Madagascar

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MADAGASCAR

 Periodo : agosto 1998

 Durata : 21 giorni

 Tipologia : fai da te

 

ITINERARIO

ANTANANARIVO, ANTSIRANANA (DIEGO SUAREZ), PARCO DELLA MONTAGNE D’AMBRE, RISERVA DELL’ANKARANA, ANKIFY, NOSY BE, NOSY TANIKELY, NOSY IRANJA

 

Ndr: è un viaggio datato, ma i luoghi e i loro punti di interesse sono sempre gli stessi.

Ho controllato gli indirizzi citati:  esistono ancora e sicuramente saranno migliorati.

Buon viaggio nel tempo!

 

 

ANTANANARIVO, domenica 2 agosto

 

Dopo un’attesa interminabile alla dogana dell’aeroporto di IVATO finalmente siamo nella capitale del Madagascar: ANTANANARIVO.

Ma andiamo per gradi.

Da Roma Fiumicino, con AIR MADAGASCAR, le ore di volo sono 8 e 45. Alla dogana bisogna prima individuare il banchino con sopra il cartello Santé, farsi fare il timbro rosso sul modulo riempito sull’aereo, poi bisogna andare al banco dove fanno il visto. Vedo allungare una bella mancia ad uno della polizia per abbreviare le tempistiche e passare avanti a tutti. Solo dopo si passa al controllo passaporti e successivamente al ritiro bagagli.

 

SF**, una simpatica signora torinese di 66 anni, è venuta a trovare il fratello missionario gesuita a FIANARANTSOA e lo riabbraccia dopo 3 anni; lui vive qui da ben 29 anni e lei quando può viene a trovarlo, ma sono stati anche 10 anni senza vedersi. Molto gentilmente il padre gesuita ci accompagna col furgone a TANA’ fino al nostro albergo che si trova proprio davanti alla stazione ferroviaria.

Il padre gesuita parla lentamente, ci descrive la malaria che deve averlo colpito molti anni fa e che ogni anno in Madagascar uccide 300.000 persone. Ci dice che, contrariamente a quello che siamo abituati a pensare noi, è una malattia subdola che non si fa riconoscere. Mi aspettavo infatti di sentire parlare di febbre altissima invece descrive malesseri sempre differenti: un giorno vomito, un altro diarrea, un altro cefalea o inappetenza, dolori articolari, stanchezza. Ci racconta anche com’è fatta la zanzara: al contrario delle altre che restano in “piano” questa tiene la testa in giù e il sedere in su con il pungiglione in verticale per forare meglio e non si sente.

 

Il tempo è nuvoloso, fa quasi freddo. In periferia le abitazioni, circondate da risaie, sono piccole case dai tetti aguzzi con finestre piccole, sembrano in miniatura. Sono per lo più catapecchie, intervallate da negozi di generi alimentari.

Un discorso tira l’altro a seconda di ciò che vediamo. A proposito degli zebù ci parla di antiche ed ancora attuali tradizioni che vedono gli zebù vittime di sacrifici espiatori e propiziatori. Hanno a che fare con gli antenati per i quali c’è un vero culto. “Fino a non molto tempo fa, i rapporti carnali tra fratelli e cugini di primo grado venivano puniti con la morte. Adesso il clan interessato, per scongiurare l’ira degli antenati, preferisce sacrificare uno zebù: il ragazzo viene picchiato a sangue mentre la ragazza viene cucita nella pancia dell’animale svuotata dei visceri con la testa rivolta verso il posteriore come se dovesse essere partorita; poi viene liberata. Corre urlando verso il fiume inseguita dal lancio di immondizie di ogni genere, nel fiume le donne della comunità la lavano e ultimano il processo di purificazione vestendola con abiti nuovi.”

Arriviamo in piazza dell’indipendenza dove ci sono gli alberghi, i negozi, i chioschi del mercato e in fondo la stazione. Siamo alloggiati all’HOTEL TANA PLAZA. Ceniamo al ristorante L’AVENUE.

 

ANTANANARIVO- ANTSIRANANA (DUEGO SUAREZ), lunedì 3 agosto

 

Ripercorriamo col taxi le strade di Tanà per andare all’aeroporto con un altro tuffo nella sua affascinante atmosfera. Lungo le strade la gente brulica attiva. Davanti ad un chiosco di carne ci sono delle zampe di zebù mozzate, con la parte superiore del moncone ancora rossa di sangue, sembrano tanti stivali neri.

 

Per volare su ANTSIRANANA l’aereo fa scalo a NOSY BE.

Dall’aeroporto ARRACHART il tassista ci conduce a DIEGO SUAREZ (come viene comunemente chiamata Antsiranana). La camera dell’HOTEL PARADIS DU NORD, in Avenue Villaret Yoyeuse, è piccola, dotata di condizionatore e ventilatore da tavolo, doccia e lavandino. Nessuna camera ha il water in stanza, tranne la nostra che ha il water nascosto da una “discreta” tendina da doccia. Per le altre camere i servizi sono tutti fuori nel corridoio e sulle porte sono riportati gli stessi numeri delle camere. Come ci spiega il proprietario dell’albergo sono pertanto privati (a noi non è sembrato…).

L’albergo dà su una piazza molto grande dove nei giorni mercoledì e giovedì c’è un enorme e coloratissimo mercato. Sulla nostra guida c’è scritto che il proprietario è particolarmente attento a “soddisfare la clientela e a lasciare una buona impressione”: è vero ma ancor più vorrebbe esserlo il figlio che ha un’agenzia di escursioni, si proclama tour opérateur e martella con programmi, possibilità, giorni, il cat-cat… ma cos’è?! una 4×4! e termina ogni frase così ”et rappelez- vous… nous sommes tour opérateurs…”

 

Diego Suarez è molto semplice, all’apparenza pulita. Le strade sono disseminate di buche che sembrano crateri ed i taxi-ville o taxi-special, che sono tutte RENAULT 4 più o meno scassate, vanno su e giù per le strade giorno e notte. I tassisti sono onesti e conoscono a memoria la gincana per evitare le buche. C’è un viale principale lungo il quale ci sono i negozi, sui marciapiedi ci sono altri venditori che espongono la merce per terra; spesso ci sono delle donne che cucinano nelle tipiche pentole di alluminio, le “COCOTTES”. A Diego Suarez c’è un porto piuttosto grande. Oltre al cantiere navale Secren c’è una vasta salina nel cui cortile pascolano gli zebù. C’è anche un mercato permanente un po’ fatiscente dove la gente più povera vive e vende quello che ha.

Alcune donne hanno la faccia impiastricciata di roba gialla. È frutta, serve come protezione dal sole.

Il mercato ha la sua razionalità, diviso per settore merceologico. Quello della carne è molto interessante, lo zebù viene fatto in tanti pezzi, sono ben esposte le interiora, il cuore, il fegato, la pelle del muso ancora completa dei denti, la lingua. Il tutto è ovviamente cosparso di mosche. La verdura è esposta in maniera molto ordinata, quasi artistica. Vengono fatti tanti mucchietti, ogni mucchietto corrisponde ad una misura che viene presa con il barattolo vuoto del latte condensato della Nestlè.

 

Ceniamo al ristorante del Paradis du Nord perché non abbiamo neanche un franco malgascio per andare da un’altra parte. Naturalmente si materializza “nous sommes tour opérateurs…”

 

DIEGO SUAREZ, martedì 4 agosto

 

Giornata dedicata a Diego Suarez e all’organizzazione della visita al Parco della MONTAGNE D’AMBRE. Al WWF ci danno tutte le informazioni e i consigli per raggiungerlo. Prendiamo accordi con un tassista che domani ci porterà al Parco e tornerà a prenderci due giorni dopo.

Il Parco dista 40 km da Diego Suarez e noi abbiamo deciso di trascorrerci tre giorni.

Per pranzo andiamo dai cinesi, ci danno zuppa con granchio e zebù, omelette con cipolle e granchio, zebù con l’uovo.

Nel pomeriggio giriamo nel mercato povero, compriamo dei viveri per i prossimi tre giorni e facciamo qualche foto.

Verso sera, nella piazza grande, cominciano a prendere posto i banchi del mercato.

 

Cena spettacolare al RISTORANTE LE VENILLA, Rue Surcouf, con aragoste alla griglia e una bottiglia di LAZAN’NY BETSILEO GRIS! Spendiamo un’esagerazione di franchi malgasci, ma la cena li vale veramente tutti, dieci e lode!

 

MONTAGNE D’AMBRE, mercoledì 5 agosto

 

Rivò, il nostro tassista, viene a prenderci all’albergo lasciando la macchina sul viale principale perché essendoci il mercato non può entrare nella strada. Adesso il mercato è veramente uno spettacolo, quasi ci rammarichiamo di dover partire.

Ci fermiamo alla boulangerie per acquistare il pane e delle paste per far colazione, poi sostiamo nella piazza centrale dove c’è la Posta, perché Rivò deve fare il permesso presso gli uffici amministrativi per lasciare la città col taxi .

Alla periferia di Diego Suarez ci fermiamo in un posto dove fabbricano le “cocottes” d’alluminio per comprarne una. Ci servirà per cucinarci le zuppe liofilizzate che ci siamo portati dall’Italia.

 

All’entrata del Parco c’è un baracchino dove paghiamo la tariffa per restare tre giorni nel Parco e per accamparci con la tenda. Oggi non ci sono guide disponibili.

Vicino alla Petite Cascade c’è il CAMPEGGIO, ben attrezzato con barbecue, tavoli e panche riparati da tettoie. Piazziamo la tenda in quello che – capiremo dopo – è il posto più stronzo, cioè senza riparo e dove batte tutto il giorno il sole ma mai al mattino.

Nel campeggio ci sono altre tende e poco lontano c’è una casa in rovina, è del guardiano.

Essendo i percorsi indicati, andiamo subito a fare un giro prima che cali il sole (alle cinque).

Dapprima andiamo alla PETITE CASCADE che è vicina, poi prendiamo un sentiero nel bosco che sbuca sulla strada che va al PETIT LAC che ammiriamo dall’alto sprofondato in mezzo alla foresta pluviale. Se si prosegue la strada porta al LAC MAUDIT e alla vetta della MONTAGNE D’AMBRE.

 

Esistono sette specie di LEMURI nel Parco della Montagne d’Ambre, due diurni e cinque notturni. Durante la nostra prima passeggiata proviamo subito l’emozione della vista dei LEMURI DI SANFORD (Eulemur Sanfordi), quelli grigi con le basette bianche, gli occhi curiosissimi, che emettono un suono gutturale. Siamo affascinati dai salti che fanno da un albero all’altro.

 

Sta piovigginando e calando il sole per cui torniamo alla tenda, anche per preparare la cena finché ci si vede. Sul barbecue ci cuciniamo una zuppa con pasta e fagioli che, sarà la fame, ci sembra particolarmente buona e nella gavetta mescoliamo tonno e ceci. Da casa ci siamo portati anche l’olio d’oliva ma lo usiamo con parsimonia.

Si sta alzando il vento e fa freddo, inoltre continua a piovere perciò appena finito di mangiare ci ritiriamo in tenda. A dir tanto saranno le sette.

Pochi istanti dopo si scatena una vera bufera e il diluvio universale con un vento così forte che è un miracolo che non si porti via noi e la tenda! Non per nulla siamo in una foresta pluviale! Passiamo così la notte insonne all’insegna dell’umidità e del gran freddo perché i nostri sacchi a pelo sono leggeri.

 

MONTAGNE D’AMBRE, giovedì 6 agosto

 

Siamo distrutti dalla nottata. Per fortuna ieri, all’entrata del Parco, abbiamo acquistato delle uova d’anatra per una colazione fantastica.

La nostra guida è già arrivata e ci attende paziente.

La prima meta del nostro itinerario è la CASCADE TOURISTIQUE, molto bella, che è sacra, infatti ci si viene a pregare gli antenati.

Poi prendiamo il SENTIERO BOTANICO lungo il quale ci sono tantissime specie endemiche di piante. Ogni tanto ci sono delle targhe con la spiegazione del nome, origine ed eventuale utilizzo della pianta come medicinale. Ci colpisce molto il ficus strangolatore che si aggrappa al tronco di un altro albero e piano piano lo strozza fino ad ucciderlo. In Madagascar ci sono diverse specie di camaleonti, notturni e diurni, ma senza l’aiuto della guida è impossibile vederli tanto si mimetizzano. Uno di cui non ricordo il nome esiste solo nella Montagne D’Ambre. Prendiamo in mano un camaleonte che ha un cornettino blu sul naso, poi un altro più grosso ed è davvero incredibile come cambia il colore della pelle a seconda di dove si posa.

Lungo il sentiero botanico incontriamo i lemuri dello stesso tipo di ieri ma molto più numerosi.

La GRANDE CASCADE è molto bella e “leggendaria” visto che Richard, la guida, asserisce di averci visto le Vierges, metà donne e metà pesci. Che esistano davvero le sirene? Non ho pensato a chiedergli di che colore fosse, la metà donna…

 

Vediamo il LEMURE CORONATO (Eulemur Coronatus), sia maschio che femmina. I maschi attratti dalle banane si avvicinano sino a mangiarle dalle nostre mani e tanta è la loro ingordigia che neanche si accorgono che li stiamo accarezzando, hanno il pelo morbidissimo. Le loro manine sono palmate come quelle delle scimmie ma moto piccole. Il maschio ha le guancie arancioni con dorso e zampe marrone-arancio brizzolato, la femmina è grigia, entrambi hanno la corona scura sulla testa. Le femmine sono molto più timorose e neanche l’allettante banana è sufficiente a vincere la loro diffidenza e farle avvicinare.

 

Al termine della visita paghiamo Richard pregandolo di mandarci una guida per le 19.30 per fare una visita notturna. Gli diamo anche un extra perché la guida ci porti delle uova che ci serviranno per colazione domani.

Solita cena con zuppa, questa sera d’orzo e legumi, formaggini e pane (razionato). Ceniamo praticamente alle cinque del pomeriggio perché dopo non si vede più niente.

Per trascorrere la notte un po’ più riparati chiediamo al guardiano del campeggio di poter piazzare la tenda sotto la veranda della casa. Acconsente con gentilezza.

Vicino al campeggio c’è un’altra grossa casa, prefabbricata, ed una ventina di tende dove alloggia il personale dell’ANGAP (Association Nationale pour la Gestion des Aires Protégées) che sta facendo dei lavori alla Grande Cascade.

Uno di loro ha la chitarra e suona, gli altri cantano, un altro fa la batteria con delle bottiglie di birra. Alle sette e mezza, a bordo di un trattore, arriva puntuale Antonio con quattro uova.

Gli amici che lo hanno portato fin qui si uniscono al gruppo dell’Angap che nel frattempo ha sviluppato la festa con canti balli vino e birra.

La nostra visita notturna dura poco più di un’oretta lungo il Sentiero Botanico percorso mora mora,  piano piano, con le pile. A parte i camaleonti notturni e qualche ragno però non vediamo niente di trascendentale.

Con la casa al riparo dormiamo, comunque poco per il vento forte ed il freddo, ma senza timore di volare via.

 

MONTAGNE D’AMBRE, venerdì 7 agosto

 

Dedichiamo la mattinata al riposo e alla riorganizzazione degli zaini. Il nostro itinerario prevede per forza il rientro a Diego Suarez e dopo tre giorni di zuppe e scatolette ci alletta il pensiero di una nuova cena al LE VENILLA. Lasciamo delle magliette al guardiano della casa per la sua famiglia e prendiamo accordi con Blanc, un’altra guida del Parco, dandoci appuntamento per domani alle sei davanti alla Posta per andare alla Riserva dell’ANKARANA.

 

Alle tre arriva Rivò, puntuale. Considerando che ci vogliono un paio d’ore, non arriveremo prima delle cinque, le banche saranno già chiuse e domani è sabato, facciamo un rapido conto dei Fmg in nostro possesso realizzando di avere troppo poco, ma Rivò conosce chi può cambiarci i soldi. Arrivati a Diego Suarez ci porta a cambiare da un cinese poi andiamo al supermercato dove ci riforniamo di scatolame, biscotti e cioccolata.

Avendo cambiato i Franchi Francesi con un pacco esagerato di Franchi Malgasci (Fmg) ci sentiamo ricchi perciò decidiamo di alloggiare all’HOTEL VALIHA. La camera ha il parquet, un bagno completo in camera e l’aria condizionata.

La cena a LE VENILLA è memorabile, prendiamo di tutto: paté di pesce spada affumicato, cosce di rana, filetto di zebù da sogno, anatra all’arancia e una bella innaffiata di Gris che ad un certo punto ci scatena una ridarella irrefrenabile.

Dopo le notti turbolente sulla Montagne d’Ambre dormiamo epicamente.

 

ANIVORANO, ANKARANA, sabato 8 agosto

 

Blanc ci tira il pacco ma per noi è una fortuita coincidenza.

Alla Posta, durante l’attesa di Blanc, veniamo a conoscenza di una particolare cerimonia che ogni sabato si celebra al Lago Sacro ad ANIVORANO dove vengono sacrificati due zebù ai coccodrilli. Andiamo alla stazione di servizio di fronte all’Hotel ed assoldiamo un tassista che, oltre a portarci all’Ankarana, faccia una deviazione al Lago. La padrona dell’albergo si prodiga in raccomandazioni spiegando al tassista che Blanc ci ha fatto il bidone.

Il nuovo tassista è musulmano e ci chiede se può portare con sé il figlio più piccolo. Il taxi è di sua proprietà (quello di Rivò era in affitto) ed è veramente ben tenuto e lui è un autista prudente.

Passiamo come al solito dalla boulangerie e partiamo.

I 108 km di viaggio attraversano un paesaggio interessante.

 

Ad ANIVORANO bisogna pagare una tassa, anche per la macchina fotografica, alla Comunità Rurale per la visita al Lac Sacré ANTANAVO.

La cerimonia si svolge sulla riva del grande lago popolato da coccodrilli considerati la reincarnazione degli abitanti del villaggio scomparso perché inondato a causa del loro rifiuto di offrire ospitalità ad un viandante.

C’è un po’ di gente ma non tantissima, sono soprattutto locali, noi turisti saremo in tutto una decina.

La gente è seduta sulla riva del lago e canta battendo le mani. Gli anziani del villaggio sono seduti dentro ad una specie di recinto fatto con dei bastoni su cui sono appoggiati dei cappelli (nei laghi sacri è vietato pescare, indossare pantaloni e portare il cappello) ed ogni tanto armeggiano dentro alle loro sporte di paglia.

Gli zebù sono due, irrequieti, legati ad un albero.

Desto la curiosità di due ragazzette dandomi il burro di cacao sulle labbra.

La gente continua a cantilenare la nenia, ogni tanto le donne si alzano e ballano tenendo le braccia aperte. Uno degli anziani si alza in piedi e di fronte alla folla seduta recita delle preghiere invocando gli antenati e narrando i fatti. Quando finisce di parlare si allontana ed un altro celebrante prende il suo posto. Parla anche lui una decina di minuti e tutti ascoltano in silenzio. Nel frattempo uno zebù viene incaprettato ed ansima a terra con lo sguardo atterrito.

Gli anziani che dal recinto si sono spostati sotto l’albero, tirano fuori dalla sporta degli oli con cui cospargono il povero zebù e versano altre sostanze dentro a dei cocci che fumano.

Dalle loro sporte estraggono anche dei coltellacci che appoggiano sulla gola della bestia, poi un uomo più giovane prende un coltello mentre altri ragazzi girano la testa dell’animale facendo appoggiare le corna a terra in modo che la gola sia esposta verso l’alto.

Con fare esperto l’uomo taglia di netto la gola dello zebù, uno degli anziani raccoglie in un piatto il primo sangue che sgorga e va a gettarlo nel lago per attirare i coccodrilli.

La testa della bestia è praticamente staccata ma il corpo si dibatte ancora convulsamente.

Un po’ alla volta la fanno completamente a pezzi, pezzi che vengono lanciati sulla riva del lago.

Lentamente i coccodrilli escono dal lago per afferrare i pezzi di carne.

Viene macellato anche il secondo zebù.

Quando i coccodrilli terminano la gradita offerta la folla si disperde.

Dopo aver lasciato Anivorano pranziamo in un Hotely, ristorantino locale.

 

Il Bureau dell’ANGAP all’entrata della Riserva dell’ANKARANA è tale e quale a quello della Montagne d’Ambre, un baracchino dove il tipo fa pagare la quota giornaliera a testa, niente per la tenda. Acquistiamo del carbone e lasciamo detto che per domani abbiamo bisogno di una guida.

Il tassista ci porta gentilmente fino alla piazzola del CAMPEGGIO che dista 3 km dall’ingresso della Riserva.

Il campeggio è dotato di barbecue e tavolo, c’è un solo bagno rustico senza scarico ed una doccia in costruzione, senz’acqua. Siamo dentro una foresta tropicale, un intrico di piante e di liane, la luce non filtra più di tanto, il terreno è secco.

Nel complesso il posto è delizioso e siamo felici di esserci solo noi.

Generalmente infatti i turisti scelgono l’altro campeggio, più centrale e con l’acqua, denominato CAMPEMENT DES ANGLAIS, distante 9 km dall’ingresso e raggiungibile solo a piedi.

Sul barbecue dove abbiamo appoggiato le nostre cose, dopo pochi istanti arrivano due MANGUSTE DALLA CODA CERCHIATA (Galida Elegans) e dei lemuri.

Montiamo la tenda e accendiamo gli zampironi perché ci sono le zanzare.

Anche se è già buio ci tratteniamo fuori a scrivere appunti al lume di una candela. Si sta veramente bene, la temperatura è gradevole, il silenzio è totale e rilassante.

La notte è ristoratrice, interrotta ad un certo punto dalle urla di un gruppo di lemuri che si avvicinano alla tenda, forse gli AYE-AYE (Dau Betonia Madagascariensis)? Ci fa troppa fatica alzarci per andare a vedere, rimandiamo a domani notte, tanto torneranno. Ndr: i lemuri non tornarono e la curiosità ci rimarrà per sempre.

 

ANKARANA, domenica 9 agosto

 

Alle 7.30 arriva René, la nostra guida. E’ un uomo a cui è difficile dare un’età, forse 40 anni, mezzo sdentato, piccolo, magro, indossa sandali da scoglio di plastica trasparente.

Non siamo ancora pronti, dovendo farlo attendere lo invitiamo a fare colazione con noi.

Dunque, lui ha i sandali di plastica, i calzoni corti e una maglietta, noi indossiamo scarponi da trekking, pantaloni lunghi, maglietta, camicia e gilet, in più abbiamo gli zaini, piccoli ma pesanti per via del materiale fotografico, del cibo e delle borracce. A René diamo una bottiglia della mitica Eau Vive.

Abbiamo deciso di fare il percorso più lungo e faticoso, ben 28 km.

René è svelto a camminare, noi zavorrati come siamo e non allenati, un po’ meno.

Prendiamo il sentiero che conduce al LAC VERT. Lungo il percorso vediamo un serpente, uccelli di varie specie ed il LEPILEMURE MUSTELINO (Lepilemur Mustelinus) che essendo un lemure notturno ci guarda rincoglionito dall’alto del suo albero con due occhi grandi così.

René osserva silenzioso, parla solo quando vuole segnalarci qualcosa. Il sentiero è in piano, dopo un bel po’ di strada il paesaggio cambia, il sentiero è disseminato di sassi, ogni tanto ci sono gli TSINGY. Poiché la vegetazione è diradata ed essendo partiti tardi fa un bel caldo. Incontriamo una coppia che con la propria guida sta facendo ritorno, René puntualizza che sono partiti alle sei.

Dopo un altro bel pezzo di strada scendiamo verso un fiumiciattolo d’acqua stagnante dove un gruppo di francesi sta allegramente facendo il bagno. L’idea è terribilmente invitante ma consci dei rischi di cui loro sembrano noncuranti andiamo avanti cominciando ad accusare intanto un po’ di stanchezza.

La meta offre un paesaggio molto bello, con un grande lago verde in mezzo agli tsingy, aguzzi pinnacoli rocciosi calcarei, altissimi e strapiombanti.

Fa un caldo terrificante ed il punto di osservazione è ovviamente esposto al sole.

Ci spingiamo un po’ più in là. Anche se gli scarponi sono caldi e pesanti siamo contenti di averli ai piedi, una caduta su questi tsingy e ti sfracelli.

Purtroppo il percorso non è ad anello per cui siamo costretti a ripercorrere esattamente la stessa strada che sembra non finire mai..

Dai GRANDI TSINGY torniamo al ruscello abbastanza velocemente e qui sostiamo per mangiare il solito tonno e fagioli. A René ne diamo una porzione esagerata e quello che non mangia lo serba da portare a casa. Fin qui tutto bene. Poi inizia l’epopea.. quando ad un certo punto riconosciamo il grosso fico strangolatore sotto al quale ci siamo fatti la foto all’andata, pensando di essere molto più avanti, Cristiano si sente morire! Io all’andata stavo attenta a dove mettevo i piedi, specialmente nei tratti sassosi, ora vado avanti per forza d’inerzia senza neanche guardare. Per distrarmi canto nella mente canzoni di Battisti: un’intera raccolta! Neanche i lemuri che ogni tanto incrociamo riescono a darci la carica. Il problema non è quello dei km, bensì quello dell’acqua che abbiamo finito. Al bivio per il Campément des Anglais voglio morire io! Perché da qui alla tenda e all’acqua mancano ancora 6 km. Sono infatti interminabili. Arriviamo alla tenda stremati. Comunque, con le adeguate scorte d’acqua, lo spettacolo degli tsingy merita la lunga passeggiata.

 

ANKARANA, lunedì 10 agosto

 

Questa mattina ci facciamo trovare pronti alle otto. René ci ha detto che il circuito, ad anello, si fa solitamente in due ore e mezza. Dopo mezz’ora circa arriviamo alla Grotta della CHAUVE SOURIS. Accendiamo le pile e ci addentriamo nella grotta dove centinaia di pipistrelli fanno un rumore assordante. Cristiano si addentra anche più in profondità con René, io resto a sudare dove sono.

Torniamo indietro e raggiungiamo un’altra entrata delle grotte. Ci sono delle scalette molto ripide che portano ad un ingresso immenso e spettacolare. Ci arrampichiamo su dei grossi massi ed entriamo nella prima grotta che è enorme. René spiega come si formano le stalattiti e le stalagmiti. Mi viene da sorridere, forse pensa che non ne abbiamo mai viste, ma rispettosamente lo ascolto con attenzione. Le grotte che si succedono variano di dimensione e sono sempre più belle.

Dentro fa un caldo allucinante, grondiamo di sudore. Ogni tanto alle pareti ci sono dei ragnacci, perciò stiamo attenti a dove ci appoggiamo con le mani. Non abbiamo idea di quanti metri sia il percorso dentro le grotte. Esaltati e pieni di polvere torniamo verso l’imbocco della grotta da dove la vista della foresta è un’immagine meravigliosa.

Mi dispiace proprio lasciare le grotte.

 

Riprendiamo il nostro cammino per andare alla PERTE D’EAU.

Praticamente ad un certo punto del letto del fiume, che ora è in secca, c’è un’ampia voragine, profonda parecchi metri dove l’acqua entra per fuoriuscire direttamente nel Canale di Mozambico scorrendo sotterranea.

Alla Perte d’Eau sostiamo una decina di minuti per riposarci e mangiare due biscotti, poi proseguiamo per raggiungere il Point de Vue dei PICCOLI TSINGY.

Tornati alla tenda paghiamo René e gli regaliamo alcuni vestiti e scatolette, a lui piace il cibo “vasaha”! E’ davvero contento di tutto quello che gli diamo e noi anche. Gli consegniamo la nettezza che abbiamo diligentemente raccolto da portar via e lo incarichiamo di trovarci un taxi spécial che ci venga a prendere al campo nel pomeriggio per andare ad Antsahampano.

 

Nel pomeriggio torna con José, un tipo massiccio discendente della tribù Antahkarana, a dorso di una fiammante berlina Peugeot.

Noi dobbiamo ancora smontare la tenda, ci danno una mano. Regaliamo a René il pranzo avanzato ed il telo di nylon che abbiamo messo sotto la tenda. E’ sempre più contento.

Ci dispiace lasciare l’Ankàrana, siamo stati veramente bene.

Il viaggio verso Antsahampano è da veri signori: auto di lusso (in realtà è un mezzo rottame, ma viaggia, anche se la spia dell’olio è perennemente accesa) c’è anche l’impianto stereo.

La macchina è dotata di un clacson con diverse suonerie, la più utilizzata è quella tipo stadio. José è un autista alla moda (ha i Ray Ban a goccia a specchio!) ma non ha esattamente una guida sicura, va come un pazzo strombazzando a qualsiasi cosa incontra, persone, animali, auto, bici. Se si scansano bene altrimenti lui tira a diritto. E’ con questo modo di guidare che stendiamo il pollo! Ci scappa troppo da ridere ma per paura che si stranisca ci tratteniamo quasi soffocandoci.

 

Ad AMBANJA dove ci sono praticamente quattro capanne, così pure ad AMBILOBE’.

Ad ANTSAHAMPANO invece ce ne sono sei.

Lungo le strade uomini che indossano il tipico copricapo malgascio di paglia trasportano il pesce appena pescato legato a dei bastoni o dentro alle ceste.

José ci conduce fino al porto, terribilmente desolato, da dove partono le imbarcazioni per Nosy Be.

Sulla guida abbiamo letto che non lontano da qui c’è un posticino incantevole ideale per rilassarsi perciò spieghiamo a José che è lì che vogliamo andare. Ci mettiamo d’accordo contrattando perché dista ulteriori 30 km e la strada è brutta, dice.

La strada costeggia delle distese di mangrovie ed è veramente brutta. Incrociamo una macchina, José chiede indicazioni, sentiamo nominare un baobab. Il baobab infatti è un punto di riferimento, si trova all’imbocco della strada che dopo pochi km arriva ad ANKIFY MARINA.

 

C’è una casa, sulla scalinata sono sedute una donna e due ragazzette, chiediamo se hanno posto per una o due notti, se c’è la doccia e quanto costa. Alla domanda sull’esistenza della doccia una delle ragazze scoppia a ridere. Scopriremo in seguito che Janine, la ragazza, ride tutte le volte che diciamo qualcosa.

Cristiano segue una delle ragazze per andare a vedere i bungalow disponibili: torna estasiato!

Dice che ci sono due possibilità, sempre con due stanze comunicanti, ma tanto oltre a noi non c’è nessuno. Una ha il bagno in camera in comune con l’altra stanza ed è normale; l’altra non ha il bagno ma secondo lui è spettacolare!

La prima in effetti non è niente di che: una stanza sobria, con un letto e a lato la stanza del bagno. E’ situata vicino al ristorante. L’altra è giù in fondo al vialetto, direttamente sul mare, al piano superiore, ha il pavimento di legno, il letto con la zanzariera e la porta è una tenda brodée di cotone: un sogno! Il bagno è al piano inferiore in comune con i padroni di casa che ci salutano cordialmente. Sistemiamo i nostri zaini nella stanza a sinistra dove c’è anche il tavolo, ed una lampada che funziona per qualche ora la sera con il generatore. E’ anche attraversata da un filo, perfetto per stenderci la nostra roba.

 

ANKIFY MARINA, a 4 km dall’approdo dei traghetti, gestito da Greg e Nicole Dugnet, sulla guida è descritto “posto magnifico per trascorrere alcuni giorni di relax, con gradevoli bungalow, una buona spiaggia e dei pasti eccellenti, considerati da qualcuno i migliori di tutto il Madagascar.

Ndr: io tutto il Madagascar non l’ho visto ma la descrizione è vera al 100%. Questo è uno dei posti dove ho lasciato il cuore.

L’atmosfera che vi regna è tranquilla, familiare. Qui ognuno si fa gli affari propri senza disturbare gli altri. Davanti al Ristorante c’è un’imbarcazione naufragata e corrosa dal mare. Di fianco alle scalette c’è l’albero di una barca murato con i tiranti tesi, forse di quella naufragata.

Siamo stanchi e polverosi perciò ci precipitiamo in mare per un bagno.

E’ il nostro primo bagno e in questo mare ci sembra di essere nel film Laguna Blu.

Farsi la doccia in questa stagione, in cui l’acqua della cisterna è bassa e la pompa non ce la fa, significa utilizzare un bricco e versarsi addosso l’acqua contenuta in un grosso bidone. Ci sembra un sistema consono alla situazione e l’acqua fresca è molto piacevole.

Bisogna usare il secchio anche per lo scarico del water.

Le zanzare abbondano, soprattutto nel bagno.

In cima alle scale che portano alla nostra stanza c’è un salottino con tre grandi poltrone di bambù  e un divano, una libreria e un tavolino. E poi sulla destra… spettacolo! c’è una bellissima amaca!

Una ragazza ci porta uno zampirone e una candela, poi arriva Janine a chiederci cosa desideriamo mangiare: roast beef di zebù oppure ostriche e calamari con legumi saltati. Scegliamo il pesce, con l’acquolina già in bocca.

Sembra che in questo luogo il tempo si sia fermato. Ci sentiamo molto rilassati.

L’oscurità avvolge presto tutto. Si sente solo il rumore del mare.

Poiché le zanzare sono particolarmente insistenti per andare a cena preferisco mettere i jeans, dovrei salvarmi un minimo.. sopra metto la mia camicia preferita di cotone leggero, verdolina, a maniche lunghe.

Ceniamo bevendo Gris, perché ci sta troppo bene con le ostriche gratinate, piccole e gustosissime. Son talmente buone che ne mangeremmo un pancale. Sono buonissimi anche i calamari con le verdure saltate (carote, fagioloni, erba cipollina). Per dessert ci propongono una crepe con miele selvatico. Siamo in Paradiso!

Ci ritiriamo contenti nei “nostri appartamenti” per rilassarci sotto la veranda. Verso le nove si spenge il generatore della corrente. Proviamo a dormire ma, sarà l’eccitazione generata da questo posto, non ci riusciamo. Fuori la marea è bassa. L’acqua, ritiratasi di centinaia di metri, ha lasciato la barca naufragata completamente emersa, appoggiata su un fianco. C’è una magnifica luna. Decidiamo di scendere a fare una passeggiata sulla spiaggia. Il grosso cane marrone del padrone ci scorta. Sono le due di notte e siamo dentro un incantesimo..

 

ANKIFY MARINA, martedì 11 agosto

 

Al nostro risveglio lo spettacolo della baia è mozzafiato. Con l’alta marea l’intero complesso sembra adagiato ai bordi di un’incantevole piscina. Facciamo colazione: baguette abbrustolita, burro, miele, marmellata, tè, caffè e l’immancabile latte condensato.

Non avendo la forza di fare niente ci rilassiamo aspettando l’ora di pranzo e nuove leccornie. Trascorriamo l’intera giornata nulla facendo.

 

ANKIFY MARINA, mercoledì 12 agosto

 

Questa famiglia possiede tre barche dalle diverse dimensioni e la più grande, di 14 metri, salperà per le isole Nosy Be e Mitsio domani per una crociera di 10 giorni con dei clienti.

Cristiano gli aveva già messo gli occhi addosso immaginandosi impegnato nella pesca alla traina di enormi pesci. Ci accontentiamo della barca piccola, ma torniamo comunque soddisfatti con un bel barracuda e dei carangues che portiamo subito a Madame Nicole perché ce li prepari per pranzo poi ripartiamo per NOSY TANIKELY, dalle acque limpidissime e un bellissimo fondale ricco di pesci colorati.

Qui siamo proprio fuori dal mondo e abbiamo perso la cognizione del tempo. Meno si fa e meno si farebbe ed in questo siamo dei veri campioni. Fra l’altro col fatto che alle sei del pomeriggio è già buio e che alle nove tolgono la corrente andiamo a letto presto e siamo sfasati.

 

ANKIFY MARINA, giovedì 13 agosto

 

Questa mattina andiamo a fare un giro a piedi fino all’imbarco di Ankify. Sulla strada ci sono le solite capanne. Sulla piazza del porto ci sono i negozi, delle baracche dove si vende un po’ di tutto comprese delle buonissime banane fritte nella pastella.

Al ritorno prendiamo finalmente il taxi brousse, uno di lusso però, un bel pulmino. Il conducente è simpatico e i passeggeri anche. Anche nel posto più remoto ai malgasci piace fare sfoggio di una o due parole nella tua lingua.

Ceniamo al tavolo della famiglia Dugnet.

Dudu, il capofamiglia, che avrà sui 65 anni, è originario di St. Malò, in Bretagna; la moglie, Nicole, è molto più giovane, è malese e molto bella. Come e dove si siano conosciuti non si sa.

Lui ha girato mezzo mondo: Vietnam, Laos, Cambogia, Algeria, Marocco, Mauritania come militare, ma non nella legione straniera, tiene a precisare. Da 38 anni vive in Madagascar ed è in contatto con gli amici per mezzo di un baracchino da cui trasmette e riceve tutte le sere da tutto il mondo. Questa sera la cena, divina come sempre, è particolarmente abbondante.

 

ANKIFY MARINA, venerdì 14 agosto

 

Facciamo il bagno prima di colazione. C’è un pesce scorpione sotto al relitto.

Dopo colazione andiamo a fare due passi nella direzione opposta ad Ankify dove c’è un paese con una Maison Royale! Ce ne stiamo un po’ sulla spiaggia su cui si affaccia il villaggio  ed osserviamo un gruppo di ragazzi che caricano dei mattoni su una barca. Uno di loro è poliomielitico.

Siamo un po’ tristi perché domani lasceremo Ankify, dove ci siamo sentiti così a nostro agio che neanche ci siamo preoccupati di chiedere il costo dei pasti.

Tornati “Chez Dudu” chiediamo a Nicole un parziale delle spese.

 

ANKIFY MARINA- NOSY BE, sabato 15 agosto

 

Ultimo giorno ad Ankify.

La “vedette” verrà a prenderci sotto casa all’ora che vogliamo. Decidiamo di partire nel primo pomeriggio per goderci ancora una mezza giornata qui ed ultimo pranzo di Nicole!

Nel villaggio dove c’è il Palazzo del Re la baia è davvero splendida e la sabbia è finissima.

Dopo un lunghissimo bagno facciamo ritorno in piroga.

La vedetta si presenta con qualche minuto d’anticipo proprio davanti al ristorante. Carichiamo gli zaini, salutiamo e partiamo verso nuove avventure! Sulla vedetta ci sono dieci clienti e i due ragazzi al timone. Fino a NOSY KOMBA procede tutto tranquillo, la gente seduta composta, il mare calmo, l’andatura moderata. Poi cominciamo ad andare a tutta velocità. Alcuni passeggeri cominciano ad essere schizzati dall’acqua fino a prendersi delle vere e proprie secchiate d’acqua. In particolare c’è un uomo vestito di tutto punto, con giacca e cravatta, forse in viaggio per affari che, poveraccio, è completamente mezzo. A noi scappa da ridere anche se, guardando il ragazzino pilota che digrigna i denti urlando nello sforzo di reggere la barca, nutriamo qualche dubbio di riuscire a raggiungere Nosy Be sani e salvi.

 

Arrivati al porto di HELL VILLE prendiamo un taxi e percorriamo una decina di km fino ad AMBATOLOAKA, la spiaggia dove si trova il nostro albergo, l’Hotel Restaurant L’ESPADON.

Dopo cinque giorni trascorsi in una sorta di paradiso terrestre quando vedo Ambatoloaka ho uno shock. Vorrei andar via. Vorrei tornare ad Ankify. Vorrei infischiarmene delle notti già pagate per un’intera settimana. E’ tutto talmente turistico, i locali, la gente, l’atmosfera, tutto. Mi manca il senso di libertà, di natura. Mi prende la depressione istantanea.

Cristiano cerca di tirarmi su. Faccio buon viso a cattivo gioco ma non mi sento molto convincente. Allora Cristiano comincia ad elencarmi tutte le cose che possiamo fare e vedere sull’isola. Mi rincuora un pò, non dovremo stare sempre su questa spiaggia. Con questa prospettiva mi sento un pochino meglio.

Dopo aver fatto colazione andiamo a noleggiare uno motorino per poter essere indipendenti nell’esplorazione dell’isola.

Cominciamo dirigendoci verso la spiaggia di ANDILANA, situata all’estremità nord-occidentale, che la guida descrive come assai poco frequentata perché lontana.

La strada è disseminata di buche perciò dobbiamo stare attenti. Ad ogni deviazione svoltiamo per vedere che spiaggia c’è  più in fondo, ma sono tutte più o meno come quella dell’albergo. Proseguiamo verso Andilana attraversando vaste piantagioni di canne da zucchero il cui profumo pervade tutta l’isola. Ogni tanto incrociamo i trattori che trasportano le canne alla raffineria di DJAMANDJARY dove vengono prodotti zucchero di canna e rum.

Lungo la strada ci sono le tipiche abitazioni fatte con le canne. La gente saluta cordiale e sorridente. I bambini ci urlano SALUT VASAHA!

Arriviamo alla spiaggia. Con nostra grande gioia ANDILANA corrisponde alle aspettative ed è praticamente deserta.

Ndr : dal 1998 ad oggi le cose sono cambiate: su questa spiaggia ora sorge un hotel.

Credo pertanto che la spiaggia non sia più deserta e che quanto leggerete sia storia.

 

Dopo un lungo bagno nel mare pranziamo CHEZ ERNEST “le roi del la langouste” che quando siamo arrivati vicino alla spiaggia ci ha bloccato per farci fissare il pranzo da lui, e noi non ci siamo fatti pregare troppo. Le aragostine sono gustose.

Da Chez Ernest facciamo la conoscenza di Ignazio e Michela, una coppia in viaggio di nozze, lui fiorentino, lei bolognese. Dato che anche loro sono motorizzati, dopo pranzo decidiamo di proseguire insieme e raggiungere il MONT PASSOT (329 mt) ovvero il punto più alto di Nosy Be.

La strada per il Mont Passot è sterrata è in salita e siccome il nostro motorino è un 50 di cilindrata a salire in due non ce la fa ogni tanto devo scendere e fare i tratti più ripidi a piedi.

Dal Mont Passot si gode uno splendido panorama.

Delle ragazzette vendono stecche di vaniglia e le tipiche splendide tovaglie brodée ricamate a mano.

Sulla strada di rientro, attraversando le piantagioni di canna da zucchero, respiriamo l’aria pervasa dal profumo di caramello.

Ceniamo con Michela ed Ignazio al Résidence di Ambatoloaka.

 

NOSY BE, lunedì 17 agosto

 

Dopo aver fatto colazione nella nostra camera dalla forma circolare scendiamo a Hell Ville perché dobbiamo cambiare un po’ di soldi. Ne approfittiamo per fare benzina e mangiare delle squisite ciambelline fritte che compriamo da una bambina. Lungo una viale c’è un giardino che ospita il mercato di tende e tovaglie brode stese su dei fili. Prendo una coppia di tende rappresentanti mare, palme e piroghe e una più lunga con i pesci per il bagno.

Poi decidiamo di andare alla RISERVA DI LOKOBE’.

Se ci riusciamo! Più volte ci vengono date indicazioni contrastanti. Alla fine un tassista ci da la dritta giusta. Dopo pochi metri il motorino comincia ad andare sotto sforzo, scendo per paura di fonderlo ed è così che mi brucio il polpaccio con la marmitta!

Anche Cristiano impreca, sul motorino, perché qualcosa non va, cioè non va proprio il motorino!

Fa dietro-front per vedere se in discesa si riprende ma senza successo. Allora si ferma per esaminarlo meglio e scopre che la pipetta della candela è mezza rotta. Meglio del Mago Silvan tiro fuori dal marsupio un nastro isolante! Il motorino riprende vita, ma sempre con un solo passeggero, io lo seguo a piedi. Fatto qualche metro un tassista si ferma e mi invita a salire. Lì per lì mostro reticenza, ignara della distanza ancora da percorrere e soprattutto osservando che il taxi è strapieno.

Ma il tassista, che sa quanta strada c’è ancora da fare, insiste e precisa che il passaggio è offerto gratis. Salgo sul Renault 4 dove, nota ben, ci sono già otto persone! Sul sedile anteriore siamo in quattro e dietro siedono cinque persone. La situazione è talmente incredibile che mi viene spesso da ridere. Ovviamente sono l’unica bianca. Per la cronaca: non ce l’avremmo mai fatta da soli a raggiungere la meta.

La riserva di Lokobé si raggiunge solo con 35 minuti di piroga. La nostra guida si chiama Jeremie, un ragazzetto di circa 16 anni. Si fa aiutare da un compagno a pagaiare fino alla riserva.

Arrivati là ci infiliamo un paio pantaloni lunghi, che ci vengono dati in prestito, per non essere massacrati dalle zanzare, ma prima di iniziare chiedo al Capo Villaggio se ha un rimedio per le bruciature mostrandogli la gamba. L’échappement! esclama lui. Eh già, proprio il tubo di scappamento, un classico vero? Precisa che il rimedio ce l’ha, ma malgascio! Io sono ben contenta di sperimentare il rimedio locale, anzi sono proprio fiduciosa.

Praticamente viene grattata una radice di gingembre (zenzero) su una pietra bagnata con l’acqua.

La pappetta che ne sorte fuori va applicata sulla bruciatura. Affinché ci resti applico sopra un cerotto.

Partiamo per la passeggiata nella foresta e siccome oggi non avevamo previsto questa escursione io ho ai piedi i sandalini da scoglio: mi sto adeguando ai loro costumi!

Il giro dura circa mezz’ora, durante vediamo il lemure macaco, sia maschio che femmina, ed il Boa Constrictor.

Tornati al villaggio vado a ringraziare il Capo perché il dolore della bruciatura è svanito.

Ci hanno preparato da mangiare: riso, frittata con pomodori, pesce, zebù, banane.

Paghiamo la tassa di soggiorno al Capo Villaggio e facciamo ritorno con la piroga imbarcando acqua in continuazione. Lungo la costa ci sono le mangrovie.

Per tornare sulla strada asfaltata un gruppo di francesi mi da un passaggio sul loro pulmino.

Tornati ad Ambatoloaka andiamo a fissare l’escursione per NOSY IRANJA (viaggio a/r in barca e un pranzo).

Ceniamo con Ignazio e Michela al Dauphin Blanc.

 

NOSY BE, martedì 18 agosto

 

Trascorriamo una giornata spettacolare sulla spiaggia di Andilana.

Jerome, il figlio di Ernesto, ci porta con la piroga a fare un giro sul reef dell’isolotto che sta di fronte, veramente bello. Tornati sulla spiaggia baratto la mia maschera e boccaglio con una noce di cocco. Sembra di stare in un sogno: il mare è uno spettacolo, la spiaggia pure, Jerome ci spacca la noce di cocco e, dopo che abbiamo bevuto il succo dissetante, ci da un cucchiaio perché ne possiamo mangiare la tenera polpa, il sole splende e siamo felici.

A pranzo vogliamo provare CHEZ LOUISETTE, consigliataci da Ignazio e Michela.

Neanche a farlo apposta mentre ci stiamo rosolando al sole  arriva Albert a chiederci se desideriamo mangiare da Louisette. E’ un tassista e procacciatore di clienti. La situazione è superlativa perché ci chiede cosa vogliamo mangiare, poi va al ristorante a sentire, poi torna e ci prende l’ordinazione dicendoci che verrà a chiamarci quando è pronto. Cosa vuoi di più dalla vita??

Chez Louisette è un ristorantino di bambù molto carino. Affittano anche le camere.

Pranziamo divinamente con aragosta e granchio accompagnando i deliziosi crostacei con del Gris (e nella foto si vede…).

Tra un granchio e l’altro si son fatte già le tre e noi dobbiamo scappare perché alle 15.30 abbiamo fissato la visita alla raffineria di Djamandjary. Lungo la strada però facciamo una sosta. Un paio di bimbi che sono sul ciglio della strada colpiscono la nostra attenzione. Il più piccolo indossa il bordo collo di una t-shirt, sì solo il bordo, la maglia non c’è più. Gli regaliamo una maglia intera, rossa ed enorme, quasi gli fa da tunica perché gli arriva fino ai piedi. L’altro ci guarda come dire “e io?” … come si fa a non dargli qualcosa.. mi tolgo la camicia, la mia già citata camicia preferita, quella che ha viaggiato più volte con me. E sono felice di separarmene.

 

Situata sulla costa occidentale di Nosy Be la raffineria di canna da zucchero di DJAMADJARY è stata costruita nel 1923. Avvicinandovisi l’aria è sempre più impregnata di odor di caramello. Sull’isola esiste ancora la linea ferroviaria, un tempo utilizzata  per il trasporto delle canne.

La visita è guidata e per entrare bisogna pagare. Il timido ragazzetto che ci accompagna anziché parlare bisbiglia, come tutti i malgasci del resto, perciò sentiamo ben poco della spiegazione perché la voce è sovrastata dal rumore dei macchinari.

Visitando la fabbrica sembra di fare un tuffo nel passato, nulla è cambiato. Le nostre scarpe si appiccicano sul corridoio metallico che attraversa la fabbrica. L’odore dolciastro è quasi nauseante.

La maggior parte dei macchinari funziona ancora a vapore. Enormi ruote dentate, azionate da un titanico pistone, muovono cinghie scorrevoli che trascinano le canne da zucchero accompagnandole nelle varie fasi della lavorazione. Niente viene sprecato, anche i residui finali vengono utilizzati, come concime.

Assaggiamo lo zucchero appena prodotto, ancora caldo. Nella distilleria viene fatto il rum con la melassa che viene mescolata al lievito dentro enormi recipienti cilindrici dove fermenta sviluppando calore. Accostando la mano al recipiente si può sentire.

All’uscita dello stabilimento acquistiamo una tanica e quattro litri di rum invecchiato!

 

Ceniamo per l’ultima volta con Ignazio e Michela CHEZ ANGELINE.

Riportiamo lo motorino al noleggiatore ma è chiuso. Glielo lasciamo ugualmente e informiamo la signorina dell’albergo affinché domani gli riconsegni le chiavi.

 

NOSY IRANJA, mercoledì 19 agosto

 

L’appuntamento con il Daniel Staff è al porto di HELL VILLE alle 8.30.

Abbiamo uno zaino grosso con la tenda, i materassini, i sacchi a pelo, la pentola, le zuppe, le baguettes fresche, i formaggini e sei litri d’acqua: noi resteremo sull’isola e torneremo indietro col gruppo dell’escursione di domani.

Al porto c’è un mucchio di gente che parte per escursioni a Nosy Komba, Nosy Tanikely e Isole Mitsio. Da un grosso battello sbarca una mandria di zebù. Nell’attesa compriamo delle ciambelle farcite di banana e i sambos, dei triangoli fritti farciti con carne, erba cipollina e spezie.

Per raggiungere NOSY IRANJA ci vuole un’ora e mezza di barca per cui siamo ansiosi di partire. Alle 9.30 finalmente salpiamo. Oltre a noi sulla barca c’è un gruppo di francesi, il timoniere e la cuoca per il pranzo incluso nell’escursione.

Avvistiamo un Espadon che fa un salto e Cristiano conferma il desiderio di un’uscita per pescare.

 

NOSY IRANJA è composta da due isole, una delle due è disabitata e ci si può campeggiare.

Ndr : non so se si può ancora campeggiare, sull’allora isola  deserta ora c’è un Resort!

Le due isole sono congiunte da una striscia di sabbia lunga due km che può essere percorsa a piedi con la bassa marea. L’acqua ha un colore strepitoso, cangia dal verde al blu ed è trasparente.

La sabbia è bianchissima e finissima, sembra borotalco.

Ndr: la sabbia di Nosy Iranja per me è la più fine del mondo!

Montiamo subito la tenda sotto le palme con vista mare.

Siamo in un nuovo paradiso e siamo “costretti” a restarci due giorni!

Dopo il primo fantastico bagno pranziamo seduti sulla sabbia di fronte alla “tavola” imbandita dallo staff:  crudités, gamberetti in salsa, brochettes di zebù, pesce e gamberi, riso al cocco, gamberetti. Tutto buonissimo.

Alle 15.30 il gruppo di francesi riparte con la barca per tornare a Nosy Be.

Trascorriamo il pomeriggio facendo un bagno dopo l’altro.

Siccome c’è alta marea dovremo attendere domani per andare sull’altra isola.

Al tramonto Cristiano sceglie di fare il fuoco sopra le ceneri dove ha fatto il barbecue il Daniel staff per cucinare la zuppa nella nostra cocotte. Si avvicina al punto esatto non pensando che sotto la sabbia i carboni possano essere ancora accesi! Improvvisamente lo vedo correre in mare ululante: la sua prima esperienza di fachiro.

Passato il momento “da urlo” e dopo le necessarie cure mediche, prepara la zuppa mentre io imbandisco la “tavola” spianando la sabbia.

Il cielo è stellato, siamo su un’isola disabitata (quasi, più in là ci sono altri campeggiatori), ceniamo seduti sulla sabbia e a lume di candela. Non è un sogno, lo stiamo vivendo davvero!

Dopo cena purtroppo il cielo si annuvola, addormentarci guardando le stelle sarebbe stato il massimo.

 

NOSY IRANJA, giovedì 20 agosto

 

Buongiorno! ma dove siamo??! Aprendo la tenda il mare è strepitoso di fronte a noi.

Sono le 7.30, ci spariamo subito un bagno “davanti a casa” poi facciamo colazione.

C’è la bassa marea per cui possiamo andare sull’altra isola.

La sabbia è di un bianco accecante, l’acqua è bassa e trasparente.

Percorriamo i due km che separano le due isole mettendoci un po’ perché la bellezza dell’acqua è irresistibile e sono molte le deviazioni per i bagni lungo la via.

Sull’altra isola vivono dei pescatori che stanno stendendo il pesce ad essiccare. Le donne stanno pestando il riso con un mortaio e poi lo setacciano. I bambini sono bellissimi. Ci sediamo accanto alle donne e ai bambini. Un ragazzo si avvicina con delle maschere intagliate nel legno e delle conchiglie. Mi piacerebbe una maschera ma non ci siamo portati soldi. Nessun problema, il ragazzo mi fa scegliere la maschera e poi verrà a prendere i soldi alla tenda.

Quando torniamo all’altra isola vediamo che è già arrivata la barca del Daniel staff, la cuoca sta preparando il pranzo per il gruppo del giorno.

A malincuore smontiamo la tenda e diamo un ultimo sguardo a questo luogo incantevole, poi facciamo ritorno a Nosy Be con un mare leggermente agitato.

Ad Ambatoloaka ci accertiamo che al noleggiatore dei motorini siano state riconsegnate le chiavi e lo paghiamo. Un certo Michel organizza giornate di pesca alla traina, fissiamo per l’intera giornata di domani. Ceniamo da Louisette, tanto per cambiare a base di aragosta!

Ndr : c’è da dire che il Madagascar è il posto dove ho mangiato le aragoste migliori in assoluto, soprattutto perché sanno cucinare.

Oltre al consueto Gris la mazzata finale ci viene data dal digestivo, un miscuglio di rum e miele mondiale ma letale. Come sono arrivata al letto?

 

NOSY BE, venerdì 21 agosto

 

Mi sveglio con questa domanda.

Alle 7.30 siamo davanti al Nosy Be Fishing Club pronti a partire alla conquista di enormi pesci. Lo staff è composto da Dudu, lo skipper, e Marc “l’attrappeur”.

A giudicare dal tempo impiegato (più di un’ora) e dalla visibilità della costa ci allontaniamo di parecchi km . Colpa forse del rum di ieri sera, vomito tutto il tempo. Cristiano si diverte e pesca tre Tazard e una Carangue Bleue nonostante l’inettitudine dell’attrappeur a causa della quale vanno persi due Tarzard e una Carangue Noire. becchiamo anche l’Espadon Voleur ma Dudu, anziché girargli intorno se ne va! Perso anche quello. Forse le barche con gli equipaggi migliori di Michel erano già stati presi.

Al ritorno informiamo Michel che li cazzia ben bene, anche perché si sono pure persi un intero rocchetto di filo da pesca per non aver bloccato il freno del mulinello.

Ci facciamo tagliare un pezzo del Tazard più grosso ed andiamo al TROPICAL, un ristorantino che abbiamo adocchiato nei giorni scorsi. Ndr, è l’ unico indirizzo che non ho ritrovato.

Al padrone proponiamo uno scambio, ci cucina un pezzo del nostro pesce fresco e in cambio si tiene il resto del pesce. Paghiamo solo le bevande e i contorni. Il Tazard alla griglia è ottimo.

 

NOSY BE, sabato 22 agosto

 

Ultimo giorno a Nosy Be. Il volo per Tana è alle quattro, abbiamo quindi l’intera mattina ancora da vivere. L’unico problema è che non abbiamo più soldi perciò contrattiamo con Robert un giro in taxi nei dintorni di Hell Ville ed il trasferimento all’aeroporto pagando con qualche Fmg e due magliette. Robert è molto gentile, se abbiamo finito i soldi prenderà quello che possiamo dargli.

Ci porta alla cascata, si ferma lungo la strada per mostrarci l’ylang-ylang, il famoso fiore da cui si estrae l’olio essenziale base dei profumi, ci porta al MERCATO DI HELL VILLE dove acquistiamo delle spezie, un mortaio e gli arnesi di legno per grattare il cocco e la papaia. Cambiamo le penultime lire italiane, poi ci porta al mercato delle tende e tovaglie ricamate perché vorrei una tenda per la cucina; la trovo, bellissima, raffigurante frutta esotica, la baratto con i jeans di Cristiano.

Infine ci porta all’aeroporto. Nei pressi pranziamo all’Hotel Sambatra con un osso rivestito di pollo una testa di pesce immersa in una brodaglia e un pugno di riso.

Per potersi imbarcare bisogna pagare una tassa di 10.000 Fmg per i voli nazionali e di 100.000 FF per i voli internazionali. Aiuto! Diecimila Fmg per imbarcarci ora li abbiamo ma i Franchi Francesi  per il volo internazionale no!! Ndr: ora la tassa d’imbarco è inclusa nel prezzo del biglietto aereo.

A Tana prendiamo un taxi, le strade della periferia sono trafficatissime. Ceniamo nel ristorante dell’albergo. Dopo aver assaggiato la cucina di M.me Nicole ad Ankify e quella di Louisette ad Andilana lo rivalutiamo: non è un granché.

 

ANTANANARIVO, domenica 23 agosto

 

Rirì, il tassista con cui abbiamo fissato, ci sveglia alle 8.15.

Essendo domenica è quasi tutto chiuso, soprattutto il famoso mercato di Tanà.

Rirì ci fa fare il giro della città, poi ci consiglia la visita dello zoo dove c’è anche un giardino botanico ed il museo. Lo visitiamo assieme a lui che, essendo residente, non paga l’ingresso. Noi invece ci lasciamo i nostri ultimi Fmg. La visita è interessante. Ci sono i lemuri, anche quelli delle altre aree della nazione, tartarughe, coccodrilli, serpenti, uccelli e palme di tutti i tipi.

Nel museo c’è una rassegna di animali imbalsamati e di ossa incollate, ma è carino.

Rientrando verso l’albergo passiamo davanti allo Stadio dove c’è del movimento. Rirì ci informa che alle 14.30 c’è la partita di ritorno tra la nazionale del Madagascar contro quella dello Swaziland per la Coppa d’Africa. Il biglietto costa solo 4.000 Fmg, ce lo possiamo permettere!

Siamo gli unici bianchi in mezzo ad un intero stadio di neri che guardano incuriositi più noi della partita che finisce 1-1. Che esperienza!

Il viaggio è un’avventura fino in fondo. In aeroporto c’è una coda mostruosa ma il nostro vero problema è la tassa d’imbarco. I tentativi di prelievo al bancomat vanno in fumo, ma ci hanno detto che si può pagare con carta di credito. Un bel cartello davanti allo sportello dove si paga la tassa informa che le carte di credito non sono accettate. Perfetto.

C’è solo una soluzione: confidare nei connazionali. Chiedo ad una coppia di prestarci i soldi per l’imbarco con l’impegno della restituzione all’arrivo in Italia dove i bancomat funzionano.

Siamo tornati.

 

La guida utilizzata nel 1994, anno del viaggio:

Madagascar e Comore, 2° edizione Lonely Planet

 

Consigliata:

La profilassi antimalarica

La malaria è endemica e di zanzare ce ne sono, parecchie

 

 

Ringraziamenti :

 

a Cristiano con cui ho condiviso questo viaggio che considero tra i più belli che ho fatto e per la revisione del testo

 

alla coppia italiana che ci ha “salvati” prestandoci i FF della tassa d’imbarco per tornare

come ho già segnalato ora la tassa d’imbarco è inclusa nel prezzo del biglietto aereo

peraltro adesso si cambiano gli Euro, non serve avere Franchi Francesi

 

Bon voyage,

Charlie

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