Etiopia

20171231_174418ETIOPIA – Regioni Amara e Tigré

Periodo : dicembre 2017 – gennaio 2018

Durata : 11 giorni

Tipologia di viaggio: di gruppo con Avventure nel Mondo (ETIOPIA BREVE)

 

 

Itinerario: ADDIS ABEBA – BAHIR DAR – GONDAR – DEBARK – SIMIEN PARK – ADIGRAT – AXUM – MAKALLE’ – LALIBELA

Per il visto on-line: https://evisa.gov.et/#/home. Serve la scansione del passaporto e di una foto tessera e il nome del primo albergo dove alloggerete. Riempite il formulario con i dati richiesti, pagate con la carta, attendete la mail con il visto da stampare.

 

DIARIO

 

L’anno etiope ha un mese in più perciò, benché per noi il viaggio inizi nel 2017, secondo il loro calendario veniamo catapultati nel 2010. Evviva! Abbiamo trovato la macchina del tempo!!

 

Atterrati ad Addis Abeba il grosso del gruppo va al controllo passaporti. Vado con Enrico e Matteo a cambiare gli Euro per la cassa al money change situato subito prima dei controlli. Purtroppo facciamo subito “i conti” con la scorrettezza dell’impiegato e vi racconto la dinamica del furto affinché non ne siate vittime anche voi. Avendo già contato i contanti da cambiare, consegniamo gli Euro dichiarando l’ammontare all’impiegato mentre costui incalza Give me the money, give me the money! Sgarbatamente veniamo invitati a compilare anche un modulo con l’importo versato e i dati di un passaporto. Nel mentre lui infila gli Euro nella macchina contabanconote.

Chiediamo il tasso di cambio. Parecchio scocciato lo scrive sul modulo e scrive anche l’importo totale che ci verrà corrisposto in Birr. Un momento, il calcolo non torna… ci dev’essere un errore… Mancano 50 euro! Nessun errore! decreta bruscamente con una magistrale faccia di bronzo. I vostri soldi sono qua, e ce li mostra spazientito.

Dopo un paio di tentativi di replica dobbiamo arrenderci di fronte all’evidenza che se li è abilmente imboscati approfittando della nostra distrazione nel riempire il modulo. Tutto calcolato.

Sconcertati e frustrati ci sentiamo con le mani legate. A questo punto, malfidata, voglio contare i Birr. Che ci vorresti fregare una seconda volta!? Carta canta caro, sul modulo l’hai scritto tu il cambio e quanto ci devi dare. Oh ricontiamoli questi Birr…

Il fraudolento furbacchione si innervosisce e tenta la solita tattica di metterci fretta. Stai calmo, non c’è fila dietro a noi giusto? E noi non abbiamo fretta… anzi, così la coda al controllo passaporti si snellisce! Dunque, abbiamo 16 mazzette da 100 banconote da 100 Birr.. e fanno 10.000. Ok… poi dovrebbero esserci 7.715 Birr, in pezzi da 100.

Vieni bellino, 100, 200, 300… ad arrivare a 7.700 te la faccio passare io la voglia di fare lo stronzo!

Infatti.. voleva fregarci altri 1.000 Birr l’infame! L’equivalente di 31,00 euro circa, che in Etiopia sono soldi e un insulto alla povertà della gente del suo paese!

 

Consiglio: fregatevene della fretta che vi mette l’impiegato, è una precisa tattica. Contate le banconote, una per una, davanti a lui, sia quelle che consegnate che quelle che ricevete. Procedete così anche nel caso dobbiate riconvertire Birr in Euro prima di imbarcarvi.

 

Dopo aver contato sotto al suo naso sia le mazzette che le banconote da 100 per ben due volte, il furfante ci consegna i 1000 Birr mancanti.

Gonfi, di rabbia e denari, passiamo la dogana e ritiriamo i bagagli.

Al parcheggio ci attendono i pulmini “per l’albergo”. Mi sembrano parecchio sgarrupati… se l’albergo è dello stesso livello di questi catorci cominciamo bene… Non solo, dato che domani ripartiamo presto con un volo interno per Bahir Dar, Enrico si è dato da fare per trovare un albergo vicino all’aeroporto. Meno male che è vicino! Gira che ti rigira arriviamo all’Hotel Lobelia dopo un buon quarto d’ora. Mentre scendiamo e scarichiamo i bagagli per correre in camera sento il ragazzotto del nostro pulmino richiedere un compenso di 100 dollari. ?!! Avevo capito che il servizio navetta era compreso! Ok, siamo incappati in altre persone scorrette. In reception Enrico appura infatti che siamo stati caricati da altri pulmini, non dalla navetta dell’albergo. Peggio per loro, non gli diamo niente, così imparano a cercare di fregare i turisti!

 

Al mattino, con la navetta ufficiale, arriviamo all’aeroporto in tre balletti. L’hotel era effettivamente molto vicino! Realizziamo anche che i bricconi ieri sera hanno fatto apposta un vero giro pesca. Per chiedere più soldi! Beh, gli è andata male.

Il volo – su un Bombardier dell’Ethiopian Airlines – dura un’oretta circa e si sorvolano magnifiche catene montuose. Importante: conservate la carta d’imbarco e la contromarca adesiva per il ritiro dei bagagli perché all’uscita dall’aeroporto controllano che il bagaglio sia effettivamente il vostro!

BAHIR DAR si trova a 1880 mt di altitudine.

Il prenotato Hotel Delano è stato occupato dal Governo etiope per una riunione dei Ministri perciò il proprietario dell’albergo ci ha riprotetti presso l’Hotel Rahnile di pari livello, anzi dice superiore, e ci offrirà la cena al Delano per scusarsi. Ma sì va bene, l’importante è dormire.

Acquistiamo il nostro primo casco di banane e andiamo subito a fare un bel giro in barca sul LAGO TANA dove incrociamo alcune piroghe costruite con papiri intrecciati. La navigazione è abbastanza a rilento perché siamo controvento e fa anche freddo!

Sbarcati sulla PENISOLA DI ZEGE veniamo sollecitati da giovani venditori di artigianato locale a fare acquisti. Sulle bancarelle sono esposti dipinti raffiguranti Santi e Madonne, monili, campane di metallo, piccole piroghe intrecciate, oggetti in corno, sciarpe tessute a mano, incenso e caffè in chicchi. Il costo di ogni cosa è indifferentemente di 100 Birr ma si può contrattare.

Visitiamo tre bellissime Chiese: Ura Kidane Meret, Bete Maryam e Azuwa Maryam.

Ndr: nelle Chiese si entra senza scarpe e si paga sempre l’ingresso.

La prima Chiesa ci lascia a bocca aperta. La struttura ha una forma rotonda. La cintura esterna è realizzata con una palizzata di legno perfettamente allineata. Il tetto conico di paglia è di straordinaria fattura. Si accede ad un primo ambiente protetto da un muro circolare fatto di fango e paglia in cui sono incassate finestre di legno dipinte con scene bibliche. Due porte, su lati opposti, introducono al nucleo centrale di forma quadrata che si rivela ai nostri occhi in tutta la sua bellezza. Le pareti sono vividamente affrescate con iconici Santi, talvolta protetti da tendaggi, tra cui ricorrono San Giorgio (protettore dell’Etiopia), San Michele, San Gabriele. Come nelle nostre Chiese, le raffigurazioni religiose raccontano le Sacre Scritture a chi non sa leggere.

La seconda Chiesa ci regala un momento di raccoglimento impagabile. Arriviamo proprio durante una funzione. Seduti nel giardino attendiamo che termini per poter visitare la Chiesa. Al rintocco di una campana, una melodiosa litania da sussurrata diventa progressivamente corale e noi, permeati da una strana magia, assorbiamo la sacralità del rito entrando in contatto con la cultura di quell’Etiopia che sognavamo di incontrare e conoscere.

Le Chiese sono piuttosto simili. Nei pressi della terza però c’è anche un piccolo interessante museo. Nel giardino della Chiesa veniamo invitati ad assaggiare il TEJ, una specialità locale (birra fermentata). Poco prima di riprendere la navigazione beviamo il nostro primo caffè etiope.

Complice la placida andatura della barca e riscaldati dal sole, crolliamo uno dopo l’altro in un torpore ristoratore. Il programma prevedeva anche un’escursione fino alle Sorgenti del Nilo ma, considerata la stanchezza e l’ora fattasi, nessuno è per la quale.

Andiamo a cena all’Hotel Delano dove apprendiamo che per motivi di sicurezza, dovuti al summit governativo, wifi è fuori uso in tutta la città. Mah, sarà.. Per mandare notizie a casa ritenteremo domani. Per il mio palato il primo incontro con la cucina locale non è soddisfacente. Innanzitutto siamo stati piazzati fuori su un terrazzo, dove fa piuttosto freddo, perché la sala ristorante è occupata appunto dai Ministri. Il buffet offre: una strana zuppa bianca, carne nera non identificata e dura da masticare, carne d’agnello (buona la salsa speziata ma la carne è gommosa), carne insapore fritta, insalata di pomodori e cetrioli. E speriamo in meglio!

 

A colazione assaggio il piatto base dell’alimentazione etiope, l’injera, una sorta di crèpe spugnosa grigiastra fatta col Teff (cereale). Abbinata alla marmellata non incontra il mio favore perché la percepisco troppo acida, con il pomodoro e le spezie invece non è male. Comunque preferisco le uova strapazzate. Anche il miele (Làl) è molto buono.

A bordo di un confortevole pulmino inizia davvero il nostro viaggio.

Alla guida abbiamo Wondew, autista che nei giorni futuri constateremo essere molto prudente, disponibile ed affidabile. Una breve sosta per acquistare dei pomodori in uno dei tanti villaggi sulla strada vede Luigi protagonista del borseggio di un obiettivo della sua macchina fotografica.

Da una prima indagine del nostro costernato autista, il colpevole del misfatto resta ignoto. Solo offrendo una taglia di 200 Birr a chi ritroverà il maltolto salta fuori in un attimo il ladruncolo, un ragazzo di forse 15 anni che, godendo dell’attenzione generale, restituisce il corpo del reato ridendo sfacciatamente quasi fosse un eroe!

Una breve deviazione lungo una strada sterrata ci porta al villaggio della AWRA AMBA COMMUNITY che ha una bella filosofia di vita, comportamento e socialità. Ideologicamente niente di nuovo sotto al sole ma, a quanto pare, in questa comunità riescono a rispettare e condividere i sani principi di uguaglianza, giustizia, importanza dell’istruzione e del lavoro proposti dal fondatore Zumra Nuru che vediamo e salutiamo. La visita, guidata da due donne, inizia dalla stanza dove registrano la nostra presenza e prosegue nel piccolo museo con le foto del fondatore, della comunità, delle attività e di alcune ricorrenze. Visitiamo l’asilo dove i bimbi, intenti ad imparare l’inglese, si alzano al nostro ingresso, la biblioteca, i semplici locali dove vivono gli anziani che, non essendo più abili al lavoro, vengono accuditi dalla comunità. Mi commuovo salutando una donna che, con occhi lontani e lucidi, parlandomi in amarico mi bacia le mani: io bacio le sue ringraziando l’universo per questo incontro imprevisto e sincero.

In un capannone ci sono telai ed arcolai, strumenti tradizionali ed arcaici per la tessitura di sciarpe, coperte e vestiti. Nel vicino negozietto ci scateniamo negli acquisti, non tanto per i manufatti quanto per dare un ulteriore contributo. Io prendo una sciarpa bianca dalla trama sottile, bordata con i colori della bandiera etiope. Visitiamo anche la semplice Guesthouse della Comunità dove è sicuramente bello soggiornare, fatelo se potete! Mi piace questo posto, mi ispira serenità, accoglienza. Un buon caffè e siamo pronti per ripartire pensando ad un motto della comunità : Ama gli altri come vorresti essere amato. Grazie Enrico per aver proposto questa deviazione!

Dal finestrino il paesaggio si dipana come una matassa scorrendo davanti ai nostri occhi in un susseguirsi di colline punteggiate dalle grandi cupole dorate dei covoni circolari e perfetti, gente che cammina, gente che pascola capre e vacche, acacie ad ombrello in fiore, capannelli di persone che, con contenitori di plastica gialli, attendono il proprio turno per attingere l’acqua dalle pompe.

Iniziano le curve. Camion stracarichi arrancano sulla strada in salita. Il passo rallenta.

Con gli occhi scatto istantanee dal finestrino: formelle di sterco esposte al sole ad essiccare, alberi enormi dalla chioma folta, palme, fichi d’india, piantagioni di mais. I campi sembrano dipinti, il colore dei cereali si alterna al verde intenso della verdura, all’ocra della terra. Le capanne sono costruite con grossi pali verticali e hanno le finestre ed il tetto di lamiera ondulata. Gli uomini accompagnano a piedi gli asini che trasportano sacchi e fascine di legna. I bambini corrono felici appresso al pulmino urlando. Osservo donne flessuose con i canestri di paglia sulla testa e donne abbassate a raccogliere i cereali con le schiene piatte come tavole, altro che pilates!

Giungiamo a GONDAR (altezza 2.300 mt). Nella via principale notiamo gli edifici dall’evidente architettura in stile fascista, spicca fra tutti il cinema. Ci sono palazzi in costruzione, numerosi College per gli studenti, attività commerciali, tanti BAJAJ (tuc-tuc etiope).

Il nostro albergo Fasil’s Lodge è proprio di fronte al Castello. Assoldato come guida un ragazzo che parla un discreto italiano entriamo nella Cittadella Imperiale racchiusa dalle mura. Il sito è stato restaurato con i fondi dell’Unesco ed è Patrimonio dell’Umanità. A parte un edificio intonacato dagli italiani, tutto il resto è originale ma in buona parte è stato bombardato dagli inglesi. Il Castello però è rimasto intatto; bello sia esternamente che internamente, si sviluppa su due piani con torri di guardia ai lati; notevoli i pavimenti ed i soffitti, ma sulle pareti gli affreschi sono poco visibili. La Biblioteca, il Bagno Turco e altri imponenti edifici sono parzialmente diroccati ma comunque interessanti.

La guida si prodiga in spiegazioni elencando i nomi dei Palazzi, i nomi dei vari sovrani succedutisi e le date dei vari avvenimenti ma non riesco proprio a memorizzarli. L’area vanta anche un esteso giardino con alberi enormi Ficus (Banyan Tree), alte stelle di Natale, profumati alberi di Pepe.

Ci trasferiamo alla Chiesa di Debre Berhan Selassié che la leggenda vuole salvata da uno sciame di api nel 1880 dall’attacco dei sudanesi. Notevoli il soffitto ligneo con i volti di centinaia di cherubini alati e le pareti interamente affrescate. Ultima, ma non ultima per bellezza, visitiamo la Residenza estiva dell’Imperatore, dove si trovano i Bagni di Fasiladas che ogni gennaio vengono riempiti d’acqua e invasi da centinaia di fedeli per la celebrazione del Timkat, la rievocazione del battesimo di Cristo nel Giordano. Tutt’intorno alla grande vasca i muri si fondono con le radici dei grandi Ficus.

Rientrati al Fasil’s Lodge ci tratteniamo nel cortile per una birra di gruppo.

Assaggiamo la Amber Beer, ambrata e corposa. Mi piace, forse più della St. George.

Al Ristorante Four Sisters la nostra tavolata è fuori sul balcone. Ma allora è un vizio! Se non altro qui sono organizzati perché ogni sedia ha in dotazione un poncho colorato e caldo. La ricca cena è a buffet. Io e Beatrice concordiamo sullo stop alla carne e all’injera: decisamente non ci piacciono. Le lenticchie invece sono davvero ottime. Il locale, palesemente per turisti, propone un ballo finale delle quattro sorelle con coinvolgimento dei presenti.

 

Oggi è sabato, giorno di mercato e a Gondar c’è un gran movimento: gente vestita di bianco converge in città con decine di ciuchi carichi di legna e sacchi di cereali. Poco lontano da Gondar diamo un’occhiata ad un villaggio ebreo che è proprio sulla strada ma veniamo presi d’assalto dai bambini che, oltre a chiedere insistentemente penne e denaro, sono istruiti a vendere piccoli oggetti di terracotta e di paglia. Uno di loro tenta anche di infilare le mani nella mia sacca.

Di fronte c’è una piccola fabbrica di artigianato, una vera oasi di pace in cui le gentili ragazze che vi lavorano ci mostrano gli ambienti in cui producono vasellame e tessuti.

Proseguiamo verso Debark percorrendo “la strada degli italiani” attraversando un paesaggio mozzafiato rapiti dalla bellezza della silhouette delle montagne.

Dobbiamo effettuare diverse soste perché un paio di persone hanno la gastroenterite.

 

DEBARK si trova a 2.860 mt di altitudine e fa freddo.

All’Hotel Simien Park sono disponibili solo sei camere. Siccome siamo in quindici tre persone prendono alloggio nel vicino Hotel Unique Landscape, unico di nome e di fatto, definito da Mauro uno dei peggiori alberghi della sua vita da viaggiatore.

A Debark c’è un grande mercato, anche degli animali, non si contano infatti i ciuchi e le vacche. Sarebbe bello immergersi nella bolgia del mercato ma il SIMIEN PARK ci aspetta.

Pagato l’ingresso, la guida e tre ranger muniti di Kalašnikov, iniziamo una facile e piacevole passeggiata. A 3.200 mt d’altezza però ho il fiato corto!

La vista di un numeroso branco di scimmie Gelada ci ripaga dello sforzo. Sembra di stare dentro a un documentario sulla natura: le scimmie, occupate a procurarsi il cibo, non si curano di noi e procedono per la loro strada emettendo strani versi. Noi siamo controllati a vista dai Ranger, forse più per non recare danno agli animali e alla natura circostante che per essere protetti.

Pranziamo al sacco di fronte ad un vasto e stupendo panorama.

Quando stiamo per ripartire succede il finimondo. Una ragazza, facente parte di un gruppetto di coetanee che ci ha seguito durante la camminata per venderci dei sottopentola di paglia, pronunciando la parola Change mi lancia un sottopentola dentro al pulmino. Ok change! Prendo il sottopentola e le do una maglietta. Guarda esitante la maglietta, forse non è quello si aspettava in cambio del sottopentola. Quando capisce che stiamo per partire comincia a piangere disperata ripetendo qualcosa in amarico e indicando i sedili. Chiedo al nostro autista di chiederle cosa c’è che non va. Lei glielo spiega ma Wondew fa fatica a capire. Se non capisce lui, figurati io! Continuando a fare cenno ai sedili la ragazza piange sempre più forte. Guardiamo tutti per terra smarriti. Intanto i Ranger, con i loro Kalašnikov in braccio, danno quel tocco di grottesco alla situazione. Ma che cavolo sta succedendo? Finalmente lo vedo: un altro sottopentola, scaraventato all’interno dal finestrino, si è infilato tra i sedili. Lo restituisco immediatamente alla ragazza, anzi le rendo anche l’altro e tenga pure la maglietta. Chissà, forse va incontro ad una punizione se torna a casa senza merce o denaro.

Tornati in albergo, lasciamo tutto in camera e andiamo a fare un giro al mercato. Ormai però sono le cinque passate ed è stato smontato. Sono rimaste solo montagne di ciabatte di plastica, quelle da scoglio che usavamo da bambini, che qui sono la calzatura standard. Nel settore delle spezie c’è ancora qualcosa. Cumuli di grossi peperoncini, sementi a noi sconosciute, zenzero, lenticchie. Irritati dalle montagne di peperoncino cominciamo a tossire convulsamente, meglio passare oltre.

Ci piacerebbe comprare il BERBERE’, una miscela di peperoncino, zenzero, ajowan, leggermente piccante e dal colore brillante che assomiglia alla paprika. Andando avanti scorgiamo una bottega in cui una ragazza lo vende insacchettato. Si ma un chilo è troppo, dove lo mettiamo! Senza capirci un granché arriviamo comunque alla soluzione. La ragazza tira fuori una palettata di Berberè sfuso che depone in un paio di sacchetti di plastica più piccoli pesandoli su una bilancia a due piatti (di quelle con i pesi di calibrazione). La quantità è ignota ma il valore è di 30 Birr (un euro scarso).

La termosaldatura è la parte migliore: viene abilmente effettuata con una candela!

Susanna ed io rientriamo soddisfatte dell’acquisto.

Stasera ceniamo nel bel ristorante attiguo all’albergo e al chiuso. Ellèra l’ora!

Peccato che siamo solo in dieci perché la gastroenterite ha colpito ben cinque persone. Comincia a delinearsi una lista degli “abbattuti”. Ma cosa sarà stato?

La cena a buffet è molto buona; evito carne ed injera come già dichiarato ma dopo una calda zuppa di verdure faccio una bella scorpacciata di lenticchie, pizza, verdure saltate, spinaci, polpette di riso, rondelle di patate fritte. Alla faccia del bicarbonato!

 

Alle sei siamo già tutti pronti per fare colazione ma stanotte sono state male altre due persone, una vera débacle! Che peccato.. Marinella ha portato la crema di nocciole dell’Arrigoni!!

La strada, tutta tornanti, che da Debark porta al di là del fiume TEKEZE per raggiungere Axum attraversa un paesaggio spettacolare. Oltre alla bellezza inaspettata della regione, alle soste obbligate per necessità, al regalo di arance, penne e magliette, il viaggio sul pulmino scorre piacevolmente anche grazie al contributo di Matteo, che ci intrattiene con le parole crociate, i quiz e il “Vero o falso” della Settimana Enigmistica. Ma soprattutto con Indovina la differenza!! Ahhahhhahaa!

Arrivati al Mana Hotel ad AXUM, dopo le solite operazioni di scarico dei bagagli e l’assegnazione delle camere, veniamo invitati a prenotare i piatti per la cena. Cerco di capire cosa siano le pietanze presenti nel menù con l’intenzione di sperimentare magari qualcosa di nuovo. Ok prendo questo. Questo non c’è. Ok, allora questo. Non c’è. Va bè, allora cosa c’è? Prenoto una zuppa vegetariana e un “Tegamino”. Nota bene che stiamo parlando del cenone di Capodanno! Usciamo per andare a visitare il Parco delle steli.

Ad Axum si subisce l’assedio di giovani venditori di ametiste, arche dell’alleanza e croci varie. Per sedare la loro insistenza basta dire “no grazie, non compro” in amarico: Al Fèlleghèm, Al Ghèsàm. Funziona!

Per entrare nell’area delle steli, Patrimonio dell’Umanità, si paga un ingresso e si deve assoldare una guida. Télahùn, questo il suo nome, spiega in un improbabile inglese la storia delle steli di granito. Quella più grande, alta 33 metri e dal peso di 520 tonnellate è crollata e giace a terra a pezzi. Quella portata via dagli italiani e restituita nel 2008 si distingue dal colore perché restaurata. Quella accanto ha dei tiranti perché ha avuto un cedimento. La guida parla, parla, racconta del Palazzo del Re con 54 stanze, di una tomba con una falsa porta e nove finestre, di un tunnel con sbocco nel golfo di Aden… Francamente non riesco a stargli dietro e non mi sento appagata da questa visita. Anche quel che resta del Palazzo della Regina di Saba mi intriga il giusto, come pure la piscina dove faceva il bagno (in realtà un bacino idrico).

Forse al tramonto sarebbe tutto più suggestivo, forse avevo troppe aspettative.

Ed eccoci al Cenone. La zuppa, che più o meno abbiamo preso tutti anche per contrastare il freddo, è buona. Il mio Tegamino è un piatto tipico a base di shirò, ovvero una salsa di farina di ceci, impreziosita dal berberè che lo rende colorato e piccante. Birra come se piovesse e niente più.

Ma qualcuno ha adocchiato una bottiglia di spumante Brut su uno scaffale del bar dell’albergo e ha chiesto che venga messa in fresco….

Con l’intento di tirar tardi fino alla mezzanotte decidiamo di fare un gioco a squadre, quel gioco che facevamo da bambini con carta e penna estraendo una lettera a caso per scrivere parole che iniziano con quella lettera e che ognuno chiamava a modo suo, io Mari Monti e Città.

Ecco le categorie stabilite da Matteo, divenuto l’animatore ufficiale del gruppo: Citta’ Extraeuropee, Cose che si trovano in Ufficio, Scrittori e Poeti, Attori e Attrici (cognome), Piatti Etnici, Malattie Imbarazzanti, Buoni Motivi per Viaggiare, Cose Gialle. Ma come gli vengono??!!

Come faccio a descrivervi il delirio e l’accanimento nel giocare? Ci ammazziamo dal ridere fino a farci venire mal di pancia (per restare in tema con l’andazzo generale..)

Nel frattempo…

I due ragazzetti del bar si fanno avanti presentando la bottiglia di spumante ma la rimandiamo indietro perché non è ancora abbastanza fredda. Questo avanti e indietro continua per un po’ fino a quando notiamo il progressivo sgomento dei due poveretti che probabilmente sperano di chiudere il bar ed essere liberi. E chi se ne importa se non è ancora mezzanotte e se la bottiglia non è ghiacciata. Forza, stappiamola! Le bollicine ci sono ma il colore giallo intenso lascia subito capire che, in perfetta sintonia con la località, anche la bottiglia è un reperto archeologico. Il sapore ce lo conferma, indescrivibile! e l’onda delle risate è irrefrenabile al pensiero che ci costa pure 30 euro!

 

Il nuovo anno inizia con la visita della moderna Chiesa Maryam Sion.

Accanto c’è la cappella non visitabile dove pare sia custodita l’Arca dell’Alleanza.

Facciamo poi due passi “in centro” per un po’ di shopping. Nei negozi troviamo piatti e canestri di paglia intrecciati con la lana colorata, oggetti in legno e metallo, icone, tessuti.

Ripreso il viaggio transitiamo da ADUA, tristemente nota per gli avvenimenti storici che, purtroppo, vedono noi italiani protagonisti. Breve sosta davanti al monumento ai caduti soffocato dagli edifici in costruzione. Proprio davanti gli è stato pure piazzato un irriverente cartello con le foto dei piatti di un ristorante. La semplice croce reca la scritta “ADUA 1896 NON DOBBIAMO DIMENTICARE”. Oltre ai caduti italiani, e a quelli etiopi, in realtà cosa non dovremmo dimenticare? Due signori etiopi fotografano noi che la fotografiamo.

A YEHA, la Chiesa di Abuna Aftsa ha un tranquillo cimitero. Le tombe hanno lapidi singolari, una è fatta con gli ingranaggi di una bicicletta. Il Sacerdote ci mostra dei libri, sono antichi manoscritti. Fra i vari cimeli noto una pietra con inciso il giglio fiorentino e la scritta DIVISIONE GAVINANA.

Al famoso Monastero DEBRE DAMO posso salire solo gli uomini. Sì esatto, salire scalando una ripida roccia alta 15 metri con l’aiuto di una corda. Scalzo e  “imbracato” con una fune legata intorno alla vita, Matteo si cimenta per primo nell’impresa tenendoci col fiato sospeso.

In cima c’è un uomo addetto a tirare la fune di sicurezza. Ai piedi della parete invece c’è un ragazzo che si occupa di dare indicazioni, probabilmente sperando di raggranellare qualcosa. Lui parla in inglese io traduco vociando le istruzioni. Stai più sulla destra! Non inarcare la schiena! Sentirà dal basso? Ad un certo punto abbiamo tutti l’impressione che sia in difficoltà, resta bloccato a metà tanto che ci viene il dubbio che non ce la faccia a proseguire, oppure a tornare indietro..

Il ragazzo mi chiede se deve salire in suo soccorso ma ovviamente l’aiuto ha un costo. Che cosa?? Ma non ti vergogni? Gli faccio una partaccia che capisce benissimo anche in italiano. Ok free, mi ripete scusandosi più volte. Intanto Matteo, con un ultimo eroico sforzo fisico e mentale, guadagna la vetta e scatta l’applauso generale. Lo segue solo Enrico e con più agilità, anche se non paragonabile a quella del Sacerdote che con leggerezza pare abbia preso l’ascensore!

Ecco la descrizione di ciò che i nostri eroi hanno trovato lassù. “Arrivati in cima, a piedi scalzi su un sentiero di paglia e cacca di capra, siamo entrati subito nell’atrio della Chiesa per pulirci i piedi sul tappeto. La Chiesa però era chiusa. Abbiamo bussato alla porta rendendoci conto che per l’appunto era l’icona della Madonna. Nell’attesa che il prete ci raggiungesse con la ricevuta e le chiavi per aprila, siamo stati accompagnati a visitare il Campanile / Torre di guardia / Stalla delle pecore. Usciti appagati dalla bella visita ma nuovamente con i piedi sporchi di merda, siamo andati nel cortile e ci siamo intrattenuti con l’uomo armato facendoci i selfie col suo Kalašnikov. Arrivato il Prete, prima ancora di chiederci come state e da dove venite, ha richiesto 200 Birr a testa per la visita della Chiesa. Chiesa bella, bello anche il manoscritto su pergamena di capra del 1400 che nessuno può toccare, neanche il Prete che invece l’ha toccato eccome, addirittura maltrattandolo come se fosse Topolino cercando le figure.”

Ad ADIGRAT prendiamo alloggio all’Hotel Eve.

Proprio di fronte c’è un bel ristorante, molto grande. Buona la zuppa di verdure, il riso, le patate fritte, ma soprattutto il Tihlo una sorta di gnocchi fatti con farina di orzo tostato e verdura (tipo i nostri gnudi) da intingere nel sugo di carne che assaggio dal piatto di Annalisa e Roberta invidiando la loro scelta. Birra a sfare e finale col Panettone che ieri sera era rimasto chiuso dentro al pulmino.

 

Dopo il rituale caricamento dei bagagli sul tetto del pulmino che l’efficientissimo Wondew copre con un telone per evitare la polvere, partiamo per Makallè.

E’ tanto bello osservare il paesaggio dal finestrino. Non ho mai visto tanti ciuchi come qui in Etiopia. In questa zona ci sono tantissimi alberi di Euphorbia Candelabrum dalle sommità fiorite.

Mentre saluto i bambini mi domando cos’è che li rende tanto felici nell’incontrare un turista straniero. Il minimo che posso fare è ricambiarli.

Facciamo una sosta in un bellissimo resort creato da un italiano, il Gheralta Lodge, integrato nell’ambiente in maniera incantevole. Notiamo la presenza di un bell’orto e la geniale idea di coprire i serbatoi dell’acqua posti sui tetti dei bungalow con un covone di paglia. Ci facciamo preparare dei lunch box con panini, banana e acqua. Per chi la vuole c’è anche la mortadella!

A GHERALTA il panorama è spettacolare, non a caso lo chiamano il Gran Canyon di Etiopia.

La sommità delle montagne nasconde delle Chiese incastonate nella roccia. Per raggiungerle si fa un trek pagando una tassa d’ingresso, una guida e gli sherpa, camminando per 6 km tra andare e tornare. La distanza non è tanta ma certi tratti sono esposti e ripidi. Tempo impiegato dal gruppo per salire 1h45 e 1h a scendere. Difficoltà stimata da Stefano che viene dal Trentino: 7 su 10.

Col senno di poi ho fatto bene a non andare, dopo un intero anno di terapie al mio famigerato piede son già contenta di non accusare problemi! Susanna, che era incerta, coglie la palla al balzo per restare con me. Andiamo a fare un giro nei paraggi ma non nella direzione della scalata perché, anche se non la fai, o paghi il biglietto o non passi. Con una sacchettata di vestiti in mano, arriviamo fino ad un piccolo Monastero che troviamo però chiuso. Qui veniamo timidamente avvicinate da un ragazzo che, con un debole inglese, ci pone qualche domanda su chi siamo, cosa facciamo e dove andiamo. Noto che ha adocchiato la busta con i vestiti. Ammiccando alla busta, gli chiedo dove abita e se possiamo andare a casa sua. Annuisce e ci fa strada.

Il ragazzo si chiama Salamauì. La madre accetta con garbo il nostro vestiario e ci invita ad entrare.

Nelle campagne del Tigrai le case sono costruite in pietra e hanno un muro di cinta che racchiude anche un cortile interno. Qui contiamo tre stanze. Una circolare che è chiusa, una piccola che funge da cucina ed una più grande dove veniamo introdotte. Il pavimento è in terra battuta. Le pareti sono intonacate, colorate di azzurro partendo dal basso fino a metà e poi di bianco fino al soffitto. Al muro sono appesi alcuni piatti di paglia intrecciati con la lana colorata. Su due lati ci sono i giacigli: solo delle coperte poste su una base compatta di terra. Diverse valigie probabilmente fungono da armadio. L’insieme comunque risulta molto gradevole e ordinato.

Ci sediamo sul basso muretto che percorre un lato della stanza. Mentre la madre inizia il rituale per la preparazione del caffè, Salamauì ci ringrazia a suo nome per i vestiti. La sorella ci offre del Taetà, una specie di Injera croccante e un po’ scricchiolante sotto ai denti.

Da un bidone di plastica giallo, del tipo che abbiamo visto ovunque utilizzato per attingere l’acqua pompata dai pozzi, la signora versa dell’acqua sulle tazzine per sciacquarle. I verdi chicchi di caffè vengono tostati sulle braci di un piccolo fornello, poi pestati dentro un mortaio di legno e versati con acqua e zucchero nella tipica caffettiera etiope di terracotta (Jebenà) che viene posta sulle braci ravvivate con un ventaglio di paglia.

Nell’attesa che sia pronto il caffè parliamo. Salamauì fa da traduttore. Io cerco di imparare qualche parole in amarico e in trigrino. A Salamauì piace la veste di insegnante e, con la nuova penna regalatagli da Susanna, mi scrive le parole sul taccuino.

La sorella torna con una nuova specialità fatta espressamente per noi: si chiama Kicha, assomiglia alla piadina romagnola, è fatta col mais ed è molto leggera. Tsébuk! Buonissima!

Ricambiamo offrendo il nostro mix di uva sultanina, nocciole mandorle e noci. Very good food, dice il ragazzo. Lo apprezza anche la madre. Il caffè (Bunnà) è molto buono. Tsébuk!

Sorseggiandolo ringraziamo la signora in tigrino: Yékeneléy!

Sopraggiunge il capofamiglia. Resta sorpreso nel trovare due ospiti straniere nella sua casa.

Con un gesto circolare e sguardo eloquente indica la stanza scusandosi per la sua umile dimora.

E’ soddisfatto nel riscontrare invece il nostro apprezzamento. Dopo aver offerto anche a lui le nostre cibarie e aver scambiato qualche parola, annunciamo che ci siamo trattenute abbastanza. E’ giunta l’ora di togliere il disturbo. Ma come? E il caffè? Ma l’abbiamo già preso..

Ci informano che secondo la tradizione dobbiamo berne tre. Oh mamma mia!

Spieghiamo che vorremmo onorare l’usanza e la loro ospitalità ma non siamo abituate, non possiamo proprio accettare. Con un’espressione dolce e accogliente il capofamiglia sorride e annuisce. Prima di accomiatarci chiediamo di poterci fare una foto assieme. Felice della richiesta si rifà il turbante, si mette il mantello e traffica dentro ad una busta di plastica appoggiata sull’unica piccola finestra della stanza cercando qualcosa… la sua croce di legno.

Si mette in posa e con lui il figlio. La moglie non si muove, resta seduta riservata.

Fatte le foto ci salutiamo con un’infinità di ringraziamenti reciproci. Yékeneléy! Yékeneléy!

Felici per questa esperienza, torniamo al pulmino e ci rilassiamo aspettando il ritorno del resto del gruppo. Io ne approfitto per aggiornare il diario. Quando arrivano, gli altri ci raccontano entusiasti dell’escursione e del panorama pazzesco visto da lassù confermando che in certi punti è stata effettivamente tosta.

Per tornare indietro ripercorriamo, intossicandoci con la polvere, un tratto di strada sabbioso piuttosto impegnativo. Applaudiamo il nostro Wondew per la destrezza.

Visitiamo la Chiesa di ABRAHA WE ATSBEHA, una delle più belle tra quelle viste fin’ora.

Arriviamo a MAKALLÈ col buio. Dormiamo all’Atsey Johannes Hotel. L’albergo è bellissimo. Devo dire che il livello degli alberghi di questo viaggio è piuttosto elevato, non mi aspettavo tanto.

 

La nuova giornata prevede una lunga traversata di 430 km fino a Lalibela.

Incrociamo dromedari, uccelli in volo, case di fango e paglia, terrazzamenti, curve, vacche che si inerpicano come capre alla ricerca di cibo, piante fiorite, gente che cammina, ma quanto camminano gli etiopi!, tornanti, camion rovesciati, babbuini, donne pettinate diversamente, fiumi in secca, vacche dalle grandi corna all’insù, tanto bestiame in movimento.

Mi addormento risvegliandomi come in una favola presso un hotel nella cui sala ristorante c’è un’intera squadra di calcio. Sono estasiata. Sono bellissimi! Mentre consumiamo i nostri panini Marinella chiede dove siamo di preciso. Qualcuno risponde “Siamo al LAL Hotel” e io aggiungo “dove è avvenuta la visione mistica..” e lei.. “Ah sì?”

Un attimo dopo capisce che alludo ai calciatori, non a un fatto storico! Ci sbellichiamo dalle risate.

Il viaggio riprende e con esso lo scorrere del paesaggio. Eucalipti, banani, capanne, le finestre delle case ora sono di legno, covoni di paglia perfetti, pellegrini, acacie. Lungo la strada, al nostro passaggio, dei simpatici bambini fanno la danza con le spalle. E’ una carrellata di immagini di cui non ti sazi mai.

In previsione del nostro arrivo a Lalibela, vogliamo lasciare vestiti, cibo e qualche balocco ancora in nostro possesso, alla gente che abita in questa zona o che sta raggiungendo a piedi Lalibela in pellegrinaggio. Per non rallentare la traversata con le soste, se non quelle strettamente necessarie, abbiamo affinato una tecnica di lancio del vestiario dal finestrino.

Coloro che siedono più avanti, ovvero gli avvistatori, segnalano chi stiamo per incrociare. Uomo solo! Donne giovani! Bambini! Una donna, un uomo e due bambini! A seconda del target i vestiti e gli oggetti più idonei passano di mano in mano e arrivano ai lanciatori che prontamente li gettano fuori dal finestrino. E’ divertente e funzionale. La gente resta per una frazione di secondo perplessa poi capisce e corre a raccogliere le cose.

Arriviamo a LALIBELA dove già bivacca una folta folla di persone in attesa del Natale copto. Noi dormiremo all’Hotel Lalibela, molto carino, tipo resort con le stanze affacciate sul giardino che a sua volta guarda la vallata. L’acqua stasera scarseggia e per la prima volta va via anche la luce. Ma proprio quando mi devo asciugare i capelli io!?

Così il raffreddore che mi sono buscata non mi passerà mai! Con un asciugamano in testa e sopra un foulard di lana per non ghiacciarmi del tutto vado nel ristorante dell’hotel che ha un bellissimo soffitto di paglia e lana colorata. Stasera Wondew cena finalmente con noi perché il suo incarico è terminato. Io mi faccio la solita scofanata di verdure: barbabietole, carote, patate, verza, spinaci a volontà! Raffaella ci offre i Morselletti, una specialità dell’Irpinia, per festeggiare il suo compleanno. Che bontà!

 

Tutt’intorno all’ingresso del sito di LALIBELA c’è un’immensa tendopoli dove la gente è accampata in attesa del Natale Copto che si celebra tra il 6 e il 7 gennaio. C’è chi dorme, chi prega, chi mangia, chi mendica, chi osserva.

Gli etiopi non pagano per entrare nel sito, giustamente. Per noi l’ingresso costa l’equivalente di 43,00 Euro a testa. All’interno delle Chiese si sente un odore pungente di umanità. Come di consueto bisogna entrare senza scarpe. Molti di loro sono già scalzi. Ci sono persone che di mestiere fanno i guarda-scarpe per 400 Birr. Mauro si offre di fare il nostro guarda-scarpe, gratis..

Persone di tutte le età, ma soprattutto adulti e anziani, si muovono appoggiandosi al bastone. I fedeli pregano negli anfratti delle rocce, appoggiati ai muri, mentre fanno la coda. I fedeli baciano tutto, il terreno che calpestano, le pareti delle Chiese, le mani dei Sacerdoti, le croci di legno dei Sacerdoti.

Una turista si aggira indossando jeans bucati sulle ginocchia, che indelicatezza… qui la gente veste lacera per davvero non perché va di moda!

Le 11 Chiese rupestri monolitiche, Patrimonio dell’Unesco dal 1978, sono suddivise in gruppo nord e gruppo sud. Quella scoperta più di recente è stata trovata solo 20 anni fa. La più bella e famosa, la Chiesa di San Giorgio, è l’unica esposta alle intemperie. Le altre sono riparate da sovrastrutture rette da altissimi pali di metallo. Le Chiese sono collegate da stretti passaggi e cunicoli scavati nella roccia, roccia che trasuda storia. Nei punti di snodo si creano ingorghi. La calca aumenta esponenzialmente all’interno delle Chiese e con essa la potenza degli odori. La bolgia umana va in ogni direzione ondeggiando. Gente che sale, che scende, che gira a destra, a sinistra. Noi stranieri paganti facciamo talvolta una fila prioritaria. All’esterno della Chiesa più grande un gruppo di fedeli canta in coro rendendo magica l’atmosfera.

 

Con un volo interno torniamo ad ADDIS ABEBA lasciando la meravigliosa Lalibela.

Percependo la fine del viaggio siamo malinconici. Qui non c’è l’incanto della campagna, il panorama della Rift Valley, le mandrie di ciuchi, la gente sorridente che saluta. Qui c’è il caos, ci sono le macchine, gli autobus, le gioiellerie, il Palazzo del Primo Ministro.

Visitiamo il Museo Nazionale dove è esposta Lucy (o meglio la sua copia) che è la donna più anziana del mondo, l’esemplare più datato di Homo Erectus ritrovato fin’ora! Il Museo si sviluppa su due piani, con una pregevole descrizione dell’evoluzione umana nonché foto, oggetti, armi.

Infine visitiamo l’ennesima Chiesa, la Cattedrale di St. George, che per quanto importante, poco ci entusiasma. Sarà che ne abbiamo viste tante.. Molto più interessante è il piccolo museo adiacente.

 

Curiosità e finale

 

In Etiopia non fuma praticamente nessuno.

Lobelia è il nome di una pianta e anche di un hotel realmente vicino all’aeroporto di Addis Abeba!

In tutti gli alberghi troverete sempre un paio di ciabatte di gomma, solitamente infradito.

I materassi e i cuscini dei letti degli alberghi sono comodi.

Sui cessi dei bar stendo un velo pietoso, diciamo che… sono molto usati!

A proposito.. gli unici tornati a casa esenti da gastroenterite sono stati Paola ed Enrico.

Anch’io mi sono salvata durante il viaggio, però l’ultimo giorno ho mangiato troppe lenticchie…

Cosa potete portare di particolare da regalare: biancheria intima, accessori per capelli come mollette ed elastici. Molto richieste anche le saponette degli alberghi e gli spazzolini da denti.

In amarico GRAZIE si dice AMASAGHENALLÒ!

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