizioso, dove oltre a splendidi cappuccini, lassi, frullati e dolci da consumare rilassati sui divani dei vari salotti, vende varie cose fatte a mano, per lo più artigianato prodotto dalle donne di Varanasi. In questo locale, scoperto troppo tardi! servono anche light lunch e insalate.  Esiste un negozio anche a New Delhi nel Main Bazar a Paharganj. Si scatena un diluvio, meno male siamo in questo posto tanto accogliente. Ceniamo in albergo sul tetto.

 

Giovedì 19 agosto, VARANASI – NEW DELHI

Colazione rilassata all’OPEN HAND CAFE’. Alle undici lasciamo l’albergo ed impieghiamo novanta minuti di taxi per arrivare all’aeroporto. A causa del ritardo del volo arriviamo a Delhi alle sei del pomeriggio. La MASTER GUESTHOUSE è carina e la cena che ci viene servita è discreta.  www.masterbedandbreakfast.com, info@masterbedandbreakfast.com – R-500, New Rajinder Nagar, New Delhi.

Venerdì 20 agosto NEW DELHI

Avevamo fissato un CITY WALK con SALAAM BAALAK TRUST, www.salaambaalaktrust.comsbttour@yahoo.com, che organizza tour a piedi alla scoperta degli angoli più nascosti del quartiere Paharganj ed impiega ragazzi di strada. I tour di due ore iniziano alle 10.00 e costano 200 Rs. Peccato che a causa del maltempo siamo costretti ad annullarlo, non riusciremmo mai ad arrivare in orario all’appuntamento, il traffico è troppo congestionato. A dispetto delle intemperie usciamo comunque. Nel centro di Delhi nessun rickshaw vuole portarci per meno di 250 Rs, c’è una mafia, ma noi non ci facciamo piegare fino a quando troviamo un conducente onesto che ci porta per 80 Rs nella zona di Connaught Place che è tutta un cantiere in vista dei giochi olimpici del Commonwealth di ottobre. Giriamo un po’ per le vie principali ma senza soddisfazione particolare. Pranziamo al ristorante SAGAR RATNA, offre specialità dell’India del sud, DOSA la croccante sfoglia con dentro lenticchie ed altra verdura piccante, IDLI antipasto al semolino, UTTAPAM una specie di frittata di semolino e l’immancabile THALI piatto nazionale. Sperimentiamo anche un dolce, il SWEEN PAAN, ma fa proprio schifo.

Con la metro raggiungiamo CHANDNI CHOWK, camminiamo a lungo fino a KAORI BAOLI dove si vendono le spezie. Compriamo il masala per il tè, lo zafferano e le mentine da servire a fine pasto. E’ interessante vedere il PANEER (formaggio fresco) nei contenitori di plastica appoggiati per terra in mezzo al traffico e alla polvere. Giriamo per il mercato, poi con la metro torniamo a KAROL BAGH e da qui alla Guesthouse.

 

Sabato 21 agosto, ultimo giorno

Sveglia alle quattro meno un quarto, colazione in camera, partenza alle quattro e venti per l’aeroporto. La vacanza è finita e siamo anche contenti di tornare a casa, perché il viaggio è stato tosto sia per il caldo – in India sarebbe meglio andarci in inverno- che per l’assillo incessante dei venditori. Però tutto quello che c’è da vedere vale la fatica, è veramente INCREDIBLE INDIA!

 

NAMASTE’

 

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